martedì 1 febbraio 2011

ASPETTI STORICI DELLA MISSIONE DI GIOVANNI DA MONTECORVINO NEL CATHAY (CINA)

Beato Giovanni da Montecorvino

Di Pacifico Sella

Summary: The author sheds light on some historical aspects of the Franciscan missionary venture in the Far East (14th century), in order to review it.  A new visitation of those events shows the factors which contributed to favor the foundation of the Catholic Church in Cathay (a strong missionary impulse of the medieval Franciscan movement, openness of Mongol sovereigns towards Christianity, geographic unity oj the Mongol empire, and good communications throughout the territory) and to its extinction (fall of the Mongol Yuan dynasty and rise of the Ming dynasty, the conversion of Persian Mongols to Islam, which caused the breaking of century old terrestrial communications, the black pest of  1348, and evangelization, more oriented to Mongol groups than to the Chinese indigenes).

A fra Tarcisio Manta, ofm


Premessa

Sin dai primi momenti in cui Francesco scopre la sua chiamata, l'annuncio del Regno di Dio assurge subito in lui quale realtà primaria della sua scelta religiosa. Non intendo qui addentrarmi nella mens missionaria di Francesco e dei suoi primi compagni, dico semplicemente che l'evangelizzazione è il fine essenziale del carisma dell'Ordine dei frati Minori che Francesco ha fondato (1). Tale finalità ha da sempre caratterizzato la storia del Primo Ordine francescano nelle sue svariate contingenze storiche. Se si pensa ad es. all'espansione dell'Ordine in Europa, essa fu prodotta innanzi tutto dall'apprensione missionaria: l'invio dei primi frati missionari in Germania, in Spagna e in Terra Santa portò poi alla fondazione canonica di quelle province minoritiche(2).

Inoltre non si deve sottovalutare lo sviluppo incredibile che l'Ordine ebbe già negli anni '20 e '30 del Duecento con conseguenze certamente impreviste dallo stesso Francesco(3). Oltre che ad entrare nell'Ordine fedeli appartenenti ai bassi ceti sociali, ben presto le vocazioni incominciarono a provenire dalle classi più abbienti tanto da coinvolgere e legare alla nova religio  quelle stesse famiglie - nobiliari e mercantili - i cui membri ne avessero abbracciato la vita(4). Se da una parte, l'afflusso in seno all'Ordine dei figli dell'alta società medievale otteneva al medesimo aiuto e protezione, dall'altra faceva sì che esso diventasse uno strumento pastoralmente duttile nelle mani della Chiesa, oggetto di incarichi diplomatici e missionari di fiducia(5) che, con conseguente promozione ai gradi ecclesiastici, poteva suscitare perplessità qualora si considerasse la professione della Regola e l'impegno alla minorità che ne avrebbe dovuto  conseguire(6) .
La figura del minorita Giovanni da Montecorvino, come quella di molti altri frati, in un certo senso, incarna questa complessa realtà vissuta dall'Ordine in questo tempo: la tensione evangelizzatrice propria del carisma francescano che si realizza anche in quei delicati e alti servizi ecclesiastici - come è quello diplomatico - richiesti dalla Santa Sede ai Frati Minori.

Giovanni da Montecorvino

Fra Giovanni da Montecorvino nacque nel 1247(7) a Monte Corvino (oggi Montecorvino Rovella) ai piedi dei monti Picentini non molto distante da Salerno(8), forse della nobile famiglia dei Pico di Monte Corvino ora Estinta(9). Della sua, vita prima dell'entrata nell'Ordine, si sa pressoché nulla. Una fonte tardiva, il Chronicon Bohemicum di fra Giovanni da Marignolli, lo dice «miles, iudex et doctor» di Federico II (†1250); informazione erronea visto l'anno di nascita del Corvinate (10)   

Da religioso sembra abbia curato con diligenza gli studi, tanto da ricoprire poi l'ufficio di predicatore e lettore presso gli studenti dell'Ordine. Da alcune espressioni contenute nella Cronaca di fra Elemosina, si potrebbe ipotizzare - con il Wyngaert - che egli appartenesse alla corrente degli spirituali(11).

Il primo incarico missionario che fra Giovanni assolse risale al generalato di fra Buonagrazia Tielci da S. Giovanni in Persiceto (1279- 1283).  Sembra che fosse a capo di un gruppo di missionari diretti in Armenia e Persia (12).  Il primo impiego diplomatico che Giovanni da Montecorvino assolse consegue appunto alla sua presenza quale missionario in Armenia.  Egli infatti nell' estate del 1289 si presentò alla corte papale in Rieti quale inviato del re armeno Aitone II(13) , latore di lettere impetranti l'aiuto di papa Nicolò IV contro la costante minaccia d'invasione da parte  dei mammelucchi, conseguente al mancato pagamento di esosi tributi richiesti a quel re(14). Nell'esposizione della situazione politica armena che il Corvinate dovette fare al papa, egli non si limitò ovviamente a quelle che dovevano essere solo le problematiche armene.  In effetti Giovanni da Montecorvino, quale missionario, era reduce da un lungo sopraluogo non solo in Armenia ma anche in Persia, che in questo tempo era ancora per  buona parte nestoriana(15).

Importante qui segnalare che nel 1288 Nicolò IV ricevette una delegazione diplomatica mandata dall'Il-Khan Argon(16)  e dal catholicos nestoriano Màr Yahbhallàhà III(17).  Tale delegazione era guidata dal vescovo nestoriano Bar Çauma(18). Questi sembra aver riferito al papa che il Gran Khan del Cathay, Qubilai, nutrisse un forte interesse nei riguardi della religione cristiana(19).  Tali informazioni disposero il papa a inviare in Oriente Giovanni da Montecorvino con l'incarico di consegnare numerose epistole che la Santa Sede inviava  ai patriarchi dei giacobini e dei georgiani, e ai sovrani di Armenia, di Georgia, di Persia e di Etiopia (India?), in totale 27 lettere(20).  Ciò dimostra la ferma volontà di Nicolò IV di instaurare relazioni diplomatiche con i  sovrani di tutti questi paesi al fine di poterli convertire alla fede cattolica e,  convertendoli alla fede, costituire un fronte crociato comune contro l'espansione dell'Islam(21).  Di queste, solo otto sono state pubblicate nel Bullarium Franciscanum.  Quest'ultime sono quelle inviate al patriarca dei giacobiti(22), a Dionisio vescovo di Tabriz (23), ad Aitone II re d'Armenia(24), a Maria zia di questi(25), a Leone conestabile del medesimo(26), al Gran Khan Qubulai (29), a Caidu Khan del Ciagatai (Asia centrale) (28) e peraltro nemico principale di Qubilai(29), e ad Argon Il-Khan di Persia (30).

Il viaggio

Sul viaggio che Giovanni da Montecorvino effettuò, abbiamo poche notizie. Cosa certa è che egli raggiunse le diverse località a cui lo destinava l'obbedienza del pontefice, seguendo le vie già percorse dai mercanti del tempo(31).  Innanzi tutto non si sa quando egli giunse a consegnare le diverse lettere pontificie ai rispettivi destinatari. Dalla sua seconda lettera (anno 1305) sappiamo che lasciò Tabriz, sede degli Il-Khan, nel 1291(32), dove evidentemente sostò per tutto il 1290 per poter espletare gli incarichi diplomatici impartitigli dal papa. Nel viaggio da Tabriz al Cathay, il Corvinate ebbe due compagni: il domenicano fra Nicola di Pistoia, che morì nel passaggio dell'India(33), e un mercante veneziano di Home Pietro di Luca Longo, con cui contrarrà una salda e duratura amicìzia(34). Il soggiorno indiano durò tredici mesi, tempo in cui Giovanni da Montecorvino svolse attività missionaria presso i locali(35). Inoltre in questo periodo egli scrisse la sua prima lettera. Ritengo che il testo originale di questa prima lettera sia andato smarrito; ne possediamo un compendio in volgare redatto da un frate domenicano, frate Menentillo da Spoleto(36)

È presumibile che Giovanni da Montecorvino sia giunto nel Cathay all'inizio del 1293(37), approdando in uno dei porti della costa, forse Hangchow da dove partiva un lungo canale - il famoso Canale Imperiale - che collegava questa città con Cambalik (l'odierna Pechino). Fece quindi in tempo ad essere accolto dal vecchio Gran Khan Qubilai († 1294), e quale  legatus domini pape ricevette un locum a corte e il diritto di entrare liberamente e rimanere(38).

Prima di proseguire con la descrizione dell'attività missionaria di Giovanni da Montecorvino, è importante delineare per sommi capi la situazione politica e religiosa che si era venuta a creare in Cina con l'avvento al potere di Qubilai-khan; ciò ci permette di comprendere meglio il contesto in cui si svolse la sua azione apostolica.

Qubilai-khan (39)

Qubilai nacque il 25 settembre 1215. Giovane precoce, impressionò assai positivamente Gengiz-khan per la sua spigliata intelligenza. La sua fortuna politica ebbe inizio con l'avvento al trono del Gran Khan Mongka (1251-1259)(40).  Questi ultimò la spedizione contro Bagdad portando alla definitiva caduta di quel califfato abbaside (1258) ed annientando la terribile setta degli Assassini.  Mongka affidò questa campagna al suo terzo fratello, Hulagu (1260-1265)(41), che diventerà signore di tutti quei nuovi territori conquistati all'impero, - Persia e Irak - dando così inizio alla dinastia tartara di levante, gli Il-Khan appunto.

In questo nuovo ambito di espansione imperiale, Mongka incaricò il suo secondo fratello, Qubilai, di portare a termine la conquista della Cina dei Sung.  Mentre questa campagna bellica era nel pieno del suo decorso, Mongka morì improvvisamente. Era l'11 agosto 1259(42). Al fine di assicurarsi la successione, Qubilai subito si recò al confine mongolo-cinese e, con il grosso delle sue truppe sostenuto dai suoi generali, convocò un suo quriltai (l'assemblea elettiva mongola) che lo elesse Gran Khan.

Con l'elezione di Qubilai i mongoli - almeno per quelli alleati a questo gran-kahn - si disposero ad assumere sempre più i costumi del vivere cinese, perdendo progressivamente il loro carattere nomade. Si potrebbe dire che Qubilai, l'ultimo grande artefice del dominio mongolo in Asia orientale, fu lui stesso attratto dalla più evoluta e seducente cultura cinese.

Le reazioni del partito conservatore mongolo capeggiate dal fratello minore Ariq-Boka(43), quarto fratello di Mongka e Khan della Mongolia, a  nulla valsero.  Di fatto Qubilai salito al trono nel maggio 1260, trasferì la  capitale del suo impero da Qaraqorum a Cambalik (Città dell'Imperatore),  adottando - secondo lo stile cinese - il nome dinastico ufficiale di Yuan (= "primo principio")(44).  Nel 1280 portò a termine la completa conquista della Cina meridionale espugnando i territori che erano ancora in mano ai Sung (45). Estese la sua egemonia fino all'Indocina (Cambogia, Vietnam, Birmania) e al Tibet: praticamente tutto l'Estremo Oriente era per la prima volta soggetto ad un'unica dinastia esterna al mondo cinese.  Qubilai-khan tentò per due volte (1274 e 1281) la conquista del Giappone; impresa che non gli riuscì e che gli costò la perdita di più di 100mila soldati.  Nel 1293 tentò di soggiogare Giava, ma anche questa campagna bellica fallì(46).

La sinizzazione dell'impero mongolo orientale comportò da subito che il Gran Khanato del Cathay si trovasse cronicamente in guerra con il canato confinante del Ciaghatai il cui Khan era Caidu, nipote di Qubilai, del partito conservatore e che, come tale, riconosceva illegittima la proclamazione di suo zio a Gran Khan(47).  Di qui venne a rompersi la pax mongolica che aveva dominato quelle vaste regioni e che aveva favorito il libero traffico carovaniero mercantile da un estremo all' altro dell'Asia(48). Praticamente la situazione politica che si era andata creando con l'elezione illegittima di Qubilai portò il grande impero mongolo alla divisione in quattro grandi khanati: oltre all'Il-Khanato di Persia e al Gran-Khanato del Cathay, ci fu il Khanato del Kipciak o di Ponente o dell'Orda d'Oro (che comprendeva tutto il territorio tra la Polonia e gli Urali) a cui capo c'era il grande Batu e dopo di lui Berke, entrambi nipoti di Gengiz-khan; il quarto khanato - già sopra citato - era quello del Ciagatai o del Tarbagatai (comprendente le steppe che andavano dal Lago d'Arai fino ai Monti Altai e su fino ai Monti Sajani e fino in Siberia) sotto il comando del già soprannomi nato Caidu(49).

Qubilai-khan ordinò il suo impero dando spazio alle plurietnie che lo costituivano. Il principio ispiratore di un simile governo fu quello di riconoscere all'etnia dominante, i mongoli appunto, una posizione di assoluto predominio, lasciando ai cinesi la possibilità di un autogoverno senza però interferire in questioni militari e politiche. Praticamente egli elaborò un sistema legislativo che potesse lasciare convivere popoli di diversa struttura sociale, assegnando a ciascuno di essi diverse posizioni di potere: la legislazione per nazionalità. I gruppi nazionali che vennero ad essere così compresi nel sistema legislativo di Qubilai furono quattro: i mongoli, i se-mu-jen (gente dagli occhi colorati), gli han-jen (i cinesi del nord) e i nan-jen (i cinesi del sud)50.

Gerarchicamente la gente mongola aveva la precedenza su tutti gli altri tre gruppi. In ordine d'importanza seguivano i semu-jen comprendenti tutte quelle etnie centro asiatiche che, alleate dei mongoli, avevano collaborato con il gruppo dominante nella fondazione dell'impero. I semu-jen potevano coprire le alte cariche statali, usare armi, erano privilegiati sia nel campo politico come in quello penale".  Gli han-jen (che comprendevano, cioé i Jurcin, i Khitan, i Coreani) e i nan-jen potevano al limite entrare nelle file dell'esercito ma comunemente svolgevano lavoro servile presso le classi  superiori (52)

Sotto l'egemone governo di Qubilai e dei suoi successori fiorirono i commerci che, come tali, comportarono contatti culturali tra l'Estremo Oriente e l'Occidente. Ciò venne enormemente facilitato dalla pax mongolica (sebbene oramai fosse una realtà ristretta ai soli khanati del Cathay e degli Il-Khan) che permetteva l'osmosi tra le svariate culture che componevano l'impero mongolo.  Ne conseguì che nelle metropoli cinesi - specialmente  nella Cambalik mongola - confluirono mercanti provenienti da tutte le aree asiatiche e, mediante essi, le religioni a cui appartenevano. Anzi, veniva riconosciuta la possibilità ad ogni religione di inserirsi nell'ambiente della grande capitale. Cambalik divenne così una città cosmopolita pullulante di colonie straniere, una città dai mille risvolti culturali e religiosi (53).

È questo contesto di floridezza e benessere - ma anche di estrema miseria(54) - che caratterizza l'ambito entro cui si muove, agisce e lotta il primo frate minore lì giunto: frate Giovanni da Montecorvino.

Un dato che a noi preme evidenziare è l'evoluzione culturale di tutta la comunità tartara degli Yuan, realizzata anche per opera di un geniale lama tibetano di nome Phags-pa  (†1280)(55). Inoltre Phags-pa realizzò un alfabeto, il quale si componeva di quarantuno caratteri atti a distinguere i suoni della complessa fonetica mongola(56). Questa scrittura venne ufficialmente introdotta nel 1269 (o 1267) in tutti i documenti al posto di quella cinese o della scrittura uighurica(57).  Durante la permanenza del lama alla corte imperiale, si ebbe che per sua opera Qubilai riuscì ad assoggettare il Tibet e che, come conseguenza, il buddismo lamaistico ebbe il sopravvento sul taoismo e sul confucianesimo, e l'emarginazione dei rappresentanti di queste religioni dalla vita di corte(68).

Bene afferma Eichhom quando scrive che per l'importanza coperta dalla scrittura nella vita culturale dell'Asia orientale, «si forniva ai mongoli un mezzo per sviluppare una propria cultura che fosse separata da quella cinese. Si toglieva soprattutto ai confuciani la possibilità di acquisire un'influenza maggiore nelle cose dei mongoli attraverso la loro conoscenza della scrittura». Però la scrittura creata dal giovane lama tibetano rimase in  uso solo per la durata dell'impero mongolo: scomparve completamente con l'estinzione della dinastia Yuan(59).

I nestoriani

Sorvolo qui la problematica relativa alla presenza musulmana nel Cathay. Mi limito a dire che l'Islam non ebbe grande influenza sull'apostolato dei missionari cristiani, sebbene si debba riconoscere che in forza di contingenti militari saraceni usati da Qubilai per la conquista del meridione cinese, molti musulmani si insediarono nello Yunnan, costituendo fino ad oggi una roccaforte musulmana in terra cinese(60).

Molto più importante è evidenziare il contorno nestoriano che contrassegnava la religiosità dei cristiani tartari.  Il nestorianesimo comparve in Cina all'epoca della dinastia T'ang (581-907): nel 635 un imperatore T'ang permette ad un monaco persiano di nome A-lo-pen di diffondere la sua dottrina della Sacra Scrittura(61).  Nei secoli successivi il nestorianesimo si diffonderà sempre più nell'impero cinese finché la terribile persecuzione dell'843-845, decretandone la totale scomparsa, costringerà i  nestoriani  superstiti ad emigrare presso le tribù nomadi turcotatare stanzianti nei territori a nord dell'impero cinese(62).

Al tempo dell'epoca della dinastia Yuan la chiesa nestoriana possedeva un'organizzazione gerarchicamente costituita e godeva di privilegi e protezioni da parte delle autorità politiche e pagane dell'impero mongolo. Di fatto è con i rappresentanti di questa chiesa, che si scontrò fra Guglielmo di Rubruck nella sua visita a Karakorum (1254) al tempo di Mongka-khan.  In un contradictorium pubblico tenuto alla presenza di Mongka, fra Guglielmo condanna i loro errori dottrinali e, stando a quanto riferisce nel suo Itinerarium,  li definisce corrotti, viziosi, ignoranti, bugiardi, simoniaci, beoni ecc.(63).

Può darsi che un fondamento di verità nelle parole di fra Guglielmo di Rubruck ci sia stato, se simile ritratto dei nestoriani è fatto dallo stesso Giovanni da Montecorvino. In effetti quando quest'ultimo parla delle sofferenze subite per opera di questi alla corte imperiale di Cambalik, non è da meno di fra Guglielmo nel tracciarli da ipocriti, corrotti e calunniatori(64).  Tale attrito tra i vertici gerarchici nestoriani e il rappresentante cattolico segna l'esordio con cui il cattolicesimo si insediò ufficialmente nella Città del Gran Khan tentando, una volta superato l'ostilità nestoriana, di diffondersi per tutto l'impero.

L'opera missionaria di Giovanni da Montecorvino

Giovanni da Montecorvino scrisse due lettere, dalle quali possiamo desumere la portata della sua opera missionaria. In queste sue due epistole - la prima dell'8 gennaio 1305 e la seconda del 13 febbraio 1306 -, ci informa che egli rimase in completa solitudine per undici anni, fintantoché non arrivò fra Arnoldo di Colonia(65). In questo arco di tempo molto ebbe a soffrire per le calunnie dei nestoriani, che continuamente l'osteggiavano fino a portarlo in giudizio davanti all'imperatore Timur con la minaccia di essere condannato a morte.  Ma riusciva sempre a cavarsela, anche perché l'imperatore intuiva l'invidia dei nestoriani nei confronti del missionario(66).

Dalle sue lettere oltre alla costruzione di due chiese in Cambalik (il cui terreno, per una di queste, gli era stato donato dal mercante suo amico Pietro di Lucalongo(67) ) e al battesimo di migliaia di fedeli, apprendiamo dell' educazione di una quarantina di fanciulli indigeni, di età compresa tra i 7 e gli 11 anni, che egli aveva riscattato - comprato - dalle famiglie povere della capitale.  Li battezza, insegna loro a leggere e a scrivere il latino e a recitare il salterio che poi, alcuni di loro impareranno a ricopiare.  Inoltre insegna loro cantare, tanto che l'imperatore si diletta ad ascoltarli(68).

Quella di comperare fanciulli presso le famiglie povere per educarli a qualche particolare disciplina o farne dei neofiti di qualche religione, era una prassi largamente in uso in Oriente sia presso i cristiani che presso i musulmani.  È anche mediante questa prassi che i musulmani riusciranno ad espandersi nella Cina dei mongoli(69).  Ora è probabile che fra Giovanni abbia fatto proprio questo metodo con l'intento evidente di costituire, trovandosi da solo, una cerchia di piccoli collaboratori.  In effetti recita e canta con loro l'Ufficio delle ore e fa ricopiare loro i testi liturgici et alia oportuna (70).

Dalla testimonianza resaci da alcuni documenti (lettera dei francescani di Caffa al Capitolo Generale del 1323(71) e il De Gestis et factis trium Regnum beatorum scritto nel 1364 da un anonimo tedesco(72))  si può desumere innanzitutto che il metodo fondamentale di apostolato consisteva nel ricorrere alla formazione religiosa dei fanciulli, acquistati presso le famiglie delle classi più miserabili o ceduti ai frati dai mercanti stessi, per porre le basi costitutive di un clero religioso indigeno finalizzato alla missione e alla conversione delle popolazioni locali.  Da ciò si comprende che la compravendita di bambini era assai diffusa in tutta la Tartaria e i mercanti - cristiani e musulmani - ne erano i principali fautori.   I missionari francescani, ignoranti della lingua tartara e preoccupati di instaurare un certo rapporto missionario con i tartari stessi e con le popolazioni a loro più vicine o affini, cercarono, da questo incontrovertibile stato di cose, come era la tratta dei bambini, di trarre il maggior vantaggio possibile che potesse garantire la predicazione del vangelo e, nei tempi futuri, la costituzione di una dirigenza ecclesiastica locale, visto che l'arrivo di rinforzi missionari dall'Occidente risultava scarso ed insicuro.

Giovanni da Montecorvino, prendendo forse ispirazione dai musulmani che certamente ben conosceva, con la compera di questi quaranta giovinetti, sembra aver inaugurato per primo un metodo di apostolato missionario che potrebbe aver fatto scuola a tutti quei frati che si insedieranno in Tartaria.

La sua attività missionaria si concentrò soprattutto sugli armeni, sugli alani(73)  e sui tartari nestoriani della tribù degli Ongut (nella regione cinese dei Tenduc)(74)  stanziata a circa venti diete(75)  da Cambalik in direzione sudovest.  Riuscì a convertire al cattolicesimo il capo di quest'ultimi, il re Giorgio(76).  E' tanta l'ammirazione che Giovanni da Montecorvino ha per questo sovrano, che egli lo paragona al mitico re-presbitero Giovanni: un re che era anche sacerdote e che sarebbe venuto dall'Oriente con le sue armate a liberare il mondo cristiano dalla minaccia musulmana(77).  Re Giorgio,  convertendosi al cattolicesimo, ricevette da Giovanni da Montecorvino gli ordini minori: l'accolitato, l'esorcistato, il lettorato e l'ostiariato(78), e ciò a imitazione del Gran Khan Qubilai che, secondo la prassi iniziata dal lama Phags-pa, ricevette la consacrazione buddista negli anni 50 del '200 - cosa che fu iterata nei suoi successori - con l'evidente intento di vincolare così l'imperatore al potere religioso(79).  Il conferimento degli ordini minori al re Giorgio, comportava che questi divenisse un collaboratore diretto di fra Giovanni nell'evangelizzazione degli Ongut e, inoltre, una possibile àncora di salvezza per il Corvinate, qualora la difficile situazione creatagli dai nestoriani a Cambalik fosse precipitata.

I nestoriani della tribù di re Giorgio reagirono accusando il loro re di apostasia.  Ma, sollecitati dal suo esempio, molti del suo popolo aderirono alla fede cattolica ed edificarono, dietro ordine del re, una chiesa titolandola a S. Giovanni, in segno di amicizia e riconoscenza verso il frate(80).

Tale successo riscosso presso i tartari Ongut, ebbe ad abortire causa la prematura morte del re. Sembra egli essere stato fatto prigioniero e messo a morte in Mongolia dai mongoli alleati di Caidu e nemici di Qubilai e dei suoi successori. Gli subentrò il nestoriano Juhunan (forma siriaca di Giovanni), il quale riportò gli Ongut alla fede nestoriana vanificando così l'opera del missionario francescano(81).

Giovanni è cosciente di non aver potuto prevenire questo fallimento non potendo recarsi alla chiesa fondata presso quei tartari, infatti verso la fine del quarto capoverso dell'epistola del 1305 scrive: «Et quia ego fui solus nec potui recedere ab imperatore Chaam, ire non potui ad illam ecclesiam que distat ad xx dietas»(82).  Fra Giovanni attribuisce l'impossibilità di evitare il "fallimento", o quantomeno di ridurne le conseguenze,  al fatto d'essere solus, senza fratelli nella religione e collaboratori.  Significativo è il fatto che egli abbia ferma speranza che tutto si possa sistemare con l'arrivo di qualche buon collaboratore: «Tamen si venerint aliqui boni coadiutores  et cooperatores,  spero in Deo quod  totum poterit  reformari»(83) .

È sempre da questa lettera che veniamo ad essere informati sulla traduzione del NT e del salterio in lingua tartara.  Ciò la dice lunga sulla capacità glottologica del nostro missionario di apprendere e di studiare le lingue, tanto più che egli non si limita a conversare senza difficoltà con i locali (cfr. conversione del re Giorgio) ma anche di tradurre in tartaro il NT e il salterio.  Egli confessa di aver celebrato la messa nella chiesa eretta presso re Giorgio secondo il rito latino, ma in linguaggio tartaro  tam verba canonis quam prefationis(84).

Questa particolare attenzione di fra Giovanni al mezzo linguistico induce a immaginare l'ambiente etnico in cui egli svolgeva il suo apostolato. L'aver tradotto il Nuovo Testamento, il Salterio e il messale nell'idioma tartaro, fa intuire, indirettamente, a quale livello della società orientale egli operasse.  Infatti la sua evangelizzazione, in mezzo a quel coacervo di popoli e razze che era in realtà il Cathay, sembra essere circoscritta solo al privilegiato gruppo tartaro e ai suoi alleati semu-jen (armeni ed alani). L'aver tradotto i testi sacri in mongolo indicherebbe chiaramente che egli si era rivolto principalmente all'evangelizzazione dei tartari e non dei cinesi in generale. Una conferma di ciò deriva da un altro fatto, sempre narrato dallo stesso Giovanni da Montecorvino nelle sue lettere: le didascalie poste in calce agli affreschi, di una delle due chiese costruite in Pechino, erano in latino, in persiano e in tartaro(85).  Gran parte del suo operato si sarebbe allora limitato alla conversione di questo gruppo e non al resto della massa che in fin dei conti era a codesto sottomessa.

Rimane difficile dare una risposta che possa essere illuminante circa la strategia missionaria del Francescano di Cambalik.  Plausibile è pensare che operando sulla classe sociale dominante avrebbe facilmente ottenuto la conversione della dominata.  Con la conversione di un certo numero di tartari, che erano i nobili del Cathay e i detentori del potere, anche i loro sottomessi, cioè i cinesi, sarebbero stati indotti ad accogliere la religione cristiana.  Ma forse la realtà è molto più complessa: lui come diplomatico non avrebbe potuto avvicinare i cinesi (han e nan) che erano considerati dai mongoli quali loro potenziali nemici. Un'azione missionaria (e qui ci riallacciamo a quanto dicevamo all'inizio di questo nostro contributo(86)) condotta  presso i cinesi avrebbe esigito da parte di Giovanni da Montecorvino una frequentazione costante di quei ceti che vivevano in uno stato praticamente servile e ciò avrebbe naturalmente annebbiato il ruolo diplomatico esercitato presso la curia imperiale.  Non bisogna dimenticare poi che alla corte del Gran Khan c'era chi (i preti nestoriani) costantemente lo accusava di essere una spia, un magus et dementator hominum(87).  Come sarebbe stata quindi considerata da parte del Khan e dei suoi ministri la sua eventuale frequentazione dei cinesi che, nell'ottica mongola, erano riconosciuti quali potenziali nemici e pertanto tenuti sotto uno stretto regime di controllo e di servitù?  Dunque l'attività missionaria di Giovanni da Montecorvino deve essere colta all'interno della sua funzione diplomatica.  Era quest'ultima infatti a determinare le scelte missionarie del Corvinate, le quali non dovevano affatto ledere od ostacolare il suo mandato di essere innanzi tutto un nunzio del papa alla corte del Gran Khan del Cathay.

Forse è stata questa la causa del rigetto cinese del cattolicesimo all'indomani dell'avvento dei Ming.  I missionari, che succedettero a fra Giovanni e che ne seguirono l'esempio a livello di evangelizzazione, limitarono troppo il loro apostolato a quel gruppo etnico, estraneo o sovrapposto alla civiltà cinese, e a scapito dei cinesi stessi.  D'altronde il nestorianesimo, molto più fiorente del cattolicesimo, essendo diffuso solo tra i Mongoli, con i Ming si estinse in quanto quest'ultimi rifiutarono pregiudizialmente tutto ciò che non fosse proprio della religione e della cultura cinese e in particolare la realtà religiosa connessa con il dominio dei mongoli.  La forte reazione dei cinesi, una volta riconquistato il potere, ebbe come effetto la scomparsa dalla Cina tanto dei Nestoriani quanto dei Cattolici.

Delle due missive, scritte dal Cathay la prima raggiunse i confratelli dimoranti in Gazaria(88).  Poi dalla Gazaria  pervenne in Occidente per mezzo di mercanti veneti di ritorno dalla Tartaria(89). Naturalmente la lettera suscitò gran scalpore ed eccitò gli animi dei religiosi(90),  anche perché di lui non si aveva più notizia.

La seconda lettera, quella del 1306, fu diretta al vicario generale dei Frati Minori e al vicario generale dei Frati Predicatori, cosi pure a tutti frati di entrambi gli ordini dimoranti in Persia(91).

La fondazione della Chiesa nel Cathay

Fra Tommaso di Tolentino, di ritorno dalla Tartaria, per mezzo del cardinale Giovanni di Muro, si presentò con una delle due lettere al papa Clemente V.   Venuto il papa a conoscenza dell'importanza della cosa, convocò subito un concistoro.  Si decise d'inviare in aiuto di fra Giovanni un gruppo di frati francescani tra cui sette vescovi col compito, una volta arrivati in Cambalik, di consacrare vescovo il loro confratello e di rimanere a sua disposizione. La scelta dei sette frati da consacrare vescovi fu lasciata al Generale dell'Ordine(92).

Il  27 luglio 1307 furono eletti all'ordine dell'episcopato:
fra Guglielmo Gallico di Villanova;
fra Nicolò di Banzi, un tempo Ministro Provinciale della Provincia serafica di Assisi;
fra Andrea Guidonis di Perugia, lettore;
fra Peregrino di Castello;
fra Gerardo Albuini;
fra Ulrico di Soyfridstorf (o Seisdstorf)(93) e
fra Andreuccio di Assisi.

Tre di questi sette, vale a dire fra Andreuccio di Assisi, fra Nicolò di Banzi e un altro morirono nel passaggio dell 'India, dove anche altri frati trovarono la morte, e lì furono sepolti(94).

Giovanni fu così eletto arcivescovo e gli venne commessa la cura d'anime in tutto il dominio dei Tartari(95) e inoltre gli veniva concesso il pallio a lui e ai suoi successori(96). La Cronaca di fra Elemosina riprodotta dal codice chigiano (e per tanto in dubbio di verità(97))  riferisce che gli veniva conferita anche la possibilità di consacrare altri vescovi(98)  (facoltà estesa anche al suo successore), e nel caso di sua morte improvvisa, causa i pericoli annessi allungo viaggio e all'enorme distanza che li separava dalla Sede Apostolica, il suo successore sarebbe stato eletto dai suoi  suffraganei(99).

Papa Giovanni XXII con la bolla Redemptor noster dell' 1 aprile 1318 limitò la giurisdizione dell'archidiocesi di Cambalik.  Il papa divise l'immenso territorio occupato dai mongoli in due grandi giurisdizioni ecclesiastiche asiatiche, una di competenza dei francescani con a capo l'arcivescovo francescano di Pechino, e l'altra di competenza dei  domenicani con a capo l'arcivescovo domenicano di Sultanieh nell'Ilkhanato di Persia(100).

Nell'anno 1311, il 19 febbraio, Clemente V elesse altri tre vescovi suffraganei di Giovanni da Montecorvino: fra Tommaso, di patria ignota, fra Gerolamo di Catalogna, sembra già vescovo di Caffa, e fra Pietro di Firenze(101). C'è da domandarsi quale possa essere stato, da parte del papa, il motivo che lo spinse ad ordinare questi altri tre frati. Van den Wyngaert  suppone giustamente che le cattive notizie riguardanti il decesso di tre dei sette vescovi inviati a fra Giovanni da Montecorvino sia stata la ragione per cui Clemente V intendesse rimpiazzarli ricostituendo così il numero originale dei vescovi ausiliari(102).  Comunque dalla bolla di nomina non ci è dato di saperlo, lì vi si afferma - e questo potrebbe essere più che un motivo sufficiente - il fine di far prosperare sempre più la fede cristiana in quelle  regioni(103)

A fra Gerardo Albuini venne subito assegnata la cura pastorale della diocesi di Zaitum(104); morì nel 1317(105). Fu sostituito da fra Peregrino di Castello che da questa città scrisse la sua Epistula il 30 dicembre del 1317 («III kalendis ianuarii anno Domini 1318»), al p. Vicario della Vicaria d'Oriente(106).

Intorno all'anno 1319 fra Andrea di Perugia, per cause a noi ignote, non sentendosi soddisfatto della sua permanenza in Cambalik, si trasferì a Zaitum e lì edificò una chiesa e un romitorio, poco fuori città(107).

Fra Peregrino, secondo vescovo di Zaitum, morì il 7 luglio del 1322.  L'Arcivescovo di Cambalik designò fra Andrea di Perugia a succedergli(108)

Quest'ultimo nel 1326 scrisse anche lui la sua Epistula.  Questa era diretta al padre guardiano del convento di Perugia(109).  Nella missiva egli ci informa che i vescovi suffraganei, creati da papa Clemente V nel 1307, erano già tutti morti(110).  Da lì a poco, purtroppo, sarebbe morto anche lui, visto che nel 1329 al suo posto troviamo a reggere la diocesi di Zaitum fra Pietro di Firenze(111).

Giovanni da Montecorvino morì nel 1328 all'età di 81 anni. L'anno del suo trapasso lo si ricava dalle notazioni riportate nei registri di papa Benedetto XII, nei quali sono contenute alcune epistole inviate dal Gran Khan del Cathay e da alcuni principi alani e pervenute al sommo pontefice per mezzo di un'ambasciata alana accolta ad Avignone nel 1338(112).  Nell'epistola degli Alani, scritta a Pechino nel 1336, si avanza al Papa la petizione di inviare un altro arcivescovo successore del Corvinate il quale è «oramai morto da otto anni» (113).  Da ciò si può dedurre l'anno certo del decesso dell'Arcivescovo Giovanni in Cambalik: il 1328.

Sulla morte e sepoltura del nostro missionario è fra Giovanni da Cora(114) a illuminarci, specialmente sulle manifestazioni d'affetto che i locali mostrarono nei confronti del defunto loro arcivescovo. Infatti, il domenicano scrive che al funerale ci fu gran folla di gente, sia cattolici che pagani. I pagani, secondo il loro costume, si stracciavano gli indumenti per il gran dolore. Cristiani e pagani strappavano le vesti dell'Arcivescovo asportandone delle parti per conservarle come reliquie(115). Fra Giovanni di Marignolli(116), che dall'anno 1342 al 1346 circa fu a Cambalik, ricorda nel  suo Cronichon che fra Giovanni da Montecorvino veniva venerato come santo dagli alani e dai tartari cristiani (117)

Epilogo

A conclusione di questo nostro contributo possiamo solo dire che dopo la morte di Giovanni da Montecorvino, le missioni francescane nel Cathay subirono un progressivo declino, fino alla loro totale scomparsa. Sicuramente ancora vivente l'arcivescovo di Pechino, i missionari francescani non superavano la ventina di unità, almeno così ci sembra di capire da quanto le lettere di Peregrino di Castello e Andrea di Perugia riportano.

Odorico di Pordenone, una volta rientrato in Europa, cercherà, ma invano, di raccogliere dei frati per inviarli colà(118).  Sembra che poco prima di morire fosse riuscito a raggrupparne una cinquantina. Ma non sappiamo se questi siano mai partiti per Cathay(119)

Il papa inviò un certo fra Nicola a succedere a fra Giovanni da Montecorvino (120).  Egli partì alla fine del 1334, ma sembra non aver mai raggiunto Cambalik, visto che, come detto sopra (121),  una legazione alana giunse ad Avignone nel 1338 per sollecitare l'invio di un vescovo (122).  Per effetto della missione alana papa Benedetto XII inviò nel Cathay frate Giovanni di Marignolli con altri tre compagni, gli ultimi a partire per recarsi in Cina.  Si trattenne alla corte di Cambaliq per tre anni (1342-1345) e fece ritornò ad Avignone nel 1353(123).  È questo il tempo in cui nella Cina governata dai mongoli iniziano le grandi rivolte che condurranno anni dopo  (1368) alla caduta degli Yuan8124). Da quel momento sulla chiesa fondata dai francescani in Cina scenderà il silenzio. Comunque non mancano i tentativi per procrastinarne la fine. E fu proprio in seguito alla relazione che Giovanni di Marignolli fece a Innocenzo VI che questi inviò una lettera al ministro generale dei Frati Minori, Guglielmo Farinier e al Capitolo Generale di Assisi del 1354, domandando di scegliere dei frati da inviare in Estremo Oriente, tra i quali parecchi sarebbero stati consacrati vescovi (125).  È probabile che questo desiderio del papa non sia stato corrisposto dall'Ordine.  Il motivo principale di tale caduta d'impegno nel campo missionario è riconducibile al fatto che l'Ordine era reduce dalla spaventosa peste nera del 1348, in cui fu ridotto in brevissimo tempo a 1/3 degli effettivi(126).  Pertanto era impossibile per l'Ordine di rispondere all'appello rivoltogli dal papa. Nonostante tutto, nel 1362 un certo fra Giacomo, in cammino per raggiungere la sede di Zaitum a cui era stato assegnato, subì il martirio in Asia centrale(127).  Nel 1370 Urbano V elesse fra Guglielmo di Prato (presso Parigi) alla sede Cambalik, il quale avrebbe dovuto partire con sessanta frati, ma la storia non dice al riguardo niente di più(128).

Oltre alla situazione invalidante vissuta dall'Ordine in seguito alla peste del 1348, due altre condizioni estreme impedirono l'afflusso di nuovi missionari in Estremo Oriente: la islamizzazione dell'Il-Khanato, che impedì il transito ai cristiani per i territori persiani; la caduta della dinastia mongola degli Yuan e l'ascesa dei Ming a cui seguì la chiusura totale a qualsiasi influsso esterno fino alla seconda metà del XVI secolo, quando con l'approdo dei primi missionari gesuiti, subito seguiti dai francescani, il lavoro apostolico, che quasi tre secoli prima, era stato eroicamente iniziato  da frate Giovanni da Montecorvino e dai suoi quasi dimenticati collaboratori, riprese principio.

PACIFICO SELLA, OFM


NOTE


1) - Cfr. STANISLAO DA CAMPAGNOLA, “Contenuti e valori francescani della predicazione”, STANISLAO DA CAMPAGNOLA, Francesco e francescanesimo nella società dei secoli XIII-XIV, Collana della Società internazionale di studi francescani diretta da E. Menestò - Saggi 4 (Assisi 1999) 405. La problematicità insita nella genesi storica e nell'evoluzione originaria del carisma francescano, è trattata da G.G. MERLO, "Tentazioni e costrizioni eremitiche", G.G. MERLO, Tra eremo e città. Studi su Francesco d'Assisi e sul francescanesimo medievale, Medioevo Francescano. Collana diretta da E. Menestò - Saggi 2 (Assisi 1991) 113- 130.

2) - Per una visione d'insieme della diffusione dell'Ordine e il suo organizzarsi in province, si veda L. PELLEGRINI, "I quadri e i tempi dell'espansione dell'Ordine", Francesco d'Assisi e il primo secolo di storia francescana (Torino 1997) 165-201. Più specifico e circoscritto all'insediamento dei Minori nel meridione italianano è L. PELLEGRINI, «Che sono queste novità?». Le religiones novae in Italia meridionale (secoli XII e XIV) (Napoli 2000).

3) - Si pensi a quanto riferisce nella sua Chronica fra Giordano da Giano, presente al Capitolo Generale del 1221: « ... aestimati sunt fratres, qui tunc convenerant, ad tria millia fratrurn» (IORDANUS A IANO, "Chronica" 16, Analecta Franciscana [AF] I (Ad Claras Aquas - Quaracchi 1885) 6).  Secondo l'autore della Compilatio Assisiensis i frati presenti al Capitolo Generale, detto delle Stuoie, erano circa 5000: "Compilatio Assisiensis" 18, Fontes Franciscani [FF], a c. d. E. Menestò e S. Brufani (S. Maria degli Angeli - Assisi 1995)  1497; così anche "Speculum Perfectionis" 68, FF, 1961.  Tutto ciò trova la sua conferma in THOMAS DE ECCLESTON, "De adventu Fratrum Minorum in Angliam", Collatio VI, AF 1, 232.  Per un approssimativo calcolo quantitativo dei frati nel XIII si veda quanto affermato da GRATlEN DE PARIS, Histoire de la fondation et de l'évolution de l'Ordre des Frères Mineurs au XIII' siècele,  Bibliotheca Seraphico - Capuccina 29 (Roma 1982) 526; D. CRESI, "Statistica dell'Ordine Minoritico all'anno 1282", Archivum Franciscanum Historicum [AFH] 56 (1963) 157-62.

4) - Basti pensare a quanto, con un dire assai appagante, Bartolomeo da Pisa affermava dopo aver steso un lungo elenco di persone illustri entrate sino allora nell'Ordine: «Multos alios filios regum puto fuisse in ordine; sic et duces, comites et barones et alios illustres homines tam de Anglia quam de Francia, tam de Alamania quam de Ungaria, tam de Aragonia quam de Hispania, tam de Graeciae quam de Italia, et sic de aliis partibus mundi, qui habitum beati Francisci non sunt dedignati assumere et portare, et cum ipso in Domino feliciter obdormire [ .. .]. Inter ordines omnes, et praecipue mendicantes, nemo de tot nobilibus, regibus et principibus gloriari, ut hic orda, potest ... »;  BARTHOLOMAEUS DE PISA, "De conformitate vitae beati Francisci ad vitam Domini Iesu", AF 4 (Ad Claras Aquas - Quaracchi 1906) 349.

5) - Cfr. A. RIGON, "Frati Minori e società locali", Francesco d'Assisi, 267-8.

6) - La questione è tematizzata da W.R. THOMSON, Friars in the Cathedral. The first franciscan Bishops 1226-1261 (Taranto 1975) 9-20. Comunque, alla promozione ai gradi ecclesiastici di alcuni frati dell'Ordine minoritico conseguirono delle reazioni, anche tra le file del clero secolare. È il caso per esempio di fr. Gualtiero eletto vescovo di lesi (1247-1252), la cui nomina fu osteggiata fortemente dai canonici del capitolo: L. PISANU, Innocenza IV e i Francescani, Studi e testi francescani 41 (Roma 1968) 166. Le Costituzioni Narbonensi (1260) sanzionavano la privazione di tutti i benefici spirituali concessi all'Ordine nei confronti di quei frati che avessero accettato l'episcopato senza il placet del Ministro Generale, o che da vescovi avessero agito sfavorevolmente contro l'Ordine: Constitutiones Narbonenses, Rubrica VI, n. 8, M. BIHL, "Statuta generalia Ordinis edita in Capitulis generalibus celebratis Narbonae ano 1260, Assisi ano 1279 atque Parisiis ano 1292 (Editio critica e synoptica)", AFH 34 (1941) 71. Questa legislazione poggiava la sua legittimità su quanto già stabilito in proposito  da INNOCENTIUS IV, Lettera "Petitio tua nobis", 22 aprile 1252, G. SBARAGLIA, Bullarium Franciscanum [BF] I, n. 404, 605; confermata poi da ALEXANDER IV, Lettera "Petitio tua nobis" 9 giugno 1256, BF 2, n, 194, 134, e ancora, sempre la medesima lettera, il 28 maggio 1257, BF 2, n. 330, 219.  Sotto l'ottica spirituale appare quanto mai significativa la posizione di Pietro di Giovanni Olivi che afferma, nelle Quaestiones de perfectione evangelica, che quando un francescano diventa vescovo è ancor più obbligato, in forza del voto di povertà, ad osservare l'usus pauper: cfr. D. BURR, Olivi e la povertà francescana, Le origini della controversia sull'usus pauper (Milano 1992) 94; e anche M.D. LAMBERT, Povertà francescana, La dottrina dell'assoluta povertà di Cristo e degli Apostoli nell'Ordine Francescano (1210-1323) (Milano 1995) 148.  Per una visione più estesa e particolareggiata rimandiamo ai contributi di Dal pulpito alla cattedra.  I vescovi degli Ordini mendicanti nel '200 e nel primo '300, Atti del XXVII Convegno internazionale. Assisi, 14-16 ottobre 1999 (Spoleto 2000).

7) - Nella lettera del 1305, egli riferisce di avere cinquantotto anni: IOHANNES DE MONTE CORVINO, "Epistola II'', Sinica Franciscana [SF] l, a cura di A. van den Wingaert (Quaracchi - Firenze 1929ss) 350,

8) - La questione relativa al vero paese d'origine di fra Giovanni è, a nostro avviso, un autentico dilemma! In passato si è avuta una forte diatriba intorno ai veri natali di fra Giovanni da Montecorvino. La disputa è sorta negli anni '20 dello scorso secolo - in occasione del sesto centenario della sua morte (1328-1928) - tra esponenti pugliesi e alcuni studiosi campani. I primi sostengono che il paese "Montecorvino", dove nacque il grande missionario, fosse l'omonimo paesino collocato sui Monti Dauni in Puglia, in seguito abbandonato a causa di un grande terremoto. I secondi invece rivendicano, quale suo paese originario, l'attuale Montecorvino Rovella. La polemica trova origine dal fatto che una fonte, i Libri Chronicarum Fratris Elemosinae (Bibl. Apostolica Vaticana, Chigiano I VII 262, f. 98), dice: "Frater vero Iohannes, de ipso ordine Minorum, de Monte Corvino Apulie ... " dando così in apparenza ragione agli esponenti pugliesi. La controparte non si risparmiò di dimostrare il contrario chiarendo che il genitivo "Apuliae" potrebbe essere benissimo un'aggiunta posteriore dovuta alla mano del noto falsificatore Alfonso Ceccarelli (che a causa delle sue tante manipolazioni finì sul patibolo nel 1583). Questo è provato dal fatto che il codice più antico - il "Parigino" - che riporta tutta la Chronica di fra Elemosina da Gualdo e autografo del medesimo, non ha tale aggiunta (per la descrizione di questi codici - il "Parigino", il "Chigiano" e il "Corsiniano" - e le problematiche ad essi connesse, si veda F. FOSSIER, "Les Chroniques de fra Paolo da Gualdo et de fra Elemosina", Mélanges de l'École Française de Rome 89 (1977) 411-83).  Varrebbe, quindi, ritenere quanto dimostrato dagli studiosi campani e che cioè fra Giovanni sia nato nell'odierna Montecorvino Rovella: cfr. F. JORIO, Beato Giovanni da Montecorvino  (Montecorvino Rovella 1932); sebbene non manchi chi sostenga diversamente: D. FORTE, Testimonianze francescane nella Puglia Dauna (Foggia 19852) 49-51,  57-62.

9) - JORIO, Beato Giovanni, 1-16, ma contraddetto da FORTE, Testimonianze, 59.

10) - IOHANNES DE MARlGNOLLI, "Chronicon Bohemicum", cap. De Creatione, n. 3, SF 1, 526.   Il Jorio, nel tentativo di far quadrare il cerchio, dà la sua interpretazione di miles supponendo che il Corvinate fosse stato investito cavaliere da Carlo d'Angiò;  e per quanto riguarda gli altri due titoli,  ne dà una lettura che oscilla tra il metaforico e il letterale,  significando più la sua opera in terra di missione che altro.  JORIO, Beato Giovanni, 337-356.

11) - A. VAN DEN WINGAERT, "Prolegomena",  SF 1, 336.  Ciò potrebbe trovare la sua conferma anche nelle espressioni di lode trasmesse da frate Peregrino da Castello, vescovo di Zaitum, nella sua lettera datata 30 dicembre 1317; "Epistola fr. Pregrini, Episcopi Zaytunensis", SF 1,365:  «Vita eius (cioé di Giovanni da Montecorvino) exterior bona et dura et aspera».  Di simile tenore è frate Elemosina da Gualdo nella sua Chronica: «Nam frater Johannes de Monte Corvino de Ordine Fratrum Minorum, beati Francisci devotus imitator, in se ipso rigidus et severus et in verbo Dei docendo et predicando facundus» (Paris, Bibl. Nat., lat. 5006, f l70v;  anche in G. GOLUBOVICH, Biblioteca Bio-bibliografica della Terra Santa e dell'Oriente francescano 3 (Quaracchi 1919) 86). Comunque, non è trascurabile il fatto che egli possa essere venuto a contatto con gli spirituali marchigiani (tra cui Angelo Clareno) inviati missionari nella stessa Armenia nel 1290 dal Ministro generale Raimondo Gaufridi:  ANGELO CLARENO, Liber Chronicarum - sive tribulationum - Ordinis Minorum, ed. da G. Boccali (Santa Maria degli Angeli 1999), 547ss.  Inoltre su quest'invio di spirituali in Armenia si può vedere: R. MANSELLI, "Spirituali missionari: l'azione in Armenia e in Grecia. Angelo Clareno",  Espansione del francescanesimo tra Occidente e Oriente nel secolo XlII,  Atti del VI Convegno Internazionale. Assisi, 12-14 ottobre 1978 (Assisi 1979) 271-291;  L. VON Auw, Angelo Clareno et les Spirituels italiens (Roma 1979) 23-34.

12) -  A. VAN DEN WYNGAERT,  Jean de Mont Corvin  O.F.M Premier eveque de Khanbaliq (Pe-King) 1247-1328 (Lille 1924) 9.

13) -  Su Aitone II (o Aiton, o Ayeton, o Heiton, o Héthoum) re della Piccola Armenia e i francescani si veda GOLUBOVICH, Biblioteca 1, 328-338,  Biblioteca 2, 456-465; N. IORGA, Brève histoire de la Petite Arménie (Paris 1930) 128ss; VON AUW, Angelo Clareno, 27ss.

14) - NICOLAUS IV, Lettera "Gerentes in terris", 14 luglio 1289, BF 4, n. 132, 86s.  G. SORANZO, Il Papato, l'Europa cristiana e i Tartari (Milano 1930) 273.

15) - Sull'espansione dei nestoriani e i loro rapporti con i missionari e i mercanti latini in Oriente si veda  A.-D. VON DEN BRINCKEN, Die «Nationes Christianorum orientalium» im Verständnis der lateinischen Historiographie von der Mitte des 12. bis in die zweite Hälfte des 14. Jahrhunderts, Kölner historische Abhandlungen 22 (Köln - Wien 1973).

16) - Per i rapporti tra il papato e Argon vedi J. RICHARD, La Papauté et les missions d'Orient au Moyen Age (XIII-XV  siècles) (Rome, École Française de Rome, 1977) 101-106.  

17) - Sul patriarca nestoriano Màr Yahbhallàhâ III  rimandiamo a F. MARGIOTTl, Il cattolicesimo nello Shansi dalle origini al 1738 (Roma 1958) 45-8.

18) - Su Bar Çauma rimandiamo allo studio molto approfondito di P. PELLlOT, Recherches sur les chretiens d'Asie Centrales et Extreme Orient (opera postuma, Paris 1973) 239-88;  si può anche vedere la bibliografia ripotata da F. E. REICHERT, Incontri con la Cina. La scoperta dell'Asia orientale nel Medioevo (Fonti e ricerche - 11, Milano 1997), 83 nota 57.  Gli altri membri della rappresentanza diplomatica sono il nobile Sabadino, Tomaso di Anfusi e Ugueto quale interprete; tutti espressamente nominati nella parte introduttoria della lettera con cui Nicolò IV rispose alle istanze dell'Il-Khan Argon: NICOLAUS IV, Lettera "Ad summi praesulatus", 2 aprile 1288, BF 4,  n. 5,6-8.

19) - Cfr. NICOLAUS IV, Lettera "Gaudemus in Domino", 13 luglio 1289, BF 4, n. 130, 85s.

20) - Queste 27 lettere sono regestate e in parte pubblicate da E. LANGLOIS, Les Registres de Nicolas IV: recueil des bulles de ce pape … (Paris 1886), nn. 2218-2244, 391-393.

21) - Intorno ai tentativi e progetti di crociate portati avanti da Nicolò IV si veda M.C. DE MATTEIS, "Girolamo d'Ascoli: dall'esperienza francescana alla politica ecclesiastica", A Ovidio Capitani. Scritti degli allievi bolognesi, (Bologna 1990) 49-66.

22) - NICOLAUS IV, Lettera "Disponente Summi Regis arbitrio", 7 luglio 1289, BF 4, n. 128, 83.

23) - NICOLAUS IV, Lettera "Affluentis devotionis affectu", 7 luglio 1289, BF 4, n. 129, 84.  Riguardo l'adesione al cattolicesimo di questo vescovo nestoriano, si veda RICHARD, La Papauté, 112.

24) - NICOLAUS IV, Lettera "Gerentes in terris", 14 luglio 1289, BF 4, n. 132,86-87.

25) - NICOLAUS IV, Lettera "Nuper ad apostolatus", 14 luglio 1289, BF 4, n. 133, 87-88.

26) - NICOLAUS IV, Lettera "Laetati sumus", 14 luglio 1289, BF 4, n. 135, 88.

27) - Già sopra citata, vedi nota 19.

28) - NICOLAUS IV, Lettera "Ad ea quae", 13 luglio 1289, BF 4, n. 131,86.

29) - Sulle ragioni del conflitto cronico che interpose il Kahn Caidu e il Gran Khan Qubilai  vedi L. OLSCHKl,  L'Asia di Marco Polo. Introduzione alla lettura e allo studio del Milione (Firenze 1957), 346-353.

30) - NICOLAUS IV, Lettera "Inter cetera desideria", 15 luglio 1289, BF 4, n. 138, 89-90.

31) - Cfr. VAN DEN WYNGAERT,  Jean de Mont Corvin, 15.

32) - IOHANNES DE MONTE CORVINO, "Epistola II'', 345: « ... recesi de Thaurisio, civitate Persarum, anno Domini MCCLXXXXI».  Sull'importanza economica ricoperta da Tabriz nei confronti di tutta l'Asia centrale si veda R.H. BAUTIER, "Les relation économiques des Occidentaux avec les pays d'Orient au Moyen Âge.  Points de vue et documents", Sociétés et compagnies de commerce en Orient et dans l'Océan Indien  Actes du huitième colloque international d'histoire maritime - Beyrouth 1966 (Paris 1970) 280ss.

33) - IOHANNES DE MONTE CORVINO, "Epistola II'', 345-346: « ... et intravi in Yndiam et fui in contrada Yndie et in ecclesia S. Thome Apostoli mensibus XIII [ ... ] et socius fuit vie mee frater Nicholaus de Pistorio de Ordine Fratrum Predicatorum, qui mortuus est ibi et sepultus in eadem ecclesia».

34) - IOHANNES DE MONTE CORVINO, "Epistola III", SF 1, 352:  «Dominus Petrus de Lucalongo fidelis christianus et magnus mercator, qui fuit socius meus de Thaurisio».  Su Pietro Luca Longo e la sua origine veneziana: R. MOROZZO DELLA ROCCA, "Sulle orme di Marco Polo", L'Italia che scrive 37 (1954) 120-122; inoltre si veda L. PETECH, "Les marchands italiens dans l'empire mongol", Journal asiatique 250 (1962) 549-574.


35) -  IOHANNES DE MONTE CORVINO, "Epistola II'', 345.

36) -  La lettera, o meglio la sua epitome, è stata pubblicata in SF 1,340-5. Su Menentillo da Spoleto vedi la voce "Menentillo da Spoleto" in T. KAEPPELI, Scriptores Ordinis Praedicatorum Medii Aevi 3 (Romae ad S. Sabinae 1980) 101.

37) - Lo si può dedurre da quanto lo stesso Giovanni dice nella sua seconda lettera: «Ideo sunt XII anni quod de Curia romana et de nostro Ordine et statu occidentis non suscepi nova» (SF 1,349). Ora questa lettera fra Giovanni la scrisse l'8 gennaio 1305 (SF 1,351), quindi si desume che egli sia giunto a destinazione l'anno 1293. È chiaro quindi che la durata complessiva del viaggio da Rieti (dove fu ricevuto dal papa) al Cathay sia stata di circa quattro anni (dal luglio 1289 all'inizio del 1293). Ciò trova conferma da quanto riferito da frate Menentillo da Spoleto nella sua “Sullo spirare dei venti indiani”: « ... e non vi si puio navichare sennò una volta lanno; perché, dalla intrata daprile in fine alla fine dottobre li venti sono occidentali, sichè niuno potrè navichare in verso ocidente; e per lo chontrario, cioè dal mese dottobre infine a marso, da mezo magio infine a la fine de luglio, sono li venti sì valorosi che le navi che in quello tenpo si trovano fuori delli porti, launque vanno, sono tenuti disperati, e se chanpano è per ventura .. , » (SF l, 344). Sicchè per raggiungere il Cathay via mare (imbarcandosi da Hormuz) il periodo più indicato andava da agosto alla fine di settembre. Proibitivo era mettersi in mare nei mesi di maggio, giugno e luglio a causa dei forti venti monsonici che il più delle volte davano origine a violenti marosi. Questi dati ci forniscono elementi utili per ricostruire il viaggio di andata che Giovanni da Montecorvino fece per recarsi in Cina. Noi sappiamo dalla sua testimonianza che lasciò Tabriz nel 1291. Per entrare in India dovette per forza imbarcarsi ad Hormuz agli inizi di agosto di quello stesso anno per approdare nel Malabar verso la fine di questo stesso mese. Lì sostò circa tredici mesi - per aspettare il tempo in cui poter usufruire dei venti favorevoli spiranti da ovest - per reimbarcarsi ad inizio settembre onde raggiungere le coste della Cina alla fine di questo stesso mese o agli inizi di ottobre 1292 e Pechino a dicembre '92-gennaio '93. Fra Giovanni informa inoltre i suoi lettori sulla lunghezza del percorso marittimo. Egli dice che la distanza che separa Hormuz dal Malabar equivale alla distanza che c'è tra Acri «Achon» e la Provenza «provinciam Province»; e la durata della navigazione dal Malabar alla Cina, equivale al corso di navigazione tra Acri e l'Inghilterra «Anglia» ("Epistola II'', 349). Si veda inoltre quanto si precisa sotto, alla nota 48. Per la navigazione nei mari indiani si veda J. RICHARD, "Les navigations des Occidentaux sur l'Océan Indien et la mer Caspienne (XII-XV s.)", Sociétés et compagnies de commerce en Orient et dans l'Océan Indien, 353-363. Nota importante: l'itinerario che via terra da Tana di Comania portava a Cambalik durava dalle 250 alle 280 giornate di cammino, a seconda se si procedeva a dorso di cavallo o se si andava a traino di bue o se si praticavano le vie fluviali; su questo cfr. Francesco BALDUCCI PEGOLOTTI, La pratica della Mercatura, ed. by A. EVANS (Cambridge - Massachusetts 1936) 21.

38) - IOHANNES DE MONTE CORVINO, "Epistola III", 353.

39) - Per una descrizione fisica della figura di questo Gran Khan colta nel contesto della vita cortigiana si veda L. OLSCHKI,  L'Asia di Marco Polo. Introduzione alla lettura e allo studio del 'Milione' (Firenze 1957) 391-408.

40) - Su Mongka (o anche Mangu) si può vedere la sintesi orami classica R. GROUSSET, L 'empire des steppes. Attila. Gengis-Khan. Tamerlan (Paris 1948) 341-351.

41) -  Su Hulagu rimandiamo a J.M. FIEY, "Hulagu", Dictionnaire d'Histoire et de Géographie Ecclésiastiques [DHGE] 25 (Paris 1995) 319s.

42) - Morì per dissenteria: GROUSSET, L'empire, 351.

43) - GROUSSET, L'empire, 352.

44) -  L. PETECH, "Introduzione" a IOHANNES DE PLANO CARPINI, Historia Mongalorum (ed. cr. Menestò E., Spoleto 1989),42;  J. W. DARDESS, "From Mongol Empire to Yüan Dynasty: changing forms of empirial rule in Mongolia and Centrai Asia", Monumenta Serica 30 (1972/3) 117-165;  M.  DINACCI SACCHETTI, "Sull'adozione del nome Yüan", Annali dell'Istituto Orientale di Napoli n.s. 31 (1971) 555-558.

45) - Per una sintetica ed esauriente visione d'insieme riguardo alle campagne belliche che portarono le armate mongole alla conquista del Mangi (= Cina del Sud) rimandiamo a H. FRANKE - D. TWITCHETT, The Cambridge History of China 6 (Cambridge 1994) 429-436.

46) - GROUSSET, L'empire, 353-359; OLSCHKI, L'Asia, 323-345.

47) - Vedi anche sopra, nota 29; inoltre P. JACKSON, "The Dissolution of the Mongol Empire", Central  Asiatic Journal 22  (1978) 186-244.

48) - Per ulteriormente chiarire quanto già sopra segnalato alla nota 37, intendiamo qui precisare che è proprio in seguito a tali guerre che si ebbe lo spostamento delle vie commerciali dalla terra al mare.  Ora per raggiungere il Cathay si sarebbe dovuto procedere via terra da Costantinopoli fino ad Ormuz, cioè attraversando tutto il territorio degli Il-Khan, i quali riconoscevano, almeno nominai mente, la maggiore dignità del Gran Khan del Cathay, e poi via mare fino alle coste cinesi passando l'India a sud.  In tutto due anni di viaggio, a differenza degli otto-dodici mesi via terra del periodo precedente.  Lo stesso Giovanni da Montecorvino nella sua seconda lettera consiglia la via marittima sebbene più lunga e pericolosa, in quanto quella terrestre impossibilitata a praticarsi causa le guerre: «De via notifico quod per terram Cothay Imperatoris aquilonarium Tartarorum est via brevior et securior, ita quod cum nunciis infra  V  vel  VI  menses poterunt pervenire; via autem alia est longissima et periculosissima, habens duas navigationes quarum prima est secundum distantiam inter Achon et provinciam Provincie, alia vero est secundum distantiam inter Achon et Angliam, et posset contingere quod in biennio vix perficerent viam illam.  Quia prima via secura non fuit a multo tempore propter guerras» ("Epistola II'', 349).  Oltre a ciò, la dice lunga il fatto che un gruppo di frati Predicatori qui litteras latinas, grecas, tartaricas et linguas optime didicerant, che dopo aver ricevuta notizia delle richieste avanzate dal futuro Arcivescovo di Qambalik nella sua del 1305, si posero subito in viaggio portantes libros calices et paramenta ed arrivarono fino in posero subito in viaggio portantes libros calices et paramenta ed arrivarono fino in Gazaria (= Crimea), set non potuerunt transire propter guerras (ELEMOSINA A GUALDO, Chronica, Paris, Bibl. Nat., lat. 5006, f. 171r).

49) - Per una visione geografica d'insieme basta ricorrere ai comuni atlanti storici; nel nostro caso Großer Historischer Weltatlas, herausgegeben vom Bayerrischen Schulbuch Verlag, Redaktion: J. Enge1 (s.1. s.d.), 58; oppure alla mappa forse più precisa riportata da H. FRANKE - D. TWITCHETT, The Cambridge, 425.

50) - P. CORRADINI, La Cina (Torino 1969) 178.

51) - Per il ruolo sociale assunto dagli Europei nel Cathay si può ricorrere al sintetico P. CORRADINI, "La Cina plurinazionale dell'epoca Yuan", Odorico da Pordenone e la Cina. Atti del convegno storico internazionale. Pordenone 28-29 maggio 1982, a cura di G. Melis (Pordenone 1988) 60-64; e al più elaborato L. PETECH, "Marco Polo e i dominatori mongoli in Cina", Sviluppi scientifici, prospettive religiose, movimenti rivoluzionari in Cina, a cura di L. Lanciotti (Firenze 1975) 21-27.

52) - Gli han non erano in molti, in quanto dopo la terribile campagna che portò alla conquista dell'impero Kin, essi non superavano i cinque milioni dai quarantasei che erano nel 1207. Nella guerra che determinò la conquista del sud, non si ebbero quelle stragi che portarono allo spopolamento del nord, anche perché la popolazione, specialmente la borghesia terriera, quasi imbelle, non oppose quella grande resistenza che aveva caratterizzato invece la guerra tra i mongoli e i kin, La resa della gente meridionale di fronte all'esercito guidato da Qubilai servì se non altro a scongiurarne lo sterminio e forse anche perché, risentendo dell'influsso culturale dei paesi conquistati, dopo due generazioni i tartari si erano un po' "debarbarizzati", Il Corradini, dopo aver confrontato i censimenti fatti dai Sung, prima che il sud cadesse nelle mani degli Yuan, e le rilevazioni di quest'ultimi dopo l'invasione, nota una diminuzione del 30% della popolazione. Dai 13 milioni e 600 mila famiglie al tempo dei Sung si passò ai 9 milioni e 300 mila gruppi famigliari nel 1280; se per ogni famiglia si calcola un nucleo medio di 5 persone si ha che da 68 milioni si passò a una popolazione di circa 46 milioni e 500 mila abitanti, ne segue che durante la seconda guerra mongolo-cinese potrebbero essere morte circa 21 milioni e 500 mila cinesi meridionali. Cifre spaventose, come si vede, ma pur sempre inferiori a quelle del nord ove si ebbe praticamente l'estinzione di un intero popolo. Naturalmente una volta sottomessi, i cinesi del sud dovettero sopportare supinamente il peso della dominazione straniera: «Non solo erano soggetti a limitazioni che andavano dal divieto di portare armi a quello di non potersi riunire di notte; ad essi era proibito perfino di apprendere il mongolo, in modo da non sapere, nemmeno lontanamente, cosa ci fosse scritto nelle carte di governo, quand'anche avessero potuto gettarvi sopra un occhio, per caso. Dovevano inoltre provvedere al sostentamento di ben un milione tra mongoli e semu», Conseguenza concreta portata dalla legislazione istituita da Qubilai fu che una famiglia delle due classi privilegiate, mongoli e semu, teneva sotto il proprio controllo signorile più di venti famiglie di han o di meridionali. l mongoli si sparsero capillarmente in tutto il territorio cinese, separati dal contesto sociale indigeno, dedicandosi soltanto all 'attività militare e alla caccia. Una nota importante: Marco Polo visse esclusivamente in questo ambiente privilegiato dei semu a cui faceva parte, pertanto egli nel suo Milione ritrae non la Cina e i cinesi, ma il Cathay, cioè i mongoli e il loro governo. Cfr. CORRADINI, La Cina, 178- 180; CORRADINI, "La Cina plurinazionale", 58-60, il quale riporta dati desunti dalle statistiche pubblicate da LIANG FANG-CHUNG, Chung-kuo li-tai hu-k'ou, tien-ti, tien-fu tungchi (= Statistiche fiscali, agrarie e demografiche delle diverse epoche della Cina), (Shanghai, Jen-min chu-pan-she, 1980) 165-184.

53) - A tal proposito MARCO POLO, Il Milione, a cura di R. Allulli (Milano 1929) cap. 80, 173-174; Cfr. PETECH, "Les marchands", 549-574; ma anche quanto riferito da REICHERT, Incontri, 90ss.  Per una più approfondita visione contestuale si veda H.F. SCHURMANN, Economie structure of the Yuan dynasty: traslation of chepters 93 and 94 of the Yuan shih (Cambridge - Massachusetts 1956).

54) - Basti pensare a quanto riferito da MARCO POLO, Il Milione, cap. 80, 173: «E sì vi dico che femmine che fallano per danari ve n'hae bene 20.000».

55) - L'importanza dell'azione svolta da Phags-pa è ricordata dagli Annali dell'Impero cinese, tradotti, riassunti e pubblicati in francese nel '700: una tra le fonti ancor oggi di portata rilevante per conoscere la cronaca dei fatti relativi al governo di ogni imperatore. A tal proposito noi ci siamo serviti della traduzione, dal francese in italiano, realizzata su disposizione dell'arciduca Pietro Leopoldo: Storia generale della Cina ovvero Grandi Annali Cinesi tradotti dal Tong-Kien-Kang-Mou dal padre Giuseppe Anna Maria de Moyriac de Mailla ... 27 (Siena 1780) 147-148.

56) - H. FRANKE- D. TWITCHETT, The Cambridge, 465-467;  W. EICHHORN, La Cina. Culto degli antenati, Confucianesimo, Taoismo, Buddismo, Cristianesimo dal 1700 a. C. ai nostri giorni (Storia delle religioni VI, Milano 19833) 350-2.

57) - Gli Uighuri avevano il loro regno a nord del Tien shan e nelle oasi del bacino del Tarim. Popolazione sedentaria e commerciante, parlavano il turco orientale.  La loro parlata serviva come lingua franca in buona parte dell'Asia settentrionale. Fornivano scribi e personale amministrativo ai regnanti nomadi circonvicini privi di una scrittura propria. Così furono assunti come impiegati anche da Gengiz-Khan e dai suoi successori. Il loro servizio divenne tanto necessario ai governanti mongoli, che questo popolo d'impiegati riuscì a mantenere il loro piccolo regno fino agli ultimi anni del sec. XIII. Cfr. GROUSSET,  L'empire, 366-367,  ove in nota riporta gli studi specifici effettuati dal Pelliot.

58) - OLSCHKI, L'Asia, 197.  Studi che abbracciano l'insieme dell'operato del monaco Phagspa e di altri tibetani sotto il regime dei mongoli in Cina sono stati prodotti da L. PETECH, "Tibetan relations with Sung China and with the Mongols",  China among equals: the Middle Kingdom and its  neighbors  10th-14th centuries, ed. by M. Rossabi (Berkeley-Los Angeles 1983)  173-203 e H. FRANKE, "Tibetans in Yüan China",  Chine under Mongol  rule, ed. by  J.D. Langlois  Jr. (Princenton 1981) 296-328.

59) - EICHHORN, La Cina, 352.

60) -  OLSCHKI, L'Asia, 234.

61) - EICHHORN, La Cina, 289.

62) - OLSCHKI L.,  L'Asia, 210. Per un sintetico sguardo d'insieme e la bibliografia sui nestoriani in Cina rimandiamo a MARGIOTTI, Il cattolicesimo nello Shansi, 38-42 e quanto già riferito sopra alla nota 15.

63) - WILLELMUS DE RUBRUC, "Itinerarium", cap. XVII, SF 1,238: «Nestorini nichil sciunt ibi.  Dicunt enim servitium suum et habent libros sacros in siriano, quam linguam ignorant, unde cantant sicut monachi apud nos nescientes gramaticam, et hinc est quod totaliter sunt corrupti. Sunt in primis usurarii, ebriosi, etiam aliqui eorum, qui sunt cum Tartaris, habent plures uxores sicut Tartari. Quando ingrediuntur ecclesiam lavant inferiora membra sicut sarraceni, comedunt carnes feria sexta et tenent comessationes suas illa die more sarracenorum».  Per la disputa teologica tra Guglielmo e i nestoriani cfr. SF 1,  291-297.

64) - IOHANNES DE MONTE CORVINO, Epistola II, 346-7.

65) - IOHANNES DE MONTE CORVINO, Epistola II, 347: «Ego vero solus in hac peregrinatione fui sine confessione annis undecim, donec venit ad me frater Arnoldus Alamannus de provincia Colonie».

66) - IOHANNES DE MONTE CORVINO, Epistola II, 347.  C'è anche un'altra fonte che a nostro avviso merita essere citata a conferma della testimonianza che lo stesso fra Giovanni di Montecorvino dà delle sue disavventure.  Il brano in questione è contenuto nella Chronica (1348 circa) del frate minore Giovanni de Winterthur (in Svizzera).   In quest'opera si trova una relazione che il francescano svizzero dice di aver compendiato da una lettera che un missionario di  s. Francesco, «oriundus de partibus inferioris Alemaniae», aveva inviato «suo Generali de Vicaria Aquilonari».  Il cronista tace il nome di questo missionario; ma verrebbe da pensare a quel «Frater Arnoldus Alanmannus de provincia Colonie» di cui parla fra Giovanni da Montecorvino come abbiamo visto sopra.  La cronaca di Giovanni da Winterthur è edita da BAETHGEN F.  nei Monumenta Germaniae Historica Scriptores  Rerum Germanicarum [MGHSsrg),  Nova Series 3 (Berolini 19552).  Diamo qui il testo che è a p. 233 di quest'ultima edizione: «Immo maximum fructum animarum fecisset, si Nestoriani heretici sive falsi christiani illic multiplicati ipsi non obstitissent.  Nam illi felicibus eorum actibus invidentes ipsi pro viribus adversabantur.  Interdum aliquos per calumpnias, detractiones falsas, adulationes de maioribus natu illius terre contra eum concitabant.  Flagellaciones, incarceraciones et varias castigaciones aput potentes per plures dies et annos procurabant ei nefarie fieri.  Que omnia patienter pro Christo sustinuit.  Quandoque Canis magnus, quia eum intime dilexerat,  percipiens eum innocenter penis astrictum, turris vel arte custodie mancipatum,  elementer eripuit ipsum a captivitate et a cunctis tribolacionibus suis, libertati eum restituendo,  penas graves eis minando, qui eum de cetero verbis vel factis lederent».

67) - JOHANNES DE MONTE CORVINO, "Epistola III", 353

68) - IOHANNES DE MONTE CORVINO, "Epistola II'', 347-8.  

69) - EICHHORN, La Cina, 364.

70) - IOHANNES DE MONTE  CORVINO, "Epistola II'',  348: «Et plures ex eis scribunt psalteria et alia oportuna».

71) -  A. C. MOULE,  "Textus duarum epistolarum Fr. Minorum Tartariae Aquilonaris  an. 1323, AFH 16 (1923), 109.

72) - Il codice che raccoglie l'intero manoscritto è alla Biblioteca Ambrosiana di Milano con cifra di  catalogo  C. 70 infer.  Il Golubovich ne offre un dettagliato compendio pubblicandone anche degli estratti: G. GOLUBOVICH, Biblioteca 2, 151-4.

73) - PEREGRINUS DE CASTELLO, "Epistola", SF I, 366: «Et alie nationes christianorum, qui odiunt nestorianos scismaticos ipsum Fr. Iohannem secute sunt et precipue Armeni, qui sibi nunc notabilem construunt ecclesiam et dare iIli intendunt [ ... ] Item quidam christiani boni qui dicuntur Alani XXX milibus a Rege maximo stipendia accipientes ipsi et familie eorum ad Fr. Iohannem recurrunt.  Et ipse eos confortat et predicat».  - La lettera di Peregrino da Castello è riportata dal codice chigiano  I.VII.262  della Biblioteca Vaticana.  Come detto sopra alla nota 8, questo codice potrebbe aver subito delle manomissioni ad opera del famoso falsificatore Alfonso Ceccarelli;  di conseguenza si dovrebbe dubitare dell'autenticità di quanto in esso riportato.  Al riguardo van den Wyngaert ritiene che la lettera di Peregrino da Castello debba considerarsi autentica,  innanzitutto perché non si trova in disaccordo, interno con le informazioni comunicateci dagli altri documenti,  e anche in forza dell'originalità stessa delle notizie contenute nella medesima e che il Ceccarelli non sarebbe stato in grado d'inventare.  Cfr. VAN DEN WYNGAERT,  Jean de Mont Corvin, 38 nota 5.

74) - Secondo P. PELLIO T, "Chretiens d'Asi e et d'Extrerne-Orient", T'oung Pao Archives pour servir a L'Etude de l'Histoire, des Langues, de la Geographie et de l'Ethnographie I (1914) 633, ci informa del territorio ove erano stanziati i Tenduc, egli scrive: «c'est en gros la vallee des  Kouei-hosca-tch'eng  avec une certaine extension le long de la rive septentrionale de la boucle du fleuve jaune»; cfr. A.C. MOULE, "Documents relating to the mission of the Minor Friars", Journal of the Royal Asiatic Society [JRAS] 25 (1913) 548-9, n. 1;  MARGIOTTI, Il cattolicesimo nello Shansi, 42-5.

75) - IOHANNES DE MONTE CORVINO, "Epistola II'', 349.

76) - IOHANNES DE MONTE CORVINO, "Epistola II'', 348: «De bono Rege Giorgio. Quidam Rex illius regionis de septa nestorianorum christianorum [ ... ] primo anno quo huc ego veni michi adhesid et ad veritatem vere fidei catholice per me conversus, [ ... ] Tamen ipse magnam populi sui partem ad veram fidem catholicam adduxit ... ».  E in SF I, LXX, : «Fama adventus legati apostolici et rumor conversionum quas operatus erat, Georgio principi Tenduc, nestoriano, mox innotuit». - Re Giorgio era originario della tribù degli Ongut, cfr. P. PELLIOT, "Chretiens d'Asie", 633-4; H. YULE, Cathay and the way thither 3 (London 1915) 15, n. 1; H. CORDIER, Histoire generale de la Chine et de ses relations avec les pays étrangers depuis les temps les plus ancies jusq'a la chute de la dynastie madchoue 2 (Paris 1920) 378.

77) - Per Giovanni da Montecorvino il re Giorgio appartiene alla discendenza del Prete Giovanni: «(Re Giorgio) qui erat de genere illius magni Regis qui dictus fuit Presbiter Iohannes de Yndia» ("Epistola II'', 348), re e sacerdote, sovrano delle Tre Indie che con il suo potente esercito avrebbe - secondo dicerie leggendarie che fiorirono soprattutto nel periodo delle Crociate - liberato la Palestina dal dominio islamico e sterminato tutti gli infedeli. Ci vorrà il senso pratico di un Ruggero Bacone,  il quale dopo aver interpellato i confratelli missionari in oriente giunse a concludere: «Et haec Cothaia nigra fuit terra Presbyteri  Johannis,  sive regis Johannis,  de quo tanta fama solebat esse, et multa falsa dieta sunt et scripta» (in ROGER BACON, The 'Opus Mayus ',  a cura di  J.H. Bridges (Oxford 1900) 367).  Per la bibliografia riguardante il Prete Giovanni si veda I. DE RACHEWILTZ, Prestr John and Europe's discovery  of Asia (Canberra 1972).

78) - Non abbiamo incluso il suddiaconato in quanto a partire dall'inizio del XIII sec. da ordine minore cominciò ad essere considerato come un ordine maggiore. Cfr. E. LODI, "Ministero/Ministeri", Nuovo Dizionario di Liturgia (Roma 1984) 848.

79) - PETECH, "Tibetan Relations", 184; H. FRANKE - D. TWITCHETT,  The Cambridge, 460

 80) - IOHANNES DE MONTE CORVINO, "Epistola II'', 348.

81) - IOHANNES DE MONTE CORVINO, "Epistola II'', 348-9. Cfr. P. PELLIOT, Recherches, 239-88. Pelliot ha scoperto l'iscrizione funeraria del principe, vedi P. PELLlOT, Comunications  a l'Accademie des Inscriptions et Belles Lettres, Comptes Rendus,  seduta del 30 gennaio 1914, 58.  Un archeologo giapponese, Egami Namio, ha scoperto numerosi resti di una chiesa gotica nella località mongola chiamato Olon-sume, che potrebbero risalire alla chiesa costruita da frate Giovanni. Cfr, E. NAMIO, "Decourverte D'une 'Eglise Romaine', Etablie  Au  XIII  siecle,              En Mongolie, Par Monte Carvino", Conferenze, (Istituto Italiano per il Medio ed Estremo Oriente, Roma 1955).

82) - IOHANNES DE MONTE CORVINO, "Epistola II'', 349.

83) - IOHANNES DE MONTE CORVINO, "Epistola II", 349.

84) - IOHANNES DE MONTE CORVINO, "Epistola II'', 350.

85) - IOHANNES DE MONTE CORVINO, "Epistola III", 352

86) - Vedi sopra, p. 476s.

87) - IOHANNES DE MONTE CORVINO, "Epistola II, 347: «  ... et ideo prefati nestorini per se et per alios pecunia corruptos, persecuciones michi gravissimas intulerunt, asserentes quod non essem missus a domino papa sed essem explorator, magus et dementator hominum».

88) - IOHANNES DE MONTE CORVINO, "Epistola III", 351.

89) - ELEMOSINA,  Chronica, f. 171r: «Has litteras transmisit frater Iohannes predictus legatus apostolice Sedis, [ ... ], per mercatores venetianos qui a Tartaria redieunt, et dederunt predicto fratri  Predicatori in signum veritatis tabulam magni Chaan imperatoris. Et  ipse frater transmisit eam in pluribus locis  citra mare, fratribus minoribus et predicatoribus»,

90) - ELEMOSINA,  Chronica, f. 171 r:  «Et significavit ipse frater quod plures fratres predicatores qui litteras latinas, grecas, tartaricas et linguas optime didicerant, et adire Tartariam superiorem properaverunt portantes libros calices et paramenta.  Et fratres predicti ceperunt viam et pervenerunt usque Gazariam Tartarorum aquilonarium, ... ».

91) - IOHANNES DE MONTE CORVINO, "Epistola III" [Inscriptio], 351.

92) - ELEMOSINA, Chronica, f. l72r: «Frater vero Thomas de Tolentino a Tartaria rediens cum istis epistolis [ ... ] veniens in Ytaliam, accessid ad curiam Romanam, ultra montes in Vaschoniam, ubi Papa Clemens morabatur cum cardinalibus;  prius hec Dei magnalia ffratri Iohanni de Murro, olim Generali Ministro fratrum Minorum et tunc Cardinali, nuntiavit; et ipse frater Iohannes domino Pape et Cardinalibus retulit.  Et advocatus frater Thomas in concistorium coram domino Papa et Cardinalibus et Prelatis sermone preclaro ista Dei nostri ammiranda opera sic bene incepta et prosequta per fratrem Iohanem de Monte Corvino et alios fratres, recitavit, rogans dominium Papam et Cardinales, ut operam darent ut hoc opus Dei augeretur ut perficeretur.  De VII  fratribus episcopis.  Et dominus Papa Clemens, gaudio magno repletus cum Cardinalibus de ista maxima commutatione dextre Excelsi, avidus et sollicitus, ut tam sanctum opus Dei prosequerentur, fratri Gun Salvo Generali Ministro fratrum Minorum imposuit, ut statim cum consilio fratrum eligeret VII bonos fratres Minores, ornatos  virtutibus et approbatos sensu, et eruditos in scripturis divinis, et ipsos fratres auctoritate sua Episcopos ordinare et consecrare faceret et illos transmitteret in Tartariam cum privilegiis domini Pape,  ut  fratrem Iohannem in Archiepiscopum et Partiarcham totius Orientis ordinarent et consecrarent;  et ipsi VII Episcopi, sicut suffraganei, illi astarent in propinquis civitatibus magnis, iuxta Cambaliech constituti Episcopi ... ».

93) - CLEMENS V, Lettera "Nuper considerantes", 23 luglio 1307, BF 5, n. 87,39: «Pictavis, 23 Iulii 1307.  Dilectis  filiis Gerardo Albuini, Ulrico de Seisdstorf, Guilelmo de Villanova, Nicolao de Bantia, Andreas de Perusio et Peregrino de Castello, ord. Fratrum Minorum, per nos assumptis in episcopos suffraganeos archiepiscopalis sedis Cambalien dominii Tartarorum»,  In  GOLUBOVICH G., Biblioteca 3, 106-7, si possono trovare alcune notizie relative a ciascun di questi frati consacrati vescovi.  A riguardo di Guglielmo di Villanova, egli non partì con il gruppo dei sei suoi confratelli. Solo nel 1308 dopo manifesta ingiunzione pontificia, egli si decise di lasciare l'Europa. Non sappiamo se egli sia giunto mai in Cina. Cfr, GOLUBOVICH G., Biblioteca 3, 108, 122-3.

94) - ANDREAS DE PERUSIA, "Epistola", SF I, 377: «Frater Nicholaus de Banthra et frater Andrutius de Asisio et unus alius Episcopus mortui fuerunt in ingressu Yndie inferioris, in terra quadam caldissima ubi et plures alii fratres mortui sunt et sepulti».

95) - CLEMENS V, Lettera "Nuper considerantes", 39: «Dilectis filiis Gerardo Albuini ... ect.  Nuper considerantes attentius sancte operationis studia que dilectus filius Frater Iohannes de Montecorvino, ordinis Fratrum minorum secum domino faciente virtutem et in partibus Tartarorum et aliorum non credentium operatus est hactenus ac in partibus ipsis existens assidue ac fideliter operatur circa fidei catholice incrementum, ipsum Fratrem Iohannem ordinem eumdem professum de fratrum nostrorum consilio et apostolice plenitudine potestatis, in civitate Cambaliensi magna utique et honorabili regni magnifici principis, magni Regis Tartarorum, in archiepiscopum assumpsimus et prefecimus in pastorem, curam et sollicitudinem animarum omnium existentium in eisdem partibus, que subduntur dominio Tartarorum ... ».

96) - CLEMENS V, Lettera "Pridem considerantes", 23 luglio 1307, BF 5, n. 88,39.

97) - Cfr. sopra nota 8.

98) - Libri Chronicarum, f. 99v: «Quod si plures quam dictos sex episcopos ad tam pium et salubre opus necessarios fore cognoveris, tu alias personas vita, scientia et etate ydoneas, ubi et quando expedierit, vice nostra et nomine, ipsos episcopos consecres, ordines et preficias in pastores, eis curam animarum et solicitudinem commissi sibi populi plenarie commictendo,... ». .

99) - Libri Chronicarum, f. 99v: «Aliud privilegium est quod dicti episcopi, si frater Iohannes obisset, possint alium eligere et consecrare auctoritate domini pape.  Et sic de omnibus aliis archiepiscopis venturis et successuris in archiepiscopatu Cambaliensi fiat, ne ecclesia pastore careat, quia propter longitudinem iteris et periculosa discrimina ad romanam curiam cito recurri non potest».

100) - IOHANNES XXII, Bolla "Redemptor noster", 1 aprile 1318, BF 5, n. 318', 148 e in GOLUBOVICH, Biblioteca 3, 200-4.  Il BF ha pubblicato solamente una parte di questa bolla, e precisamente la pericope riguardante i limiti territoriali della giurisdizione francescana.  È invece completa in Golubovich, di cui le pp. 201 e 203 passim: «Cum itaque locus Soltaniensis, in partibus Persidis constitutus, inter alia loca populosa illarum partium sit insignis, nobilis et famosus, habensque populum copiosum, et honorabilior inter alia totius regni magnifici principis magni principis Tartarorum in Perside [ ... ] in civitatem metropolitanam duximus erigendam [ ... ] Volumus insuper et praesentium tenore decernimus quod provincia praefati archiepiscopi de dicto Ordine nunc assumpti ac aliorum archiepiscoporum successorum  ipsius, per infrascriptos terminos protendatur et etiam limitetur: videlicet a Monteharrario [= Monte Ararat in Armenia] et ultra versus orientem in toto imperio dicto Carpente, quondam magni principis Tartarorum Persidis, et qui erunt pro tempore successores ipsius; terrae etiam seu regna Doha et Chaydo regum et aliae terrae eorum imperiis subjectae; terrae insuper Aethiopum et Indorum sint de provincia archiepiscopi praelibati [ ... ] Fratribus vero de Ordine Minorum, quibus fel  reco Clemens papa V concessit unum archiepiscopatum cum certis episcopis suffraganeis in partibus Tartarorum, remaneant pro terminis provinciae  suae  archiepiscopalis totum imperium Gazariae et totum illud magnum imperium, quod Cathay vulgariter nuncupatur et quidquid est a dicto Monteharrario versus Peram ... ».

101) - In BF 5, n. 176, 74, abbiamo l'estratto di tre lettere perfettamente uguali tra loro con incipit Rex Regum ed inviate ognuna a ciascuno di questi tre frati; redatte in Avignone il 19 febbraio 1311. Questi i loro indirizzi:
«Venerabili fratri Thome episcopo in dominio Tartarorum per nos assumpto»;
«In e. m. venerabili Fratri Ieronimo episcopo ... »;
«In e. m. venerabili Fratri Petro de Florentia episcopo ... ».
Di fra Tommaso nulla sappiamo all'infuori della sua nomina a suffraganeo dell'Arcivescovo di Cambalik. Di fra Girolamo di Catalogna ricordiamo brevemente che prima della sua ordinazione episcopale fu ministro provinciale della Provincia di Romania. Fu persecutore acerrimo dei frati seguaci di Angelo Clareno, di cui si attirò il feroce odio.  Dobbiamo infatti al Catalano se quest'ultimi furono scacciati dalla Grecia ove avevano tentato di riparare dopo la loro espulsione dall'Armenia.  Dopo la sua ordinazione a vescovo suffraganeo del Montecorvino lo troviamo stabilmente residente a Caffa quale vescovo reggente, nel 1317 a Costantinopoli forse implicato nelle trattative per l'unione delle chiese.  Nel 1318 lo troviamo ad Avignone presso Giovanni XXII, ove vi ritornerà nel 1321-1322 per prendere parte alla controversia sulla questione della povertà di Cristo. Tra il 1318 e 1321 si adoperò per la conversione degli Armeni.  Nel 1324 è a Venezia per trattative concernenti questioni politico-religioso-ecumeniche in cui Venezia svolgeva un ruolo di mediazione con la Chiesa Greca. Sembra essere morto alla fine del 1325.  Per una più approfondita conoscenza della figura di fra Girolamo di Catalogna vedi GOLUBOVICH, Biblioteca 3, 38-58.  Di fra Pietro da Firenze possiamo solo dire che succederà a fra Andrea di Perugia alla sede di Zaitum: IOHANNES DE CORA, "Livre de l'Estat du Grant Kaan", L. DE BACKER, L'Extrème Orient au Moyen-Age (Paris 1877) 344.

102) - Cfr., VAN DEN WYNGAERT, Jean de Mont Corvin, 38.

103) - «Ut autem in eisdem partibus incrementum salutis animarum perfectius provenire valeat, et fides Catholica semper de bono in melius per Evangelicae praedicationis doctrinam, auctore Domino, prosperetur». Il testo completo della bolla è riportato in L. WADDING, Annales Ordinis Minorum seu trium Ordinum a S. Francisco institutorum 6  (Ad Claras Aquas (Quaracchi) - Romae 1931-19643) an. 1310, n. 28, 526-8.

104) - ANDREAS DE PERUSIA, "Epistola", 374-5: «Est quedam magna civitas iuxta mare Occeanum, que vocatru lingua persica Zayton, in qua civitate una dives domina Armena ecclesiarn erexit pulcram satis et grandem, quarn quidem de ipsius voluntate per Archiepiscopum cathedralem effectam, cum competenti bus dotibus, frati Gerardo Episcopo et fratribus nostris qui cum eo erant, donavit in vita, et in morte reliquid. Qui primus eamdem cathedram suscepit».

105) - PEREGRlNUS DE CASTELLO, "Epistola", 368: «Nulla alia re indigemus quantum fratribus quos desideraramus. Fr. Gerardus Episcopus mortus est, et alii fratres non possumus diu vivere, nec alii venerunt.  Remanebit ecclesia sine baptismo et sine habitatoribus. [ ... ] Datum in Zayton III Kalendis ianuarii anno Domini 1318».

106) - PEREGRINUS DE CASTELLO, "Epistola", 365: «Reverendis in Christo patribus fratri N. Vicario generalis Ministri ceterisque fratribus Vicarie orientis F. Peregrinus paupertatis Episcopus in mundo alio constitutus, reverentiam et salutem cum desiderio nova de mundo fidelium audiendi».

107) - ANDREAS DE PERUSIA, "Epistola", 375: «Ante cuius decessum (di fra Peregrino di Cestello) per quatuor fere annos, ego, quoniam in Chambaliech non eram consolatus ex aliquibus causis, procuravi quod dictum alafa, elemosyna imperialis,  mihi daretur in prefata civitate Zayton [ ... ] sollicite procuravi; et cum octo equitaturis ab Imperatore mihi concessis, ad eamdem civitatem cum magno honore perrexi, et applicui adhuc fratre Peregrino prefato vivente, et in quodam nemore proximo civitati, ad quartam partem unius milliarii, ecclesiam convenientem et pulcram edificari feci, cum omnibus officinis sufficientibus pro xx fratribus et cum IIII cameris, quarum quelibet esset pro quocumque prelato sufficiens».

108) - ANDREAS DE PERUSIA, "Epistola", 375s: « ... sed ego huiusmodi locationi et successioni me non prebente assensum, ipsam contulit fratri Peregrino Episcopo memorato,  qui illuc, habita opportunitate, se contulit, et postquam paucis annis rexid eamdem, anno Domini MCCCXXII in crastino octave Apostolorum Petri et Pauli diem clausid extremum [ ... ] Denique, non longo elapso tempore post obitum fratris Peregrini, recepi decretum Archiepiscopi de locatione mea in memorata ecclesia cathedrali, cui locationi assensum prebui causa rationabili suadente, et nunc in loco vel ecclesia civitatis, nunc in hermitorio moram facio, iuxta mee libitum voluntatis»,

109) - ANDREAS DE PERUSIA, "Epistola", 373: «Fr, Andreas de Perusio de Ordine Minorum fratrum divina permissione vocatus Episcopus, reverendo patri fratri Guardiano Perusini Conventus salutem et pacem in Domino sempitemam».

110) - ANDREAS DE PERUSIA, "Epistola", 377: «Omnes Episcopi suffraganei facti per dominum Papam Clementem Kambaliensis sedis migraverunt in pace ad Dominum.  Ego solus remansi». - La lapide tombale di Andrea da Perugia fu ritrovata al tempo della guerra cino-nipponica e l'iscrizione è stata pubblicata da J. FOSTER, "Crosses from de Wall of Zaitun", JRAS 66 (1954) 17ss;  per altri riferimenti bibliografici si veda REICHERT, Incontri, 86 nota 70 e anche L. PETECH, "I francescani nell'Asia centrale ed orientale nel XII e XIV secolo", Espansione del francescanesimo tra Occidente e Oriente, 231 nota 17.

111) - IOHANNES DE CORA, "Livre", 344: «Il en fist aussy deux autres en la cite de Racon (Zayton) qui est bien loings de Cambalech le voiaige de trois mois, et est d'encostè la mer. Esquelz deux lieux furent deux freres Meneurs euesques. Ly uns eut nom frère Andrieu de Paris (Andrea di Perugia?), et ly autres eut nom frère Pier de Florence».

112) - WADDING, Annales 7, an. 1338, n. 1, 247: «Anno Cristi 1338. Ineunte hoc anno pervenerunt Avenionem Legati Imperatoris maximi Tartarorum [ ... ] Ita etiam ipsi testati sunt, praecipue Principes Alanorum, scriptis per eosdem Legatos litteris, quibus Imperatoriam erga se depredicant beneficentiam, et gratias a Pontifice rependi desposcunt ... », Cfr. GOLUBOVICH, Biblioteca 4, 249-252.

113) - WADDING, Annales 7, an. 1338, n. 3, 248:  «'Epistola Alanorum ad Papam': [ ... ] Hoc autem sanctitati vestrae sit notum, quod longo tempore fuimus informati in fide Catholica, et salubriter gubernati, et consolati plurimum per Legatum vestrum fratrem Ioannem, valentem, sanctum et sufficientem vi rum, qui tamen mortuus est ante octo annos, in quibus fuimus sine gubernatore, et sine spirituali consolatione, licet audierimus, quod providistis de alio legato, ille tamen nondum venit [ .. .]. Scripta in Cambalec in anno Rati, mense sexto, tertìa die lunationis». I sinologi sono concordi nell'affermare che l'anno del Topo (Rati) corrisponde al 1336 e il sesto (sexto) mese di questo, iniziando il loro anno da febbraio, corrisponderebbe al nostro luglio; cfr. GOLUBOVICH, Biblioteca 4, 256s; YULE, Cathay, III, 181, nota 1.  Dalla venuta della legazione tartara ad Avignone, veniamo oltremodo informati che il successore di fra Giovanni da Montecorvino, fra Nicolò di Calabria, nominato da Papa Giovanni XXII, non aveva raggiunto - e mai raggiunse - la sua destinazione.  Sulla nomina di fra Nicolò di Calabria vedi BF 5, 555.  Intorno alla sua origine Libri Chronicarum, f. 103v: «Fr, Nicolaus de Regio Calabrie electus est in achiepiscopum Cambaliensem».

114) - Di lui si sa pochissimo: fu frate domenicato missionario in Persia ove nel 1329 sarà elevato alla dignità episcopale per reggere la chiesa di Sultianel.  Egli scrisse, per mandato di papa Giovanni XXII, un libro riguardante il Gran Khan e il Cathay.  L'opera originale fu composta in latino, ora perduta, e tradotta in francese, ancora nella prima metà del XIV secolo, da un monaco benedettino di San Bertino de St. Omer, fra Jean le Long su disposizione di papa Giovanni XXII. L'opera, che tradotta porta il titolo di Livre de l'Estat du Grant Kaan, fu inclusa in un più ampio codice comprendente altri itinerari orientali (per esempio di Marco Polo e di Odorico da Pordenone), anch'essi tradotti in francese dalle Long, e che va sotto il nome di Livre des Merveilles.  L'esattezza con cui Jean le Long ebbe a tradurre gli altri itinerari, non ci fa dubitare sull'originalità di quanto riportato dal  Livre de l'Estat du Grant Kaan.  Questa relazione fu per la prima volta pubblicata da M. Jaquet in Nouveau Journal Asiatique 6 (1830) 59-71, ma attribuita a fr. Guglielmo Adam (OP) vescovo di Sultanieh (1323-1329).  Fu M. D'AVEZAC, Recuil de Voyages 4 (Paris 1838) 24-25, a dimostrare che il Livre era invece opera di Govanni da Cori (OP), peraltro successore di Guglielmo Adam (C. EUBEL, Hierarchia Catholica Medii Aevi ... 2 (Monasteri i 1913) 457).  Noi abbiamo usufruito della pubblicazione che del Livre ha fatto L. DE BACKER,  L'Extréme Orient au Moyen-Age (Paris 1877) 335-346.  Una traduzione in italiano (aulico) di alcune parti estratte dal Livre sono in MARCELLINO DA CIVEZZA,  Storia universale delle Missioni francescane 3 (Roma 1859) 600- 605.

115) - IOHANNES DE CORA, "Le livre", 345: «A son obseque et a son sépolture, vis très grant multitude de gens crestiens et païens, et desciroient ces païens leur robes de dueil, ainsi que leur guise est.  Et ces gens crestiens et païens pristrent en grant déuocion des draps de l'arceuesque, et le tirent à grant révérence, et pour relique.  Là fu il enseuelis moult honnourablement a la guise des fiables crestiens. Encore uisite en le lieu de sa sépolture a moult grant déuocion».

116) - Nacque a Firenze alla fine del sec. XIII dall'illustre famiglia Marignolli. Fattosi francescano nel convento di Santa Croce, studiò a Bologna dove fu anche lettore. Inviato come nunzio, con altri tre confratelli, presso l'imperatore del Cathay nel 1338, iniziò il suo lungo viaggio partendo da Napoli nel 1339 e ritornò ad Avignone nel 1352. Nel maggio del 1354 fu eletto vescovo di Bisiniano. La sua fama era tale che dopo la sua consacrazione fu richiesto da Carlo IV di Boemia come suo cappellano e cronista.  Nel 1356 lo troviamo, reclamato dai fiorentini, ad Avignone per comporre le discordie tra questi e i Malatesta.  Coinvolto nell'attrito tra i Frati Minori e il Primate d'Irlanda, sostenne i primi.  A causa persa, si ritirò in silenzio.  Si ignora la data precisa del suo decesso. Si sa che il nuovo vescovo di Bisiniano gli succedette il 22 marzo 1359.  In sua memoria gli fu eretta nel 1898 nel convento di S. Croce in Firenze una lapide. Per ulteriori informazioni vedi SF 1, 516-17.

117) - IOHANNES DE MARIGNOLLI, "Chronicon", SF 1,530: « ... sicut fuit  ille Ieronimts Papa (= Nicolò IV) qui misit eis Legatum, quem sanctum venerantur Thartari et Alani, fratrem Iohannem de Monte Corvino Ordinis Minorum».

118) - WADDING, Annales 7, an. 1331, n. 16, 146. Da notare che il van den Wyngaert non inserisce in testo, ma in apparato, tali affermazioni riportate in altri manoscritti: ODORICUS DE   PORTU NAONIS,  Relatio, SF 1,694.  Comunque, A. SARTORI, "Odoriciana. Vita e memorie",  Il Santo 6 (1966) 30 si dimostra scettico sulla realizzabilità di questo progetto odoriciano. Si veda inoltre ODORICO DA PORDENONE,  Libro delle nuove e strane e meravigliose cose, volgarizzamento italiano del secolo XIV dell' Itinerarium, ed. da A. ANDREOSE (Padova 2000), 39-40.

119) - A.C. MOULE,  "A life of Odoric of Pordenone",  T'oung-pao  6 (1921) 289.

120) - IOHANNES XXII,  Lettera "Militanti ecclesiae", 18 settembre 1333,  BF 5, n. 1037, 555.
Gli venne concesso di scegliersi 20 chierici e 6 fratelli laici dell'Ordine dei Frati Minori:
IOHANNES XXII, Lettera "Summis desideriis", 13 febbraio 1334, BF 5, n. 1057, 567.

121) - Vedi nota 112.

122) - Cfr. VAN DEN WYNGAERT,  Jean de Mont Corvin, 45 nota 4.

123) - Il suo resoconto di viaggio è pubblicato in SF 1,  513-60.

124) - PETECH, "I francescani", 236.

125) - "Chronica XXIV Generalium Ordinis Minorurn", AF 3 (Claras Aquas - Quaracchi 1897) 548.

126) - Mancano al riguardo studi che trattino in modo specifico dei francescani e la peste nera. Per le nostre affermazioni, noi ci siamo riferiti a quanto riportato da: "Chronica XXIV Generalium", 544; N. GLASSBERGER, "Chronica", AF 2 (Claras Aquas - Quaracchi 1887) 184; MARIANO DA FIRENZE, "Compendium Chronicarum Ordinis Fratrum Minorum", AFH 3 (1910) 301;  WADDING, Annales 8, an. 1348 n. 2, 25.  Inoltre, dati statistici di frati deceduti in conventi italiani causa il morbo: C. PIANA, "Agiografia e storia in un Codice dell' Antico Monastero di S. Chiara in Monte",  Studi Francescani 52 (1955) 230; G. ANDENNA, "Effetti della peste nera sul reclutamento monastico e sul patrimonio ecclesiastico", La peste nera: dati di una realtà ed elementi di una interpretazione, Atti del XXX Convegno storico internazionale. Todi, 10-13 ottobre 1993 (Spoleto 1994) 321.

127) - Chronica XXIV Generalium", 559. GOLUBOVICH, Biblioteca 5, 92.  VAN DEN WYNGAERT, Jean de Mont Corvin, 46

128) - URBANUS V,  Lettera "Inter sollicitudines", 11 marzo 1370, BF 6, n. 1079,436; Lettera "Zelus tuae",  27 marzo 1370, BF 5, n. 1084, 438-9.  "Chronica XXIV Generalium", 572. GOLUBOVICH, Biblioteca 5, 149-154.



Fonte: srs di  PACIFICO SELLA,  OFM
Extractum ex Antonianum LXXVII Iulius - September Fase. 3 (2002)
PONTIFICIUM ATHENAEUM ANTONIANUM
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Antonianum LXXVII (2002) 475-502

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