venerdì 13 agosto 2010

Verona Via Pescetti: Rinvenuto l’osso che può risolvere il giallo dello scheletro

Uno scorcio di via Pescetti, in Valdonega (FOTO MARCHORI)

Il  ritrovamento in Borgo Tento. Il ricordo di un ingegnere della Valdonega: negli anni Sessanta, all’epoca ragazzino, giocava tra i resti di guerrieri longobardi Rinvenuto l’osso che può risolvere il giallo
Durante un nuovo sopralluogo rinvenuta un’altra parte dello scheletro. Ora la Sovrintendenza attende l’esame del medico legale

Un altro sopralluogo, alla ricerca del famoso osso lungo, che è spuntato ieri dalla cantina di via Pescetti e così ci si può finalmente mettere l’animo in pace e cercare di datare lo scheletro della Valdonega, che resta l’argomento prediletto dell’estate.

Il pm Francesco Rombaldoni, titolare dell’inchiesta ha sottolineato al dirigente della squadra Mobile Gian Paolo Trevisi, che il fascicolo resta aperto fino a quando medicina legale non avrà datato il reperto. Ma se si confermasse il sospetto di un osso storico, probabilmente di epoca longobarda, la procura e la squadra mobile uscirebbero dalla vicenda.

Il ritrovamento di qualche giorno fa ha riportato alla memoria di un ex abitante della zona un avvenimento che potrebbe essere ricondotto agli anni Sessanta.

«All’epoca potevo avere 13 o 14 anni», racconta l’ingegner Fabio Arduini, ex direttore delle tecnologie informatiche di Unicredit, oggi in pensione, che dalla Valdonega s’è spostato a Bardolino, «era il tempo in cui noi ragazzini giocavamo fuori di casa in strada e in cantieri erano le nostre roccaforti. Mi ricordo che in via Pescetti tra il civico 1 e il 5 c’era una casetta bassa che doveva essere ristrutturata».

«Noi ragazzini ci giocavamo», prosegue, «una sera vidi che l’operaio puliva la benna da una cosa appuntita che poi scoprimmo essere un osso. Mi ricordo che facemmo una telefonata anonima, credo al vostro giornale, perchè in effetti poi vennero fuori degli articoli», ricorda l’ingegnere, «noi ragazzini aspettammo l’esito di quella telefonata e infatti in quei giorni vennero esperti della sovrintendenza e mi ricordo che portarono via in alcune casse le ossa di quello che ci dissero essere un cavaliere longobardo seppellito assieme al suo cavallo».

Aggiunge Arduini: «Fino agli anni Cinquanta la Valdonega non esisteva è del tutto probabile che quella zona in altre epoche venisse utilizzata come cimitero, essendo appena fuori le mura della città. Così poi venne riscontrato, probabilmente questi resti fanno parte di quella necropoli che noi giovani di allora contribuimmo a far conoscere». E in effetti una necropoli longobarda all’epoca venne portata alla luce proprio in questa zona.

Che si possa trattare di un resto di un longobardo lo ipotizza, a ragion veduta, Bruna Brunello della Sovrintendenza, chiamata come consulente tecnico a Verona.

È stato chiesto il nostro supporto per il recupero dei resti», spiega l’esperta, «ipotizziamo che si tratti di un resto che potrebbe far parte della necropoli rinvenuta anni fa, ma per ora non vogliamo sbilanciarci. Nel caso fosse non c’è alcun pericolo di dover fare altri scavi o bloccare i lavori del proprietario della cantina che, con molta responsabilità, non appena ha fatto la scoperta ha informato la polizia. Qui non si tratta di realizzare un parcheggio che dunque prevedrebbe sbancamenti e metterebbe a repentaglio eventuali reperti. Le ossa erano nel sedime, quindi sufficientemente protette. Inoltre nella fattispecie non si tratterebbe di fare, da parte del proprietario della cantina, scavi più profondi, quindi la situazione va valutata per quello che è».
«Quello che per noi potrebbe diventare apprezzabile è un eventuale dato informativo sull’estensione della necropoli nella zona della Valdonega. Dipende da quello che emerge, eventualmente si può valutare l’ipotesi di un vincolo». Il proprietario della cantina del ritrovamento, che ha acquistato l’appartamento in via Pescetti a febbario ha dunque buone possibilità di poter riprendere i lavori a breve. (A.V.)


Dal sottopasso agli scavi per i parcheggi

l passato più o meno recente della nostra città spunta spesso quando una ruspa si mette al lavoro. E’ successo a Porta Palio per i lavori dei sottopassi realizzato in vista dei Mondiali 90, a Poiano per il cantiere della tangenziale. E più di recente sono emerse decine di tombe e di scheletri grazie ai lavori per i grandi parcheggi sotterranei in centro città, in particolare a San Zeno, in piazza Corrubio (dove è emersa una grande necropoli composta da decine e decine di sepolture) e in piazza degli Arditi.

1990. Durante i lavori per la realizzazione del sottopasso di Porta Palio sono stati rinvenuti scheletri che con ogni probabilità erano riconducibili ad una necropoli che esisteva ai lati della via Postumia| 

1992. Lo scheletro di un guerriero longobardo è stato rinvenuto durante i lavori di sistemazione di Palazzo Zenobi, in via Quattro Spade. Nella tomba venne anche trovato un corredo funerario costituito da armi










1998. Alcuni scheletri umani sono spuntati in Corso Cavour, all’inizio della via all’altezza del civico 2, durante i lavori di rifacimento della strada. Si trattava di quattro tombe riconducibili all’epoca romana.

Fonte: L’Arena di Verona, di Giovedì 12 Agosto 2010, CRONACA, pagina 10



VERONA: «Tombe romane sotto alla Valdonega»

I MISTERI DELLO SCHELETRO. La testimonianza di un commercialista apre nuove ipotesi sulla provenienza delle ossa rinvenute alcune settimane fa in via Pascetti. Un residente: «Anni fa, giocando, finimmo in un pozzo che dava su una stanza dal soffitto a volta Dentro c’erano vasi e mosaici»

Atroché scheletro longobardo, la Valdonega potrebbe celare chissà quali tesori, e di epoca romana. È strabiliante quanto un articolo, come quelli usciti nei giorni scorsi possa portare alla memoria fatti lasciati nel dimenticatoio per anni. È accaduto con l’ingegner Fabio Arduini che ricordava ritrovamenti di scheletri in gioventù riconducibili alla necropoli longobarda. Come potrebbe essere per lo scheletro ritrovato in via Pescetti nella cantina del fruttivendolo.

Tutto nasce, lo ricordiamo, dal ritrovamento in una cantina della Valdonega dei resti di uno scheletro seppelliti da chissà quante centinaia di anni tra il sedime e il cemento armato della costruzione. L’argomento tiene banco come giallo dell’estate qualche giorno, poi il fatto diventa molto culturale e poco di cronaca nera, ma fa nascere «confessioni» vecchie di mezzo secolo. E altroché scheletro longobardo qui c’è il rischio che salti fuori qualcosa di grosso.

C’è di più, in Valdonega. Molto di più, ad ascoltare i ricordi del professor Luigi Pace, oggi sessantottenne commercialista in pensione, che dopo aver letto gli articoli ha deciso di riportare alla luce, e non soltanto dei ricordi, un passato rimasto celato per anni e che adesso è deciso anche a denunciare alla Sovrintendenza.

«Nel 1952 avevo dieci anni. Mio padre era il proprietario di tutta l’area edificabile tra via Pescetti e via Monte Suello, venduta poi alla Cassa di Risparmio che lì realizzò le palazzine. Ricordo con certezza, ma le mie parole sono supportate dagli oggetti che ho deciso di far avere alla Sovrintendenza, che in quei terreni c’erano delle tombe romane. Anche le mie sorelle si ricordano fatti e ritrovamenti visti con gli occhi che all’epoca erano di bambini». Tombe romane? «Certo, non ho dubbi», ripete il professore. E spiega: «Giocavamo spesso in strada e a nascondino nei cantieri. La mia famiglia abitava in via Monte Suello. A cantieri aperti un giorno spuntò un pozzo. Ha presente i pozzi come sono? muretto alto e poi vuoto dentro. Eravamo bambini, ripeto, avevo dieci anni, e per noi calarsi là dentro fu il gioco più intrigante del mondo».

Novello Henry Walton, meglio noto come Indiana Jones il personaggio cinematografico ideato da George Lucas, che narra le avventure di un archeologo protagonista di una serie di film, il professore ricorda quegli anni: «Dopo esserci calati nel pozzo ci ritrovammo in una stanza con il tetto a volta. C’erano vasi, monete, mosaici. C’era chi quei vasi se li portava via, come un bambino che poi divenne un vigile del fuoco che credo essere ormai morto. E poi lui e la sorella li rivendevano a un altro signore che glieli pagava. Io purtroppo arrivai dopo di loro e mi rimasero soltanto dei cocci, ma li conservo ancora e a settembre, quando rientro in città, visto che ora sono in vacanza in montagna, porterò i miei cocci alla Sovrintendenza a testimonianza che quello che racconto è vero e per capire se è ancora possibile fare qualcosa per portare alla luce quei resti che credo siano importanti. Da ragazzino a queste cose non dai peso, ti senti importante per le tue «scoperte», ma non capisci il senso di quei ritrovamenti, anche se il fatto che ci fosse gente che pagava per avere quelle anfore mi aveva fatto intuire ha allora che qualcosa potessero valere.
 Adesso che ho una certa età ipotizzare che fu tutto ricoperto perchè non venissero stoppati i lavori mi infastidisce, così come mi addolora che una splendida villa Liberty venne abbattuta per farci sopra un’anonima palazzina».

Fonte:  srs di Alessandra Vaccari, da L’Arena di Verona di Sabato 14 Agosto 2010 CRONACA, pagina 11
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La villa patrizia scoperta 51 anni fa risale all’epoca dell’imperatore Tiberio

Valdonega la villa romana

Non sarebbe la prima volta che la Valdonega restituisce reperti di epoca romana. Il ritrovamento più importante è sicuramente quello avvenuto 51 anni fa in via Zoppi: durante la costruzione di un condominio sono affiorate le fondamenta di un grande edificio romano.

Una villa che, per la raffinatezza degli ambienti e l’alta qualità dei mosaici e degli affreschi, non aveva nulla da invidiare alle analoghe costruzioni di Roma e di Pompei. È l’esempio più importante di edilizia privata a Verona per il primo secolo dopo Cristo e in particolare dell’età di Tiberio (14-37 dopo Cristo).

La parte conservata è minima rispetto al complesso originario: tre ambienti, affacciati su un portico. Ma non è stato possibile scavare ulteriormente, per la presenza di case moderne, in un quartiere densamente abitato.  Quanto è emerso basta per dire che si tratta di una villa ricca, elegante e raffinata posta in quella che doveva essere la zona residenziale della città, in collina, al di fuori del tracciato urbano.
La villa di Valdonega era articolata a padiglione su più livelli, che rispettavano il pendio naturale del terreno e godeva di un magnifico panorama sulla città e intorno di una natura lussureggiante. Una ampia sala rettangolare di 67 metri quadrati con colonne su tre lati è l’ambiente principale: sul lato corto, senza colonne, vi è la porta di cui resta la soglia, affiancata da due finestroni per la luce proveniente da sud. Questa sala di lunghezza doppia della larghezza, era un tipico ambiente a colonne, con apertura a volta nella parte centrale e piana sopra l’ambulacro perimetrale. Molto belle le colonne, in pietra rosa, con capitelli figurati in cui si conserva un esemplare con delfini. Il pavimento è a mosaico, a tessere bianche nello spazio principale e nere vicino al perimetro. Gli spazi tra le colonne e i pannelli pavimentali sono alternativamente di due colori con tralci vegetali e policromi con foglie e uccellini entro viticci. Sulla parete era dipinto un giardino: su un frammento si vedono piante acquatiche e una piccola gabbia con uccelli.

Anche il secondo ambiente, separato dalla sala a colonne con un piccolo vano di servizio suddiviso in due parti da una soglia di pietra bianca, ha una decorazione assai ricca: mosaico bianco con cornice nera lungo i lati per il pavimento, e una notevole policromia di affreschi alle pareti: si conserva la parte inferiore con zoccolo bianco tra due fasce rosse, su cui sono dipinte piante con foglie lanceolate e uccelli.

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