domenica 7 dicembre 2008

Verona e il suo ponte romamano chiamato Ponte Pietra o Ponte Piera










Dipinto di fine ottocento del Ponte Piera
Con l’Arena e il Teatro  Romano non c’è veronese che non ne conosca l’ubicazione;  è uno dei simboli ddella Verona romana.   Pochissimi però ne hanno la traccia storica della sua lunga e travagliata esistenza.

Per sopperire a questo,  uno dei migliori storici e ricercatori veronesi, Alberto Solinas,  ne traccia sull’opuscolo della verenosissima sagra di Santa Toscana la sua lunga storia.
L’opuscolo, curato dal Comitato Benefico di Santa Toscana, giunto alla sua settima edizione, è una buona opportunità per ampliare la conoscenza e la storia del nostro quartiere.
Cari lettori, guardate che meraviglia la foto di copertina di questo opuscolo! È una immagine di fine ‘800 del PONTE DELLA PIETRA che pochi conoscono.
È il “pons marmoreus” indicato su una antica mappa del VII secolo nota come Iconografia Rateriana, una delle prime immagini
di Verona.    .
Su un affresco della Basilica di San Zeno, la mano di uno sconosciuto cronista ci ha lasciato questa scritta: «1239: piena de l’Adese menò siò tre ponti: Preda,  Novo,  Navi el dì 3 otobre».
È la storia perenne di Verona e del suo fiume, portatore di vita, di benessere ma anche di rovine.
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L’opuscolo, curato dal Comitato Benefico di Santa Toscana, giunto alla sua settima edizione, è una buona opportunità per ampliare la conoscenza e la storia del nostro quartiere.
I PONTI ROMANI
Le popolazioni dei Reti, dei Veneti e dei Celti (i Galli, così detti dai Romani) della tribù dei Cenomani, che vivevano sulla sponda a levante dell’Adige, e precisamente su Castel San Pietro e nelle valli circostanti di Santo Stefano e San Giovanni in Valle, naturalmente avevano la necessità di oltrepassare l’Adige per mettersi in contatto con le popolazioni che vivevano sulla sponda opposta.
Perciò costruirono un primitivo ponte abbastanza largo e robusto per far transitare anche i carriaggi.
Questo fu innalzato nell’unico punto geologicamente possibile, la zona dove l’Adige perde la sua forza corrosiva e la velocità (più di 3 metri al secondo sotto il Ponte Pietra) ed entra in stanca deponendo sabbia a valle e ghiaia a monte, appunto come dicono i nomi la Sabionara (Santa Anastasia) e la Giarina (Santa Maria in Organo).
Dopo la sconfitta, prima dei Celti e poi di Annibale circa nel 200 a. c., iniziava la colonizzazione vera e propria da parte dei Romani della Pianura Padana. Le popolazioni veronesi, essendo alleate dei Romani, permetterono a loro di entrare pacificamente nel nostro territorio e iniziarono la costruzione della Verona romana nell’ansa dell’Adige formata da dune sabbiose-ghiaiose spesso sommerse dalle piene del fiume (nel 1600 ne avvennero 321).
Con la sconfitta dei Liguri e degli Istrii, nel 176 a. C., i Romani pensarono bene di costruire una strada militare che da Genova conduceva ad Aquileia attraversando da ovest a est tutta la Pianura Padana.
Nell’anno 148 a. C. troviamo Verona già compresa nella grande strada costruita dal console Spurio Postumio Albino, che in parte preesisteva sin dalla protostoria e che prese il suo nome, cioè la «Postumia».
Perciò costruirono il primo ponte romano nell’ area dove sorgeva quello protostorico e prese giustamente il nome di Ponte Postumio dall’ing. G. B. Biadego nel 1885

Iconografia Rateriana
IL PONTE POSTUMIO
Il Ponte Postumio è rappresentato nell’ lconografia Rateriana, una preziosa riproduzione della città e dei monumenti, secondo gli studiosi datata all’inizio del secolo X.
Penso che questa datazione sia da rivedere, perché dagli scavi archeologici in città, effettuati negli ultimi anni, Verona appare semidistrutta tra il VI e il VII secolo.
Aggiungiamo poi l’inondazione del 589 in cui l’Adige sommerse Verona nell’ ansa e parte di Veronetta, cambiando il suo corso, distruggendo il Ponte Postumio e danneggiando quello della Pietra.
Seguì l’anno dopo, il 590, come scrisse Pier Zagata nella Cronica della città di Verona, 1745, vol. III, pag. 23:
«Il primo giorno di quest’anno,  per incendio grandissimo rimase arsa la maggior parte della città nostra; indi fu assalita da peste così crudele, che distrusse due terze parti degli abitatori . .. ».
Nuova peste nel 596 e nel 686,  inondazione nel 727 ed,  infine,  il terremoto del 793.
Tutte queste catastrofi non potevano far sì che rimanesse una città così intatta all’inizio del 900, come la vediamo rappresentata nell’Iconografia Rateriana.
Perciò,  a mio parere,  essa è databile dopo la morte di Teodorico,  quando era ancora possibile avere un ricordo della città romana, oppure l’Iconografia è la copia di una sua riproduzione esistente nella Biblioteca Capitolare ora perduta.
È opportuno far notare che fino a tutto il VI secolo non è possibile distinguere il Ponte Postumio dal vicino Ponte della Pietra.
Il primo documento che parla del Ponte Postumio è un privilegio concesso da Berengario nel 905 ed è citato come pons fractus, nome che poi conserverà nei documenti medievali.  Successivamente, in età rinascimentale, quando del ponte non ne restava visibile nessuna traccia, prese il nome di Ponte Emilio, perché su di esso si pensava passasse la Via Emilia. Altre volte fu detto anche Militare.
I suoi resti erano visibili - come attualmente quando il fiume è in magra - nel 1648 quando Onorio Panvinio, Antiquitatum Veronensium, p. 180, scriveva:
«Hoc anno 1153, die S. Ascensionis Domini fluvius Athesis aquarum vi ita creuit, ut extra alueum extestuans, multa Veronensibus tam in urbe quam extra damna intulereit, in queis pons alius e regione pontis qui dicitur lapidis corruit, qui erat inter Basilicas S. Syri e S. Anastasitae, cuius etiam nunc vestigia in Athesi vedentur … ».
Lodovico Moscardo, Historia di Verona, 1668, pp. 6-123, dice:
«Ma l’anno 589 dopo la nascita di Cristo, rotto già per l’escrescenza del fiume per più di 400 anni, si nominò il Ponte Rotto… del quale hò veduto parte de’ suoi antichi fondamenti e, l’anno 1662, furono cavate nell’Adige quantità di pietre, per accomodar il Campanile di S. Anastasia ruinato in parte dalla saetta, che servirono già di fondamenta d’una Pila. … L’anno 1087 fu una crescenza dell’Adige grandissima che portò molti danni, ruinò il Ponte Emilio chiamato all’hora Ponte Rotto.»
Prosegue Pier Zagata (op. citata), vol. III, pp. 44-241:
«Nell’anno 1087. Per inondazione dell’Adige grandissima, dicono esser caduto in quest’anno quasi tutto il Ponte Emilio ».
Notizie molto precise sull’ubicazione e la costruzione delle pile del Ponte Postumio le abbiamo durante la costruzione dei muraglioni dell’Adige nel 1891. Si sono trovati pali con grosse punte di ferro che coprivano le punte dei pali, assieme a grossi ciottoli, legati fra di loro da piombo fuso. Tutto ciò attesta che le pile del ponte appoggiavano su questa solida platea unitaria, come ne indica l’architetto romano (forse veronese) Marco Vitruvio Pollione. Cesaris-Demel trovò che la pila a destra nel concio d’imposta si presentava un arco non a tutto sesto ma ribassato. Si è potuto constatare che il Ponte Postumio avesse una decorazione di tipo dorico, con bucrani e triglifi di influsso ellenistico.
Nell’Adige, fra i ruderi del ponte, si rinvennero anche dei pezzi di un grosso tubo di piombo. Sono lunghi uno m. 2,70 e l’altro m. 3,15 ed hanno un diametro di 30 cm. già visti nel fiume dal Canobbio e dal Moscardo durante la costruzione della Chiesa del Redentore. Questi tubi di piombo dimostrano che sul Ponte Postumio passava l’acquedotto romano che, dalle sorgenti di Montorio, conduceva le acque in Verona.
Curiosa è la segnalazione di Lanfranco Franzoni nella sua Edizione archeologica, foglio 49, Verona, Firenze 1975, pp. 56-57:
«Da segnalare, infine, tra i resti del ponte, sulla riva sinistra, il rinvenimento di circa cinquecento monete d’argento e poche di rame che, in origine, dovevano essere contenute in una cassettina di bronzo. Risalgono al I e al II secolo d. C.»

Il Ponte Pietra durante il restauro del 1892
IL PONTE DELLA PIETRA
Quando fu costruito il Ponte Pietra (o,  meglio, «della Pietra» per usare un termine che era corrente dal Medioevo in poi) non è ancora possibile stabilirlo con precisione
Luigi Beschi in Verona, 1960, vol. I,  pp. 373-381,  fa notare che la parte romana è interamente in opus quadratum cioè in blocchi di pietra squadrati e legati tra di loro in corpo unitario da grappe di metallo
Come si nota nella seconda pila in pietra,  il ponte fu danneggiato e restaurato già in età antica, forse nella seconda metà del II secolo d. C. Sicuramente fu danneggiato ed in parte crollato durante la storica inondazione ricordata da Paolo Diacono e da Papa Gregorio Magno, della miracolosa salvezza della Chiesa di San Zeno dalle furie delle acque dell’Adige, risalente al 589, data della famosissima rotta della Cucca, in cui si dice che l’Adige cambiò il suo percorso.
L’alveo dell’Adige, prima del 589, era l’Interrato dell’Acqua Morta e l’attuale corso fino alla Cucca, proseguiva in direzione sud-est per Cologna Veneta, Montagnana, Este ecc. fino a Chioggia.
Con la piena del 589, l’Adige ruppe alla Cucca e cambiò il suo corso, cioè l’attuale.
È noto che per indicare uno sciocco, a Verona, si dice no se imbarca cucchi. Forse questo detto si riferisce proprio alla rotta della Cucca del 589, quando gli abitanti della Cucca (i Clicchi) annunciarono ai Veronesi che l’Adige non passava più dal loro paese ma, dopo Ronco, andava verso Legnago.
Fatto impossibile da pensare in quei lontanissimi anni, perciò gli abitanti della Cucca presero la nomea di essere tutti sciocchi.
Stanchi di questo detto, i Cucchi pensarono bene di cambiare il nome alloro paese e, dopo il 1866, lo ribattezzarono Veronella.
La stessa idea la ebbero gli abitanti di Porcile che lo tramutarono in Belfiore
Tracciamo ora la storia del Ponte della Pietra, seguendo le notizie raccolte dagli antichi storici.
Anno 727: Inondazione
Questa è la seconda inondazione ricordata nella storia di Verona dal P.  Zagata, op. cit., vol. III, p. 25:
«In quest’anno il fiume Adige gonfiossi in guisa che allagò tutta la città di Verona. ».
Il Ponte della Pietra non è ricordato.
796-805: Sul ponte passano le condutture che alimentano la fontana in Piazza delle Erbe.
Il Rythmus Pipinianus o Versus de Verona,  un canto di lode a Verona composto da un anonimo fra il 796 e 1′805, perciò durante il regno di Pipino I  re d’Italia,  ricorda le condutture che,  partendo dalla sorgente del Monte Gallo (ora detto Castel San Pietro),  passando sul Ponte Lapideo,  alimentano con l’acqua la fontana in Piazza delle Erbe:
«Pontes lapideos fundatos super flumen Athesis. Quorum capita pertingunt in urbe et opidum».
807: Le tubazioni sono ancora esistenti
A. Canobbio, in Historia di  A. Canobbio intorno la nobiltà
e l’antichità di Verona,  Ms. 1968 della Biblioteca Comunale di Verona, Libro III, C7:
«Una pubblica fontana nella piazza e pigliò l’acqua da un acquedotto antico condotto sopra il Ponte della Pietra,  perciocchè era distrutto in gran parte il Ponte Emilio per l’accrescenza che fatta avea l’Adige l’anno 589  ».
Pressoché  contemporaneo dell’ autore del Rythmo Pipiniano,  Liutprando (cronista diacono a Pavia nel 946 e poi vescovo di Cremona,  dove morì), loda il Ponte della Pietra:
«
Fluvius Athesis sicut Romam Tiberis,  mediam civitatem Veronam percurrit,  super quem ingens marmoreus, miri operis miraeque magnitudinis Pons est aedificaturs ».
1087: Crolla o resiste?
Il Ponte della Pietra non viene nominato.
«L’anno 1087 fu una crescenza dell’Adige grandissima che portò molti danni. Ruinò il Ponte Emilio chiamato all’hora Ponte Rotto», Moscardo, op. cit., p. 123.
Zagata, op. cit., voI. III, p. 44, conferma l’accaduto:
«Per inondazione dell’Adige grandissima, dicono esser caduto in quest’anno quasi tutto il Ponte Emilio e quello delle Navi, restando quasi tutta la città allagata . . . ».
Diversa è invece la versione nel Dalla Corte
L’Historia di Verona divisa in due parti et in XXII libri
Verona 1596, vol. I,  p. 235.  Non nomina il Ponte Emilio (Postumio) e nomina,  invece,  il Ponte della Pietra:
«Fra gli altri, il nostro Adige, divenuto oltra l’usato, e più che mai l’adietro avesse fatto, grosso, ruinò con quasi tutte le case contigue,  in buona parte il Ponte della Pietra, e quel delle Navi tutto portò via… ».
1097: Crolla la parte nuova
Panvinio, op. cit., pp. 177:
«Hoc anno Athesis amnis ita inundavit ut pontem Lapideum prope tedem S. Stephani diruerit.».
1098: Restauro
Il Dalla Corte, op. cit. vol. II, p. 246,  ricorda il restauro del Ponte della Pietra l’anno dopo:
«Quel della Pietra delle medesime pietre di ch’era prima fatto,  sendo ivi quasi tutte rimase;  e quel delle Navi di legno, come era prima. . . ».
1153: Crolla ancora?
Paride da Cerea, Monumenta Cermanita Historica, vol.  XIX, p. 11: «Ruinarono li ponti della Pietra e delle Navi.».
Paride da Cerea si è forse sbagliato sul Ponte della Pietra e sul Ponte delle Navi, perchè Panvinio,  a pag. 180,  scrive:
«In queis pons alius e regione pontis qui dicitur Lapidis corruit»:
«l’Adige danneggiò la regione del Ponte Pietra rotto, cioè il Ponte Postumio.»
Mentre Dalla Corte, op. cit., vol. II, p. 246,  è più preciso:
«Crebbe talmente il nostro fiume nel giorno dell’Ascensione,  che oltre molti altri edifici… ruinò fin dalle fondamenta il Ponte della Pietra,  come quello che prima era alla violenza delle sue acque esposto.. . ».
1195: Crolla la regasta e la scena del Teatro Romano
Panvinio,  op. cit., p. 187:
«Hoc anno Athesis ita excrevit ut XVIII  Kalendas Iulii  (18 giugno!),  via publica secus flumen, quae sub arce diui Petri est, quae dicitur Regasta, omnino corruerit …».
(Gugelfo conte Veronese la rifece a sue spese nel 1198).
«Hac clade reliqua pars inferior scenae Theatri, quae adhuc supererat, omnino deleta est. . . ».
1230: Semi distrutto
Sempre Dalla Corre,  op. cit., vol. I, p. 397,  ricorda una tremenda piena dell’Adige:
«Portò via anche il Ponte delle Navi; e talmente conquassò quel della Pietra e le mura della città in molti luoghi, che fu bisogno poi fare grandissima spesa in accomodarle ».
1232:  Il   ponte viene distrutto dai mantovani!
Zagata,  op. cit., vol. I, p. 28:
« I Mantoani disfece el ponte della Prea della Bevrara de Verona,  e li Veronesi de fece subito un altro de legname. . . ».
1234: Al ponte de legno sostituite pile ed arcate
Panvinio, op. cit., p. 195,  scrive ch’eran di pietra:
«Pons Lapideus additis marmoreis in fuuio pilis et fornicibus refectus est qui ante ligneus erat . . . ».
Torello Saraina,  Le Historie e fatti de Veronesi, 1542, p. 9:
«Fu fatto de nuovo ‘l ponte della Preda con  li fondamenti ne’ l fiume de matoni e calcina…»
Più preciso Lodovico Moscardo, op. cit., p. 173, scive:
«Si costrusse di mura quella parte del ponte della Pietra, che era di legno… ».
Dalla Corte,  op. cit., voI. I, p. 397, indica anche la provenienza delle pietre: «Subito che comparve la primavera, essendo la città in pace,  si diedero i Veronesi a ristorare. … e rificero il Ponte della Pietra e quello delle Navi,  ma non più di legno, come havean fatto per l’adietro,  ma di pietra:  e fu quasi tutto fatto delle pietre del Teatro e dell’Arena che qua e là si trovavan sparse per la città,  e di quelle di molti casamenti ruinati . . . ».
1239: Crolla o resiste?
Lodovico Moscardo, op. cit., p. 183, scrive che:
«In questo medesimo anno, il dì trè ottobre, l’Adige fece sì fàtta crescenza, che per avanti non si era intesa simile, e oltre gl’infiniti danni, che portò in Città e fuori con la ruina d’infinite case, e con la morte di molte persone, fèce cader tutti i ponti. . . ».
Panvinio, op. cit., p. 197:
«omnes pontes contriverit. ».

Graffito nella chiesa di San Zeno
Un’iscrizione graffìta sulla facciata di Santo Stefano, a destra di chi guarda, è riportata da Pier Zagata, op. ci t., vol. III, p. 241, e tuttora visibile,  dice:
«MCCXXXVIIII Indict. XII ex… VI Nonas Octobris crevit Atesis, pontes rupit omnes, excepto lapideo (eccetto il Ponte Pietra), murum civitatis, et domus multas proiecit, et mala alia sine numero fècit . . . ».
Liscrizione graffita nel presbiterio a San Zeno dice:
«1239 1’Adese piena - de ladese me - no vo (menò via o giù) tre ponti preda novo navi adì 3 ot.».
Questa scritta non si può dire del 1239 perchè è stata graffita su un affresco del 1300: perciò è stata scritta molti anni dopo l’avvenimento.  Da chi?
1298: Alberto I,  fa le pile ed archi di legno e la torre
Questo è il primo restauro degli Scaligeri.
Panvinio, op: cit., p. 204:
«Pubblica aedificia ab Alberto Principe condita, in quibus . .. Pontis lapidis turris urben versus, et aliquot praeterea alia . . . ».
Lodovico Moscardo, op. cit., p. 205:
«Fece edificare la torre, ch’è di capo al Ponte della Pietra verso la Catedrale, sopra la Porta della quale si vede la sua gentilitia Scaligera (fu scalpellata dai Giacobini veronesi nel 1797), e queste torri erano chiamate Castelli, custodite dalle milizie, havendo i ponti levatoi, e il prenominato ponte che parte era fatto di legno, tutto dirupato,  che non vi si poteva transitare, lo fece ancora di nuovo di legno accomodare. . . ».
Saraina, op. cit., p. 23, amplia il discorso:
«Fece racconciare la stratta per longo à la riva di Atthice de lastre,  facendogli ponere li appoggi,  acciochè  niguno cascasse n’el fiume,  è questa stratta,  è appresso l’ponte de la Preda,  per quale si camina verso S. Georgio, che il di de hoggi (1542) retene il nome, e si chiama la Regasta de questo ponte edifico da li fondamenti la Torre ne’l capo de quello verso la chiesa Cathedrale, e lo ponte che in quello tempo era di legname, per la maggior parte da le inondationi d’il fiume è continono uso depurato. . . ».
1368: Cansignorio fa passare sul ponte l’acquedotto
Saraina, op. cit., p. 40:
«Can Signorio deliberò condurre la Fontana de Avesa ne la città. E per gli alvei de pietre e mattoni la fontana de Avesa fece entrare la porta de Santo Georgio de la Brayda, dopuoi nel giardino de l’Abbate ove edificò una cisterna, ne la quale s’havesse a mondificare, e fece uno canòne de Piombo recipiente de questa fontana da detta cisterna fino alla piazza de Verona appoggiandolo sopra il ponte de la Preda, accioche entrasse ne la Città, e da quello cavandosi alquanti canoncelli l’acqua entrava per le case vicine, et ancora ne le più distanti, secondo la longhezza delli canoncelli. In questo modo diede l’acqua à trecento case,  fino à la piazza maggiore, ove fece sorgere de questa molte spine per commodo d’el popolo.  Questa fòntana ancora ne’presente dà l’acqua alli Cittadini,  ma in minore quantità assai, perciò che il canone maggiore de Piombo gia al quan anni fu levato
(Dalla Corte, ricorda che fu usato «Per far delle palle d’archibugio, e d’artiglieria»),
et in luocho de quello riposto uno di legno, che de continuo marcisce, et esshala, e per esser malamente compaginato se disgionge, e minor cura hanno li cittadini presenti de questa acqua de li antichi fuci, pesser ritrovato facile modo de li Pozzi, e con puoca spesa.. . ».

Con questo scritto, Torello Saraina ci fa conoscere come era la situazione idrica nella città di Verona nel 1542.
Pier Zagata, op. cit., vol. I, p. 96-97,  è più preciso su come passava l’acqua sul ponte della Pietra e sulla fontana di Piazza delle Erbe:
«L’anno soprascripto e fò conduto la Fontana del Borgo de San Zorzo per i cannali de Piombo su la Piaza de Verona, e così in li Broli de Signori, e così in molti loghi de la terra in casa de Cittadini che volia far la spesa….L’acqua nella città era in que’ tempi, a coloro che abitavano lungi dal fiume, scarsissima, e pochi pozzi ancora essendovi,  lo Scaligero fece condurla da una fontana di Avesa, luogo due miglia dalla città distante, e introdurla in città per la porta di S. Giorgio; indi nel giardino dell’Abbate di S. Giorgio, nel qual Monastero edificò una Cisterna, nella quale l’acqua si avesse a mondificare facendo un cannone di piombo che riceveva l’acqua da detta Cisterna e la conducea sino alla Piazza del Mercato, volgarmente la Piazza delle Erbe, appoggiandolo esteriormente sopra il Ponte della Pietra, come fino a dì nostri s’è veduto ma ora di terra cotta è sotterrato entro del ponte stesso. Questa Fontana che fu eretta da Pipino Re d’Ialia nell’anno della Salute Nostra DCCCI, nel 910 fu da Berengario, sendo in molti luoghi ruinata, fatta ristaurare insieme coll’Aquedotto, ponendo sotto la statua della fontana medesima, rappresentante Verona, otto figure in basso rilievo di finissimo marmo, dalla bocca delle quali usciva l’acqua: quattro di esse erano coronate ed aveano nelle loro corone la seguente iscrizione:
VERUS ANTONIUS PIUS IMPERATOR, REX ALBOINUS LONGOBARDORUM: VER. VERONA. BERENGARlUS IMPERATOR MARMO REA V. ROMA…

… Il piedestallo con dette otto teste fu l’anno scorso 1743 quindi levato e messe insieme con le teste medesime nel Museo Lapidario, che ora va erigendo l’Academia Filarmonica (dove sono finite? n.d.r.) ed in vece ripostovi l’altro di forma ritonda come ora si vede. Li cannoni, per i quali scorreva l’acqua, e ch’erano di piombo, come si è detto, sono fatti levati e rinnovati di terra cotta.. . ».
Lodovico Moscardo, op. cit., p. 238, è molto più sbrigativo:
«
Furono in questo tempo ristaurati li cannoni, che portano l’acqua su la piazza, nel Brol de’ Scaligeri, e molte case de’ Cittadini, che voleuano concorrer nella spesa… ». Ma si capisce che chi voleva l’acqua in casa doveva pagarla! Forse Cansignorio, in quell’occasione, innalzò anche la seconda torre sulla prima pila romana e la munì di ponte levatoio».
Brenzoni scrive nei suoi; I ponti Romani e Medioevali di Verona:
«Un cronista dice: nel 1503 le torri erano ben forte et gaiarde de qua e de là.».
Lo confermano anche le incisioni di Paolo Ligozzi nel 1620.

Restauro della quarta pila del ponte nel 1892 si vede ancora la pila romana rovesciata
1503: Nuova costruzione in pietra,  crolla: rifatto in legname
Pier Zagata, op. cit., vol. II, p. 110:
«Se incominciò a far el Ponte de la Preda de preda, el qual prima era de legname e non era ancor ben compido che ne rovinò una gran parte; poi fu fatto de legname. »
L’impresario dei lavori,  per 1020 ducati,  usò legnami vecchi e carezi (tarlati): a sua attenuante l’impresario ha il manoscritto 1017 della Biblioteca
Civica che a p. 82 dice:
«Alcune pille de preda erano mal condicionate e non fu causa del legname usato. . ».
1508: Per la ricostruzione chiedesi fra Giocondo.
Così Zagata, op. cit., vol. II, pp. 110-111, descrive:
«Frà Giocondo da Verona,  dell’Ordine de’ Predicatori,  che fu gran teologo,  fra l’altre scienze di cui era dotato, distingueasi particolarmente dell’Architettura onde è fu qual d’esso pel cui suggerimento fu riparato il detto ponte della Pietra, che vicino era a ruinare . . . Ma finalmente carico d’anni nel 1509 finì di vivere… ».
Forse Frà Giocondo disegnò solo il ponte.
1513: Cade il ponte di legno
Questo disastro ci viene ricordato da L. Moscardo, op. cir., p. 359:
«Il primo di ottobre l’Adige venne a tanta altezza, che innondò la maggior parte della Città,  fèce cader una parte di mura del Castel Vecchio e un’altra di Cittadella,  appresso la Porta della Brà, gettò anco a terra diverse case nell’Isolo  (è l’unica volta che degli storici antichi nominano l’inondazione di una parte della Veronetta),  ruinò quella parte del Ponte della Pietra che era di legno, e due volti del Ponte Novo, che erano di pietra. E insomma causò danni che furono tanto maggiori quanto che la povera città per la guerra, fame, e peste era quasi ridotta all’ultimo eccidio… ».
1520: Ricostruzione
Zagata, op. cit., vol. II, p. 200:
«Fu facto il ponte de la Preda, el qual per inanti era de legname.»
Dice così l’iscrizione sul parapetto della seconda arcata a destra: RESTAURATO PER M. ANTONIO - PROTHO DA VENETIA ET M. FRANCESCO DA LURANO DE - CASTELLION CREMONESE MDXX
Zagata, op. cit., vol. III, p. 92-93, nel 1521 diceva che, nel 1521, fu iniziata «quella parte del Ponte della Pietra, ch’era di legno,  fu edificata con tutti i volti di pietra simili alli antichi verso il monte».
Era quindi un ponte tutto in pietra?
1561: Minaccia di crollare
Solo dopo 41 anni dalla sua ricostruzione,  i Rettori di Verona,  scrivono a Venezia:
«Serenissimo Principe, il Ponte della Pietra sopra l’Adige . .. si trova coi trei pilloni rossegati et guasti dalla corrosione dell’acqua,  ma tra questi il pillone di meggio, che sostenta tutti gli archi, è in modo cavato sotto,  che vi si caccia una picca di 15 piedi, et si ritrova in stato tanto pericoloso che saria facil cosa che in due o tre piene grandi, come è solito venir ogn’anno, causasse una ruina grandissima.. . ».
Il Senato di Venezia stanziava 500 ducati per il restauro del Ponte della Pietra
1583: Case
Avevano abitazione sul Ponte della Pietra
«Battista pistor di Breonio e Michele mantuano q. Battista Roda unciador nelle case di S. Marco».
Opere di consolidamento
Al Ponte della Pietra vengono consolidate le due pile verso la Cattedrale nell’ anno 1567, viene rifatta la regasta nel 1729, rinforzate le solite due pile nel 1758,  si ripete nel 1782
1801: Demolita la torre a sinistra
Per il trattato di Luneville,  divisa la città in Verona repubblicana (francese) a destra dell’Adige e Veronetta (austriaca) a sinistra,  fu atterrata la torre verso Santo Stefano.
G. Venturi, nella sua Storia di Verona, 1825, vol. II, pp. 201¬203, scrive:
«… ai 13 giugno 1801 si eressero sui ponti della Pietra, Nuovo e Navi cancelli di confine con guardie a fonte.  Ai 6 ottobre 1805, i ponti furon del tutto chiusi e fatti ripari guerreschi da ambo le parti. Ai 18 gennaio 1806, i cancelli sui ponti vennero levati».
1820: Pila del secondo arco e case
Nel 1820,  il Sindaco di Verona, Giovambattista
Da Persico, annota nella sua Descrizione di Verona e della sua Provincia, II parte, pp. 75-77:
«Chi si farà lungo il fiume ad osservarlo conoscerà quanto di nuovo restauro questo ponte abbisogni, vedendo la pila del secondo arco in tutto difettosa e sconnessa, scavatele intorno parecchie pietre dalla rapidità e voracità dell’acqua, sì che ad ogni punto minacciar potrebbe nuova rovina. Viturpevole è poi la deformità di quelle casucce sostenute da travi diritte e traverse, e da puntelli sopra puntelli, logori pur essi e mal fermi… ».

Le casette sul Ponte Piera
1822: Le case vengono demolite
Dal diario dell’ oste delle “Tre Corone” Valentino Alberti:
«Adì 28 maggio 1822.  Questo giorno han cominciato a demolir le case giù dal Ponte della Pietra dalla parte sinistra dell’Adige.  In seguito si vedrà il risultato»
1891-94: Rinforzati i piloni a destra

Salta il Ponte Piera
1945: Il ponte viene minato, crolla; resta il primo arco a destra
Giuseppe Trecca così scrive nei suoi “I Ponti di Verona:
«La Soprintendenza ai Monumenti, dopo lunghe insistenze con Mons. Vescovo presso il comando militare tedesco,  perchè Verona fosse dichiarata città aperta, ottenne finalmente l’assicurazione dal feldmaresciallo Kesselring,  con lettera or conservata in archivio, che i ponti Pietra e Castelvecchio sarebbero salvi: perciò alle teste dei ponti furono costruiti in cemento armato muri anticarro.
Tutto vano. Fino all’ultimo, il prof. Avena, direttore del Museo di Castelvecchio, insistette, coadiuvato dal prefttto Bogazzi al Platz Kommandantur, correndo poi ai vari uffici in città e rincorrendo col Sovrintendente fino a San Pietro in Cariano il Comando ormai in fùga. Tentarono di jar rispettare la promessa.
Purtroppo
alle ore 18 del 25 aprile, con gli altri, anche il Ponte Pietra fu atterrato. ».
1957: Ricostruzione
Dopo 12 anni dal suo crollo, il 25 aprile 1957, iniziarono i lavori preliminari necessari alla costruzione delle tre ultime arcate.
La solenne posa della prima pietra avvenne il 4 febbraio 1957 e la pavimentazione stradale fu terminata il 20 febbraio 1959.
Per i nostri lettori, ritengo opportuno inserire la scheda archeologica compilata dal prof. Lanfranco Franzoni, op. cito pp. 57-58.

Ponte Piera fine ottocento
PONTE PIETRA
Distrutto nel 1945 dai tedeschi, tranne la prima arcata a destra, nella sua stesura attuale il ponte è una ricostruzione condotta, f in dov’era possibile, per anastilosi.  I lavori iniziarono nel febbraio del 1957 e terminarono nel marzo del 1959.
Fino al 1945 esso conservava ancora due arcate romane,  le prime da sinistra, essendo le tre restanti opera di ricostruzione: dell’età scaligera la prima arcata in pietra sulla destra, del XVI secolo le altre due prevalentemente in mattoni.
I lavori del 1891 e quelli del 1957-59 non hanno apportato elementi decisivi per una sicura conoscenza della conformazione del ponte in età romana.
L’ing. Peretti,  che se ne occupò nel secolo scorso, parla di una fase a tre arcate, seguita da una a cinque arcate, quando l’Adige, abbandonando il ramo dell’Acqua Morta, avrebbe assunto il corso attuale.
Diversamente, il Da Lisca crede che il ponte avesse in origine quattro arcate, delle quali una di luce doppia delle altre, e ritiene il Ponte Pietra posteriore al Postumio, in ciò seguendo l’opinione dell’ing. Biadego.
Il Marconi, come il Da Lisca, pensa ad un ponte di quattro arcate, di cui una avente circa trentacinque metri di luce, però, a differenza del Da Lisca, ritiene che il Ponte Pietra sia l’architettura più antica di Verona.
Gli elementi di maggior interesse acquisiti coi recenti lavori sono illustrati da L. Beschi e da P. Gazzola.
Il Beschi avverte come si sia rilevato che la struttura della parte romana è interamente in opus quadratum e che il ponte fu interessato da un restauro già in età antica,  presumibilmente nella seconda metà del II secolo d. C.
Nella sua stesura primitiva ed originale avrebbe dovuto essere fondato su quattro pile e contare cinque arcate.
Anche il Gazzola, che ha diretto i lavori di ricostruzione, afferma che il ponte ebbe sempre, esclusivamente, cinque arcate. Egli riporta le diverse interpretazioni, date fino ad oggi, della figura sulla chiave di volta della seconda arcata a sinistra. Tale figura, che rappresenta una divinità fluviale, ossia il genio dell’Adige, è datata dal Beschi dopo la metà del II secolo d. C. e costituisce il solo elemento utile per datare quello che fu uno dei primi restauri del ponte.
Un valido argomento a sostegno dell’ alta antichità del Ponte Pietra, riconfermata dagli studi più recenti, è costituito dal fatto che esso non si allinea con nessuno dei decumani e ciò fa pensare che il suo impianto sia anteriore al tracciato ortogonale secondo cui sorse la città.
Dal ponte, o dalle immediate vicinanze, provengono alcune epigrafi: una, votiva alle Giunoni (CIL., V 3240), ed una funeraria (CIL., V 3686), ora al Maffeiano, mentre invece è perduta un’ altra iscrizione votiva frammentaria (CIL., V.3271). Inoltre: una dedicata ad Iside, una a Serapite, testimonianze del vicino Iseum et Serapaeum, un titolo della gens Octavia ed un frammento di lapide funebre, forse di un Varrh(enus), tutte al Museo Archeologico.
Come si è potuto leggere dalla scheda, gli studiosi che si interessarono del Ponte della Pietra non sono concordi fra di loro di come era costruito il ponte in origine, cioè come lo vediamo oggi con cinque arcate, o con quattro, ritenendo doppia quella centrale.
Credo che i romani lo costruirono con quattro arcate, perchè,  come è noto, malgrado l’abilità tecnica dei costruttori romani nell’innalzare i ponti, avevano una difficoltà nel costruire le pile. Cioè la mancanza di una sufficiente profondità delle fondamenta o la scarsa resistenza dei pali (vedi il Ponte Postumio), sono state la causa principale della rovina di molti ponti romani.
Come abbiamo letto, la pila centrale del Ponte della Pietra, la seconda a destra dell’Adige, è sempre stata quella più danneggiata dal fiume che scavava profondamente sotto di essa la ghiaia: per i romani era inutile costruire una pila in quel punto, non sarebbe resistita molto a lungo.
Questo lo sapevano anche gli ingegneri che costruirono il Ponte Castel Vecchio circa 1300 anni dopo,  perché conoscendo molto bene il fiume, il ponte doveva essere costruito nel meandro opposto a quello del Ponte della Pietra; poichè, l’Adige corrode verso Piazza Bra e deposita verso l’Arsenale, pensarono bene - come i romani - di fare un arco doppio rispetto agli altri due.
Sempre gli studiosi più recenti sono concordi nel sostenere che il Ponte della Pietra, non essendo allineato con nessun decumano, fu costruito dai romani prima della fondazione della città romana; dunque, è ritenuta l’architettura più antica della città.
In questo caso non sono d’accordo con loro.
Infatti i romani, non potendo fare pile profonde,  pensarono bene di costruire il Ponte della Pietra in un punto dell’Adige dove si potesse costruire nella ghiaia il minor numero di pile.
In questo caso i romani trovarono l’uovo di Colombo: tagliarono la parte rocciosa del Colle di San Pietro, che si immergeva nell’Adige creando uno scalino, sul quale costruirono due pile delle quattro necessarie dimostrando cosi la loro abilità: per distruggerle furono necessarie le mine tedesche.
Le altre due pile furono sempre ricostruite perchè cedevoli sull’ alveo del fiume. Ecco il motivo per cui il Ponte della Pietra non è allineato con nessun decumano.
Fonte: srs di Alberto Solinas
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