domenica 13 febbraio 2011

IL CAMMINO E LE FASI DEI POPOLI


Stavo rileggendo proprio in queste settimane, i libri di un caro amico russo, un filosofo della storia, Lev Gumilyòv: personalità eccezionale, figlio di due dei massimi poeti del Novecento: Nikolày Gumilyòv e Anna Akhmàtova.

In gioventù, negli anni Trenta, venne deportato in Siberia e lì, come avvenne ad altri celebri scrittori, cominciò a pensare con un coraggio e un'originalità inversamente proporzionali all'obbedienza a cui tentavano di rieducarlo i suoi carcerieri.

Tornato in libertà, studiò appassionatamente le lingue e le vicende dei popoli dell'Asia Centrale, confrontò la loro millenaria e aggrovigliatissima storia con quella dei popoli europei, degli arabi, dell'India, e, a cominciare dagli anni Sessanta, espose le sue conclusioni in una serie di poderosi volumi, ignoti purtroppo in Italia.

In breve, la sua teoria è la seguente

Ciascun popolo del mondo attraversa, nel corso dei secoli, una serie di fasi ben riconoscibili, determinate da molti fattori: culturali, economici, climatici ecc.

Queste fasi durano, ciascuna, vari decenni o secoli, e si succedono le une alle altre secondo uno schema anch'esso ben preciso: una volta individuata la fase in cui un popolo si trova oggi, si possono fare previsioni attendibili sulle circostanze in cui verrà a trovarsi nel prossimo futuro.

Non è in potere del singolo individuo mutare i processi in cui queste fasi consistono (in altre parole, si puo’ cambiare il mondo, ma è del tutto inutile voler deviare un popolo dal suo cammino), ma l'individuazione della fase è pur sempre utilissima, tanto quanto lo sarebbe il sapere che sta arrivando uno Tsunami e che il tale o tal'altro territorio ne saranno sommersi, mentre altri no.

Orbene, la fase più emozionante è quella, cosiddetta, fase ascensionale: si verifica quando, tutt’a un tratto, nella mente dei più energici membri di un popolo (Gumilyòv li chiamava «i più passionali») si delinea l'imperativo «comincia a essere chi devi essere!»  Questi "passionali" diventano allora audaci, iperattivi: la loro energia si comunica ad altri, e ben presto in vasti strati della popolazione si ha un miglioramento delle condizioni, un aumento della curiosità, dell'intraprendenza.

Se tutto va bene, segue di lì a qualche decennio la cosiddetta fase acmatica in cui l'imperativo interiore diventa più direttamente: «Comincia a essere chi sei davvero!»  E allora il popolo da inizio a un'ascesa inarrestabile.

Avvenne così ai macedoni di Filippo (fase ascensionale) e di Alessandro il Grande (fase acmatica); agli arabi dei secoli VI-VIll; ai tataro-mongoli di Gengiz-Khan e via dicendo.  Oggi sta avvenendo ai cinesi e agli indiani. La fase acmatica può durare a lungo, con comprensibili preoccupazioni dei popoli vicini, che subiscono l'impatto di tali crescite

Poi l'impulso comincia a esaurirsi, la situazione si stabilizza, e le conquiste durano più o meno a lungo, a seconda della struttura sociale del popolo, delle sue capacità culturali, economiche, delle condizioni geografiche, climatiche ecc.

La fase più preoccupante è invece quella che Gumilyòv chiama fase omeostatica.

Si ha quando un popolo viene a trovarsi in periodi di tranquillità, senza gravi conflitti sociali e in buoni rapporti con il suo ambiente naturale.

A questa fase segue puntualmente un periodo di decadenza determinata o da attacchi esterni (come avvenne agli imperi del Centro e Sud America nei secco XVI-XVII, agli indiani nordamericani nei due secoli seguenti, o al felice Regno delle Due Sicilie quando sbarcò Garibaldi), oppure dall'esaurirsi delle energie vitali del popolo stesso.

In prossimità della fase di decadenza si ha, di solito, spiega Gumilyòv, un periodo culturalmente ricco, un qualche Rinascimento, un Boom, e poi comincia la disgregazione.

In questi periodi, invece di pensare a chi puo’ o deve essere, o a chi è in realtà, il normale cittadino prova soltanto una vaga paura del futuro.

Rimpiange il passato più o meno recente, teme le novità che lo tocchino da vicino (riesce cioè a sopportare qualcosa di nuovo e a interessarsene solo se sa che è straniero); invidia, detesta o cerca di ostacolare i suoi connazionali che cercano di farsi strada o di seguire la propria vocazione; si aggrappa a tradizionali capisaldi di autorità: si comporta, insomma, come certi anziani infelici e colmi di rancore, descritti nei romanzi di Oickens e Balzac.

Oppure cerca ogni mezzo per non pensare a se stesso, stordendosi con alcool, droghe, tv, falsi ideali, chiacchiere a vuoto, conflitti sociali privi di reale fondamento e, soprattutto, privi sempre di soluzione.  Quando si notano in un popolo tali condizioni, la fase di decadenza è già avviata verso una caduta verticale.

Ad essa segue la trasformazione del popolo in relitto, come lo chiama Gumilyòv: fase delle macerie, dei frammenti.

Il popolo si frantuma in entità etniche, o sociopolitiche minori, che vengono inglobate da altri popoli o che semplicemente, in capo a qualche decennio, cessano di esistere.

Indovinate dove si trova ora l’Italia?

L'Italia, purtroppo, si trova attualmente nell'ultima   fase che ho appena descritta, e - a differenza per esempio degli Stati Uniti, anch'essi in notevole difficoltà - non sembra avere oggi quella elasticità e forza culturale che, nei periodi di decadenza, può a volte rallentare, e a volte addirittura evitare in extremis la trasformazione in relitto.



Ma c'è un lato buono della faccenda

Tutto ciò che è riassunto dai libri di Lev Gumilyòv si riferisce ai popoli, a chi dice «noi», e non agli individui.

Chi dice «IO» ha, se vuole, tutt'altra storia.

I periodi di decadenza somigliano a fiumi che corrono verso una cascata: i «noi» fluiscono, in essi, più o meno senza accorgersene, chi in superficie, chi rotolando sul fondo, e non si possono fermare...

Chi invece dice «IO» (e, specialmente in periodi simili, occorre coraggio per dirlo) si accorge che il fiume è tutt'altro che profondo: vi si può alzarsi in piedi e, guardandosi attorno, è possibile scorgere come non mai altre persone che, a differenza dei più, sanno o provano a scoprire se stessi.  Allora, per questi, è una grande gioia incontrarsi, capirsi gli uni gli altri, pensare, cercare, trovare insieme.

Questi «IO» possono risalire la corrente, riguadagnare la riva e scoprire qualcosa di diverso dalle solite bolle sott'acqua: e sapere di non essere casi isolati, accresce certamente la loro vitalità. E il bello è che, poi, questi cercatori risultano sempre essere molto più numerosi di quel che si sarebbe potuto supporre


Fonte: liberamente tratto da srs di Igor Sibaldi, Totem n° 1 anno maggio 2008 

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