giovedì 14 gennaio 2010

JAMES DEWEY WATSON, premio nobel da shock «I neri africani sono meno intelligenti»



James Dewey Watson

James Dewey Watson scandalizza con l'affermazione che il sottosviluppo economico dipende dal patrimonio genetico. «Le persone di colore africane sono meno intelligenti dei bianchi» ha dichiarato senza mezzi termini il premio Nobel per la medicina James Watson durante un ciclo di visite nel Regno Unito per la presentazione del suo ultimo libro. L'aspirazione ad attribuire eguali capacità razionali a tutti è irrealistica

Ottenendo in pieno il proposito indicato nel titolo ("Avoid boring people: lessons from a life in science", “Evita le persone noiose: lezioni da una vita passata a contatto con la scienza”), arroventando il clima di quella che sarebbe dovuta essere la placida comparsata al Museo della Scienza londinese di uno studioso ultrasettantenne che discetta sulle capacità combinatorie delle basi azotate davanti a una platea di appassionati di biologia.

JIMMY IL GUASTATORE

La noia è stata scongiurata con frasi a effetto come «la teoria secondo cui la capacità di ragionamento è uguale per tutti gli uomini è falsa»,  e provocatorie scivolate sul terreno minato del rapporto tra scienza e "razze".

Un po' pericolose, dall' era del Terzo Reich in poi; tesi che riaprono antiche e mai sopite dispute sui presunti livelli di intelligenza dell'uomo a seconda dell' etnia di appartenenza.

«Le politiche occidentali nei confronti dei Paesi africani - ha ribadito Watson senza batter ciglio - sono basate su un errore di fondo. Cioè sul postulato che le persone di colore sono tanto intelligenti quanto i bianchi. Mentre i risultati nei test rivelerebbero il contrario»,  «Entro una decina d'anni» ha aggiunto, «saremo in grado di identificare i geni responsabili delle differenze tra le intelligenze».

Per poi dare il colpo di grazia alla correttezza politica:

«Chiunque abbia avuto a che fare con un impiegato di colore sa che non è vero che tutti gli uomini sono uguali».

Un giudizio senza appello che ha fatto vacillare anche la senatrice a vita Rita Levi Montalcini («Non ci credò, non può aver detto questo, sarà stato Storace, Watsori è una grande personalità, un genio»).

Ma non si tratta solo di esternazioni occasionali fatte per essere smentite.
 Scorrendo le pagine dell'ultimo libro del “genetista impertinente” si legge:

«Non c'è alcuna solida ragione per affermare che le capacità intellettuali di popolazioni separate geograficamente nella loro evoluzione si siano sviluppate in maniera identica. La nostra volontà di assegnare a tutti, in maniera uguale, le medesime capacità intellettive non è sufficiente a provare che si tratti della realtà».

Affermazioni che la Equality andHurnan Rights Commission analizzerà per decidere se si tratti o meno di razzismo.

Sul banco degli imputati dovrebbe essere chiamato anche il collega Charles Murray, che ha riaperto il dibattito scientifico negli anni Novanta con il discusso  "The Bell Curve",  sostenendo praticamente le stesse cose.


Torniamo a Watson.

 È vero o no che i bianchi sono più intelligenti dei neri africani?
Il dibattito scientifico si sfoghi pure, confronti i diversi risultati degli studi e dei test.

Dal canto suo, James Watson ha previsto che entro i prossimi dieci anni verranno scoperti i geni responsabili di tale diversità.  Watson ha dedicato la propria vita a leggere il Dna e, quanto meno in astratto, può aver ragione. Se così fosse non ci sarebbe nulla di male.

Mi spiego: sostenere che i neri sono meno intelligenti dei bianchi non è affatto uguale a dire che i neri sono inferiori ai bianchi.  Chi facesse un' equazione del genere cadrebbe sì nel razzismo.

Watson non ha parlato di inferiorità di razze, ha solo - vale la pena rimarcarlo fino alla noia - espresso un parere sulle diverse capacità razionali.  Pertanto se anche avesse ragione Watson, i neri se ne faranno una ragione come se la fanno i bianchi, i quali nell'atletica, nel basket, nel pugilato e in molti altri sport sono
meno forti.

Per le frasi espresse nell'intervista al quotidiano inglese Independent, Watson è diventato la bestia nera della comunità scientifica.  Anche, in Italia. È diventato un Nobel ammezzato, oltre che per appestato, come se anche le tesi scientifiche si debbano accordare col politically correct.

Watson è libero di azzardare ipotesi anche spericolate, poiché però è uno scienziato affermato dovrà anche dimostrarle. Lui dice di essere pronto perché ha svolto un numero di test significativo e che sulla base di quei test dimostrerà il gene della diversità. Se avrà ragione amen, se avrà torto sarà un pisquano, non certo un razzista.

C'è infine un altro aspetto della vicenda su cui vorrei spendere altre due parole. Parto sempre dalle parole dello studioso.  «Il nostro desiderio di attribuire uguali capacità razionali come una sorta di patrimonio universale dell'umanità non è sufficiente per renderlo reale».

In poche parole, Watson sta dicendo che non siamo nati tutti uguali.  Per uno che ha studiato tutta la vita la struttura del Dna, l'unicità dei geni è una verità che non ha bisogno di essere dimostrata.

Non siamo tutti uguali, Watson però non blinda la propria verità alla sola medicina, ne fa anche un fatto sociale e antropologico.  L'uguaglianza in effetti è un tema che non smette di stimolare divisioni. Tanto che chi dice apertamente che non siamo tutti uguali viene indicato come il peggior essere vivente.

Il genio di un popolo

Prima, a proposito degli africani, dicevo che se la loro intelligenza viene valutata secondo criteri culturali di tipo occidentale si commetterebbe un errore.  Intendevo dire che ogni territorio ha nella propria diversità la fonte di ricchezza. Resettare le differenze non serve a nulla.  Non all'Africa (meglio sarebbe dire alle diverse Africha), non all'Europa, all'Asia, alle Americhe.
E Watson non sbaglia quando rileva il fallimento delle politiche sociali con cui si è cercato di risollevare l'Africa.



LA DOPPIA ELICA

James Dewey Watson è nato a Chicagonel 1928. Con il biofisico britannico Francis Crick awia ricerche sulla struttura molecolare del Dna al Cavendish Laboratory dell'Università di Cambridge, studi coronati nel febbraio 1953, dalla pubblicazione su "Nature" del modello molecolare del Dna" a doppia elica" .
La ricerca vale ai due il premio Nobel per la medicina nel 1962 .

PROGETTO  GENOMA

Nel 1988 Watson diventa direttore associato del Progetto Genoma Umano dal National institute of Health (NIH). Lascia il progetto nel 1992 e prosegue il suo lavoro all'istituto di Long Island, del quale è stato nominato presidente nel 1994

RITRATTO DI  UN GENIO






L’ex bimbo prodigio che ha scoperto come si tramanda la vita.
Universalmente noto per la scoperta, assieme a Francis Crick e Maurice Wilkins, della struttura "a doppia elica" del Dna, James Watson iniziò a interessarsi a questioni scientifiche fin dalla più tenera età, dedicandosi ad esempio assieme al padre all' osservazioni degli uccelli e finendo anche per partecipare - appena dodicenne - a
"Quiz Kids", un popolare programma radiofonico di domande per ragazzi dall'intelligenza precoce.

Grazie alle regole molto elastiche dell'università di Chicago James Watson riùsci a iscriversi e frequentare i corsi di quell’ateneo all’ età di quindici anni, scegliendo di dedicarsi alla zoologia.

Nel 1946 la lettura del libro "Cos'è la vita?" (un saggio divulgativo in cui il celebre fisico Erwin Schrödinger avanzava l'ipotesi che le informazioni genetiche dovessero essere contenute in un tipo di molecola ancora da identificare) convinse Watson a passare dallo studio della zoologia a quello della genetica.

Dopo la laurea, conseguita nel 1947, lo studioso iniziò a lavorare proprio in quest’ambito, allora piuttosto pionieristico, alle dipendenze del futuro premio Nobel Salvador Luria; a quell'epoca si riteneva che le informazioni genetiche che costituiscono gli esseri viventi potessero essere contenute nelle proteine e che gli acidi nucleici - cioè il Dna e l'Rna - fossero solo delle strutture di supporto.

Nel 1951 Watson si trasferì in Gran Bretagna e cominciò a lavorare presso l’Università di Cambridge; fu proprio lì che lo scienziato ebbe modo di conoscere Francis Crick e di scoprire l'interesse di quest'ultimo per le medesime questioni scientifiche; i due iniziarono allora uno scambio informale di idee con un terzo ricercatore, Maurice Wilkins.
Dopo lunghe ricerche Watson e Crick scoprirono finalmente - anche grazie ai dati raccolti da un'altra ricercatrice inglese, Rosalind Franklin - la celebre struttura "a doppia elica" del Dna.

La scoperta venne pubblicata sulla prestigio sa rivista scientifica "Nature" ,
nel 1953 e Watson, Crick e Wilkins ricevettero il premio Nobel per la medicina e la fisiologia nel 1962.

Nel 1968 Watson pubblicò inoltre un saggio, divenuto poi molto famoso, dal titolo "La Doppia Elica", in cui lo scienziato raccontava i retroscena della scoperta in questione; l'intenzione originaria di Watson era quella di intitolare il libro "Honest Jim" (cioè "Jim l'onesto", un titolo riferito ovviamente all' autore stesso), allo scopo di ribattere agli attacchi di chi lo accusava di aver utilizzato per le proprie ricerche i dati raccolti dalla Rosalind Franklin prima che quest'ultima avesse avuto la possibilità di pubblicarli.

Tra il 1988 e il 1992 Watson venne posto alla guida del Progetto Genoma Umano, posizione dalla quale si dimise per protestare contro la proposta di Bemardine Haley (allora direttrice dei National Institutes of Health, l'ente federale alla base del suddetto programma di ricerca) di brevettare e commercializzare i geni via via scoperti dalla ricerca scientifica.  Attualmente Watson si dedica all' attività di conferenziere e partecipa a svariati dibattiti pubblici.



Fonte: Libero.it di giovedì  15 ottobre 2007

3 commenti:

Antonio ha detto...

grandioso

irenepalermo ha detto...

1) se è vero che nn si possono valutare le capacità intellettive di diverse etnie con lo stesso metro occidentale, allora nn si può neanche dire che i bianchi sono più intelligenti: se le abilità sono differenti non si può dire quello ne ha di più quello ne ha di meno.
2)I metodi che usano per "misurare" l'intelligenza sono anch'essi basati sul metro occidentale, quindi i risultati sono privi di senso
3)tutte queste ricerche sono di laboratorio, quindi escludono il contesto e le vicessitudini storiche delle persone, attribuendo ogni diversità alla presenza di un gene piuttosto che un altro.
Conclusione, questi dati, che si erigono a verità scientifiche sono prive di qualsiasi fondamento, perchè la mente umana è così complessa e le esperienze di vita così variegate che i risultati di watson sono parziali ed incompleti, considerano solo un lato della faccenda e cioè quello quello di misurare le abilità acquisita a scuola... e sapete quale scuola?quella occidentale.
Questo exploit è profondamente razzista ed etnocentrico.

RONKE ha detto...

Irenepalermo GO!!!