sabato 19 dicembre 2009

Verona: Il mistero di San Giorgio Ingannapoltron




Luciano Salzani davanti agli scavi archeologici di San Giorgio

Verona  Archeologia:  San Giorgio di Sant’Ambrogio di Valpolicella.
Scoperto a monte del santuario un «castelliere» risalente al IV secolo avanti Cristo
Trovate anche monete greche: come sono finite in Valpolicella?

Un villaggio fortificato sull’apice della collina di San Giorgio in gannapoltron, tra la terra e il cielo, quasi nelle mani di quegli stessi dei a cui fu poi dedicato un santuario possente.

Una nuova scoperta, avvolta da un enigma, impedisce di porre la parola fine all’indagine archeologica svolta quest’estate dalla Soprintendenza sulla sommità del colle secondo un percorso di ricerca iniziato nel 1996.  Lo scavo illumina un insospettato squarcio di protostoria e sposterebbe le origini del centro abitato di San Giorgio più a monte di quanto finora si credeva fosse.


Sul punto più alto del monte sarebbe sorto, trecento anni prima del santuario di cui già è nota l’esistenza, un «castelliere», un villaggio che avrebbe preceduto l’edificazione dell’attuale San Giorgio, spostatosi poi più a valle probabilmente a causa di un incendio.

Inoltre, ulteriori recentissime e inaspettate scoperte di monete greche trovate nella fascia pedemontana della Lessinia, accrediterebbero l’ipotesi che quella roccaforte sia stata culla di una civiltà di alto rango, superiore rispetto ai canoni nord-italici del primo millennio.



Le monete greche ritrovate 

«Nel mese di agosto abbiamo svolto una campagna di indagini archeologiche accanto al cimitero di età napoleonica che si trova proprio nella zona sommitale della collina, che è denominata Torre in memoria di una costruzione medioevale di cui rimangono ora solo tracce nelle fondazioni»,  premette Luciano Salzani, direttore del Nucleo operativo di Verona della Soprintendenza per i beni archeologici del Veneto.


Lui e altri quattro archeologi hanno lavorato sul lato occidentale del piccolo monte, dove si trova uno spessore archeologico molto potente.  «Nel V e IV secolo a.C. qui fu eretto il podio in pietra di un grande santuario su cui venivano fatti sacrifici con il fuoco agli dei del cielo, si bruciavano cioè animali e quindi si facevano libagioni».


Lo testimoniano vari reperti:

«Fibule, spilloni in bronzo e, davanti al podio, ossa, carbone, cocci dei vasi che venivano fracassati dopo le libagioni»,  spiega Salzani.

«Al podio, costruito in blocchi possenti, regolari e disposti a file orizzontali, si arrivava salendo un’ampia strada delimitata da muriccioli secondo la tipologia tipica dei roghi votivi che, nell’area alpina, erano sempre sulle sommità dei monti».


Se questa fase di indagini si può considerare chiusa un’ altra resta aperta.

«Va chiarito in modo più puntuale quanto paiono rivelare alcuni strati molto profondi individuati quattro metri sotto la superficie, che noi facciamo risalire agli inizi della Età del Ferro», sottolinea Salzani.  «Sotto il podio, cioè, nella zona laterale verso ovest, ci sono i resti di un villaggio molto antico datato al IX secolo avanti Cristo».


Gli archeologi sapevano dell’esistenza di materiali precedenti al periodo della costruzione del santuario, ma non si aspettavano che fossero così antichi:  «Ora abbiamo accertato che sulla sommità della collina sorgeva un castelliere, un castello preistorico di difesa delimitato sul lato nord da un fossato».


E il direttore del Nucleo operativo precisa:  «Lo scavo mostra un villaggio di capanne a pianta rettangolare, parzialmente scavate nella roccia, con gli alzati (cioè la parte a vista del muro) ora scomparsi che dovevano essere realizzati parte in legno, parte in lastre di pietra locale.
Anche in quest’area sono stati trovati frammenti di vasi, resti di pasti, carboni».


Questo doveva essere il nucleo abitato proto-storico originario di San Giorgio:
 «L’insediamento, poi, fu probabilmente distrutto da un incendio e così si spostò più a valle. Solo 300 anni dopo, in quel medesimo luogo sorse il santuario che è già stato oggetto di studio».

Così il cerchio si chiude. Ma solo teoricamente perché lassù c’è una zona ancora tutta da scavare.

«Il progetto di quest’anno è stato portato avanti grazie a un finanziamento di 15mila euro, un contributo del comune di Sant’Ambrogio, della Banca Marano credito cooperativo della Valpolicella e della Fondazione Masi», sottolinea Salzani.  «Si pensava di chiudere l’indagine con una pubblicazione e una mostra dei reperti trovati».
 Ma la scoperta, fatta appunto ad agosto, pone nuovi interrogativi e non può essere lasciata così, sospesa proprio ai suoi esordi.



San Giorgio Infannapoltro: quell’antico villaggio era un punto nodale
Gli archeologi: «Era abitato da un popolo evoluto e aperto al commercio»



Un giallo storico, anzi preistorico. Ci sono tre monete greche fotografate in calce alla relazione del dottor Luciano Salzani. Perché? Cosa ci stanno a fare tre prestigiose monete di bronzo in un simile contesto? Risponde proprio il direttore del nucleo operativo scaligera della Soprintendenza, che con le sue stesse spiegazioni fa capire quanto aperto è il caso San Giorgio di Valpolicella.

«Il progetto di queste indagini archeologiche è collocato su un raggio ben più vasto», premette con aria quasi circospetta Salzani. «Infatti, oltre a questo lavoro, sono state fatte numerose ricognizioni nel territorio di tutta la Lessinia e, in una zona pedemontana, sono state trovate alcune monete greche del IV e del III secolo avanti Cristo».

Salzani ci tiene a precisare le date, proprio perché sono particolarmente significative. «La moneta più grande è del periodo di Tolomeo II d’Egitto, un regno ellenistico successivo ad Alessandro Magno, mentre le altre due più piccole portano l’effige di Filippo II di Macedonia e sono dello stesso periodo». E sottolinea: «E’ molto strano che fossero in Lessinia e proprio lungo precise direttrici che le popolazioni preistoriche percorrevano per scendere ad Avio dalle sommità dei monti».

E spiega: «In quel tempo ci risulta che qui le popolazioni scambiassero la merce, ma l’aver rinvenuto monete, tra l’altro greche, indicherebbe che in zona vivevano invece popolazioni più evolute, aperte al commercio e non limitate solo al baratto di beni primari». Proprio quel centro sul colle, dove è stato individuato il santuario, potrebbe essere stato un punto di riferimento nodale: «Infatti il santuario è il luogo di culto non di una singola comunità ma di un ampio territorio (almeno tutta la Valpolicella) che vi faceva capo. E non si esclude che altre genti arrivassero da molto più lontano».

E’ un motivo in più per andare avanti negli studi di un capitolo nuovo, importante e tutto da approfondire. «Il perché di queste monete, qui, dovrebbe avere una risposta. Sarebbe interessante sapere se sono state perse, messe di proposito, come, quando, perché, da chi», chiude Salzani. (b.b.)


Fonte: srs di Barbara Bertasi da  L’Arena di Verona  di giovedì 06 ottobre 2005 pag. 27
(foto Marchiori)

(VR 19 dicembre 2009)

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