sabato 6 novembre 2010

Verona 2010. Alluvione del Tramigna: «Ci hanno abbandonato» Rabbia e dolore tra le case


Sono iniziate le operazioni di ricostruzione dell´argine del Tramigna distrutto dalla furia della  della piena dello scorso fine settimana.  (FOTOSERVIZIO DI VINCENZO AMATO)


UN QUARTIERE DIMENTICATO. Al «Pertini» hanno atteso di avere delle risposte dai soccorritori. E ora sono esasperati «Ci hanno abbandonato» Rabbia e dolore tra le case
La gente: «Da quattro giorni senza luce, sacchi di sabbia e telefono. E solo oggi abbiamo saputo che l'acqua è potabile»

«Abbandonati». Era la parola che girava di bocca in bocca ieri mattina tra gli abitanti del quartiere Sandro Pertini a Monteforte. «Abbiamo aspettato quattro giorni, stamattina abbiamo deciso di dire basta: ecco perché noi stessi abbiamo chiamato i giornalisti», esclama in coro un gruppo di persone riunitesi all'ingresso del quartiere, dalla parte di via IV Novembre, alle 8 del mattino.

C'è esasperazione in quelle voci e in quei volti, la paura, la stanchezza e la voglia di uscire quanto prima dall'incubo. Ma bisogna fare i conti con la conformazione dell'area, una zona di bacino che essendo più bassa del resto del territorio comunale è quella che più lentamente, purtroppo, tornerà alla normalità. Acqua ce n'è tanta e il problema e che ce n'è ovunque anche al di fuori del quartiere: come scaricarla? Dove scaricarla?

Sono domande che nel quartiere, però, non girano: ci si chiede invece perché da lunedì, dopo che i barconi dei vigili del fuoco hanno fatto la spola per portar via la gente dalle case, non si sia visto più nessuno. «Solo oggi hanno detto che l'acqua del rubinetto è potabile, quella che ha invaso le case non scende, sacchi di sabbia col contagocce: se io avessi avuto qualche sacco forse l'acqua in casa non sarebbe entrata», protesta Cristina Priante. Davanti a lei Michele Meneghello, delegato alla sicurezza, che si sgola a dire che la sabbia è arrivata solo martedì. E la donna, con a fianco il marito Gabriele Bolla, a ribattere: «Ci avete lasciati nella disperazione».

La stessa disperazione del quartiere Aldo Moro, della Madonnina, di via Alpone e di via Cappuccini: e quando sei nella disperazione non c'è spiegazione che tenga, non c'è priorità che diventi comprensibile. Lì in zona, però, ci si poteva arrivare solo con i mezzi anfibi, «o con le barche, ma abbiamo saputo che dobbiamo essere noi, quando di giorno torniamo a casa dopo aver dormito da parenti, amici o al centro di accoglienza di San Bonifacio, ad andare in Comune a chiedere: assurdo in questa situazione», rimarca la donna. Già perché stando agli stessi residenti il 95% degli abitanti avrebbe lasciato le case (parliamo di circa 250 famiglie), ma ci torna di giorno, per controllare la casa, temendo furti e sperando in piccoli miglioramenti.

«E invece non sembra muoversi niente. Sabato piove e noi siamo ancora qua», piange Fernando Avogaro. Ha sei figli sparpagliati da parenti e quando la sua famiglia se n'è andata sui barconi dei pompieri è rimasto a casa: col suo vicino Walter Rigon ha passato ore al fianco di un'anziana per assicurarsi che il gruppo di continuità che alimenta la bombola dell'ossigeno non si esaurisse. «Ce l'hanno portato e poi non abbiamo visto più nessuno. L'unica cosa che abbiamo sentito è stato l'ordine evacuare, evacuare, evacuare». Ha ancora un metro e mezzo di fiume nel garage e in casa la vita della sua famiglia è accatastata ai piani alti. «C'è il divieto di pompare acqua dai garage, è giusto: lo faremo tutti quando ci saranno le condizioni» diceva ieri mattina. Ma ieri sera, invece, era amaro il commento: «Ho sbagliato! A mezzogiorno c'era stato un piccolo deflusso, ma da ore qui non si muove nulla, è un lago».
Ieri mattina la scena era paradossale: c'era la ronda dei carabinieri e della protezione civile anche per vigilare che nessuno pompasse acqua dai garage. Appena scomparsi dalla vista i mezzi, però, sentivi accendersi il motore di più di qualche pompa e poco dopo le voci concitate di chi voleva farle funzionare e di chi invece voleva spegnerle. Alle 11 un megafono ribadisce che l'acqua non si toccava. Daniele Brazzarola guarda desolato l'appartamento della madre, sfollata a Belfiore da parenti: il giro scale verso il garage invaso dall'acqua. «Lunedì ho saputo che non c'erano più sacchi di sabbia, ecco l'unica cosa che ho sentito», dice. E aggiunge: «Non c'è stata alcuna comunicazione, eccezion fatta per la chiusura delle scuole e il divieto di prelievo. Stamattina (ieri per chi legge, ndr) sono andato in Comune e ho dato la disponibilità ad essere il referente della protezione civile del quartiere: voglio fare qualcosa, come i pompieri hanno fatto per noi».

Maurizio Cagnoni propone un encomio solenne agli uomini del comandante dei vigili del fuoco di Verona, Mario Sarno: «Hanno portato in salvo le persone dispensando anche carezze e affetto. Quando l'altro giorno ho protestato in piazza», spiega, «non ce l'avevo con il prefetto ma col responsabile provinciale della Protezione civile. Noi in quartiere la protezione civile non l'abbiamo vista, o meglio abbiamo visto gruppi di volontari con le braccia incrociate».

A nulla sembra valere ricordare, in questa situazione, che se non si svuota a monte non si può svuotare a valle. A nulla serve riconoscere che in certe situazioni l'uomo, anche il più competente, deve arrendersi ai tempi della natura. A nulla sembra servire riflettere sul fatto che centinaia di persone, per mestiere o volontariato, dormono sì e no due ore per notte da quattro giorni ma un fiume, o due, rovesciatisi nei quartieri non si eliminano con la semplice volontà di farlo.

Tiziano Sperandio ha messo in salvo moglie e figlie ma è uno di quelli che dorme a casa, «troppa paura degli sciacalli». Al civico 24, quattro villette e due appartamenti, ci si dà il turno di guardia, per restare a dormire a casa: e tutti, all'inizio della settimana i sacchi se li sono fatti da soli, «riempiendo di terra sacchi della spazzatura e sacchetti della spesa» che ancora presidiano l'ingresso delle case. «Non ne usciremo mai se si svuota a valle e si pompa a monte», dice Sheila Veronese, ingegnere elettronico, puntando il dito sulla «contraddittorietà di pompaggi e aspirazioni». Abita al civico 33, una palazzina che conta 14 famiglie. Tra loro quelle di Romina Veneri (un bimbo di 15 mesi, uno di 13 anni ed uno di 10 anni) e Barbara Ginepro (tre figli di 10 mesi, 5 e 10 anni): «Non siamo stati evacuati perché qui l'acqua è salita di qualche centimetro. Nonostante i contatori siano in sicurezza siamo senza luce e coi bambini piccoli. Abbiamo le case ancora un po' calde, ma solo perché quando abbiamo visto l'acqua salire abbiamo messo il riscaldamento al massimo temendo distacchi di energia elettrica. Se ripristinassero la luce potremo essere d'aiuto a chi ha problemi più seri, facendo una lavatrice, garantendo una doccia calda, liberando il gruppo elettrogeno che usiamo per illuminare il complesso ed evitare i furti».

Ieri in tarda mattinata i tecnici dell'Enel hanno passato casa per casa: dove possibile la corrente è stata ripristinata, ma sono casi isolati. La sorte comune, però, alimenta la solidarietà tra vicini: così proprio in quel complesso l'altra sera è stato acceso il barbecue e si è cenato in lunghe tavolate nei garage. Menù: la roba scongelata di ognuno condivisa tra tutti. «Il problema grosso è stata la mancata comunicazione: per giorni non si è saputo se l'acqua era potabile, se gli impianti del gas erano sicuri, se e come far funzionare gli scarichi dell'acqua: dateci la luce», dicono le tre donne in coro, «in questo modo chi ha spazio può ospitare qualcuno e portarlo via dai centri di accoglienza».

Fonte: srs di Paola Dalli Cani da L’Arena di Verona di Venerdì 05 Novembre 2010 CRONACA, pagina 14


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