giovedì 9 dicembre 2010

Anno 2008. Il sindaco Tosi Svende Verona: AAA… Verona vendesi o svendesi Palazzi storici

Palazzo Forti. Ingresso del museo di arte moderna

Verona. Che le amministrazioni leghiste riescano a dare un’ immagine con  qualche  lacuna, o carenza  di sensibilità  culturale,  sembra essere  un fatto ormai assodata, basta vedere anche qui a Verona  la diatriba di Tosi con la soprintendenza. 
Ma che si riesca ad arrivare a mettere in vendita, in blocco, patrimoni di estimabile valore culturale e storico della comunità veronese, proprio nessuno se lo aspettava o immaginava, anche perchè eravamo appena stati feriti dalla vendita effettuata dalla precedente amministrazioni  del sindaco Zanotto di area centrosinistra,  di uno dei  “gioielli”  che è Castel San Pietro.  
Il seguente articolo tratto dall’Arena di Verona, del 11 maggio 2008, illustra molto bene la gravità della situazione che  la quasi totalità dei cittadini veronesi considera  una folle idea.
Altro che città dichiarata patrimonio protetto dall’Unesco

PALAZZI STORICI.

Sul portale on line del Comune l’invito «a manifestare interesse». E le schede tecniche e storiche

Gioielli di famiglia in vendita a 110 milioni.  Quasi 65 potrebbero arrivare da Palazzo Forti, ma la polemica continua:  E poi i palazzi Gobetti e Pompei, la sede dei vigili urbani, il Bar Borsa:

Il Comune mette in vendita altri gioielli di famiglia per fare cassa, per «far schei».
I gioielli si chiamano palazzi storici.  Guai a chi li chiama ancora contenitori, perché con i barattoli non hanno alcunché da spartire.

Quindi, come risulta dal sito internet del Comune che pubblica le schede tecniche dei singoli immobili e il loro valore: vendesi Palazzo Forti e l’isolato fra via Forti e vicolo Due Mori, sede della Galleria d’arte moderna; poi, vendonsi Palazzo Pompei e Palazzo Gobetti, le due sedi del museo di Storia naturale (che dovrà andare al Palazzo del Capitanio, quando sarà restaurato); e ancora, l’ex convento San Domenico, in via del Pontiere 32, sede del comando della polizia municipale; poi il Bar Borsa, in corso Porta Nuova, sotto l’orologio della Bra.

A queste operazioni si aggiunge il bando di gara per la messa in vendita di una quota di lotto di Casa Pozza, in Comune di San Martino Buon Albergo, parte del Lascito Forti.

LA PARTITA.

Da questo piano di vendite il Comune prevede di ricavare complessivamente circa 110 milioni di euro, a cui dovrebbero aggiungersi i tre milioni e mezzo più 32 alloggi per la vendita all’Ater di un lotto del Prusst vicino all’ex mercato, a Verona Sud, i sei milioni circa per la vendita di aree per case alla Sarmar-Valdadige, gli otto milioni presumibili per il lotto di Casa Pozza e i tre-quattro milioni del Bar Borsa. In totale, quindi, circa 130 milioni di euro.

PALAZZO FORTI.

È certamente la vendita più contestata, sia dalle opposizioni in Consiglio comunale sia da esponenti della cultura cittadina. Ma tant’è. Palazzo Forti, sede della Galleria d’arte moderna, sarà venduto, insieme all’edificio dell’omonimo isolato che comprende 35 alloggi, quattro negozi, un laboratorio e un magazzino.
Il palazzo, che porta il nome del suo ultimo proprietario, lo scienziato Achille Forti (che lo donò al Comune, vincolandolo a ospitare la galleria d’arte, insieme a una eredità che costituisce il Lascito Forti, per sostenere persone disagiate) risale al XIII secolo ed è un edificio di cinque piani che si sviluppa su una superficie di 7.990 metri quadrati. Ha un probabile valore complessivo di 45 milioni 384mila euro, mentre quello dell’edificio vicino (5.162 metri quadrati) è di 19 milioni 615mila euro.
 «Per ospitare la Galleria d’arte moderna», spiega l’assessore comunale al patrimonio, Daniele Polato, «la soluzione migliore per noi sarebbe Castel San Pietro, ora proprietà della Fondazione Cariverona».

PROTESTE.

La vendita di palazzo Forti rappresenta per alcune associazioni cittadine, un «fatto grave che ancora una volta va a ledere la cultura», dice Giambattista Ruffo, responsabile di Verona Arte contemporanea. Ruffo spiega che le visite dei probabili acquirenti sono «continue».

«C’è un fatto morale, quello testamentario, e poi uno architettonico», precisa l’architetto Giorgio Forti, «questo è uno dei pochi palazzi nobiliari integri che si vuole frazionare per una concezione affaristica».
E aggiunge: «Come si può pretendere che i privati intervengano nel pubblico se la volontà di un privato donatore viene così disattesa?».

Una osservazione che fa anche Michele Bertucco, di Legambiente, che annuncia:  «Faremo osservazioni alla delibera che prevede questo obbrobrio». Unanimi nel dissenso anche Italia Nostra, il Wwf e il Fai. (ha collaborato Giorgia Cozzolino)



Fonte: srs di Enrico Giardini, da  L’Arena di Verona di sabato 11 maggio, 2008 pag.  9

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