giovedì 23 giugno 2011

STORIA DELLA CHIESA MEDIEVALE. (Cap. VII. D): GLI ORDINI MENDICANTI E LE RIFORME DI ORDINI NEL TARDO MEDIOEVO

Affresco. Chiesa sant' Andrea  Sommacampagna

I quattro grandi ordini mendicanti del medioevo furono i domenicani, i francescani i carmelitani e gli eremitani agostiniani.
Accanto ad essi esistettero altre comunità più piccole, il più delle volte raggruppamenti e confraternite religiose, che nel tardo medioevo furono organizzati sul modello dei Mendicanti. In parte la curia cercò di trovare così anche per essi delle forme giuridiche (come per es. per gli eremitani agostiniani, i serviti, i paolini, i guglielmiti ecc.). I Mendicanti possono essere come il corrispettivo ecclesiale delle tendenze eterodosse del movimento pauperistico dei secoli XII e XIII (H. Grundmann).

a)  I  Domenicani

Domingo de Guzmán (1170-1221), originario della vecchia Castiglia, proveniva dalla tradizione dei canonici, a somiglianza di Norberto e a differenza di Francesco.
Canonico regolare a Osma, in possesso di una buona formazione teologica e animato da spirito apostolico, egli voleva divenire originariamente missionario tra i cumani (abitanti della Crimea, allora considerata ai confini della cristianità), quando venne a conoscenza del problema degli albigesi nella Francia meridionale.
Per poter essere intellettualmente e moralmente all’altezza degli eretici, capì che c’era bisogno di una formazione teologica sistematica, di uno studio e di una meditazione orientati alla predicazione, nonché di uno stile di vita che non avesse più nulla a che fare con le precedenti forme di possesso e di dominio. Per i certosini la proprietà terriera rappresentava addirittura “dominium” e “dominatus”, possesso e rappresentanza politica. Contro di ciò si scagliava ora appunto il movimento pauperistico eterodosso.
Le regole dei domenicani in fatto di povertà, più temperate rispetto a quelle rigorose del francescanesimo, mantennero sì le proprietà necessarie allo studio, alla predicazione e alla cura d’anime (libri, monasteri, chiese, collegi), ma rifiutarono l’abituale proprietà terriera e la struttura agraria degli ordini monastici. Lo studio e la cura d’anime sono sempre costati denaro.
Con Domenico la finalità pastorale viene per la prima volta chiaramente formulata nella storia della vita religiosa. L’ascesi deve servire alla predicazione: «contemplata predicare». Allo studio furono sacrificate usanze ascetiche, ritenute in passato indispensabili.
Per esempio, i frati ebbero celle singole e un lume con cui poter studiare anche di notte, cosa che sarebbe stata impensabile in un ordine monastico.  Domenico anticipò in parte le categorie pastorali degli ordini religiosi dell’evo moderno.

Vi è qualcosa di vero nell’affermazione che i domenicani avrebbero imparato la povertà dai francescani, mentre i francescani avrebbero imparato lo studio e il servizio sacerdotale dai domenicani (al riguardo il francescani britannici, sin dal loro inizio, avranno come modello di riferimento i conventi-collegi domenicani e il rovesciamento di frate Elia nel 1239 fu causato da un moto capeggiato dai frati “maestri” inglesi: p. es. fr. Aimone di Faversham).

Sotto il profilo pastorale, i domenicani cercarono di arginare l’eterodossia contemporanea con misure di vario genere. Essi vivevano nelle città e, quindi, porta a porta con gli eretici.
Già a Prouille (1206) i frati predicatori cominciarono a radunare donne convertite (secondo Ordine) dalla religione catara. Questa tradizione servì da esempio a tutta la Chiesa e fu di enorme portata perché gli ordini tradizionali si rifiutavano in un primo tempo di occuparsi delle comunità religiose di donne. Dalla pastorale femminile dei domenicani nacque, tra l’altro, quella che è detta la mistica tedesca.

Quanto alla costituzione e alla regola religiosa, Domenico batté contemporaneamente vie antiche e nuove. Ottenne il riconoscimento del proprio ordine a patto che adottasse una delle regole tradizionali (1216), per effetto della costituzione 13a del Concilio Lateranense IV(1); così scelse la regola agostiniana, facilmente adattabile, anche perché egli essendo stato canonico già la conosceva.
Nelle costituzioni adottò un sistema in parte monarchico, in parte federalistico, basandosi sulle esperienze dei cistercensi. L’elemento nuovo decisivo fu, come per gli altri mendicanti, che il singolo frate non doveva più promettere la stabilità in un singolo monastero, ma in una provincia dell’ordine. In questo modo entrava nella vita religiosa un elemento dinamico. La mobilità da un monastero all’altro, che dai tempi di Benedetto era vista piuttosto come un’eccezione quando non addirittura guardata con sospetto, divenne ora il principio dell’apostolato. Un Alberto Magno operò a Padova, Strasburgo, Colonia, Würzburg, Ratisbona, Parigi ecc. e un Tommaso d’Aquino fu a Napoli, Colonia, Parigi, Roma, Orvieto ecc.

Tra l’altro questa mobilità sovradiocesana fece dell’ordine uno strumento importante della curia.
Per questo motivo e per il fatto che Domenico lavorava dal 1203 nella missione degli eretici albigesi, i domenicani divennero i primi ausiliari nell’Inquisizione sovradiocesana allora in fase di organizzazione. A ciò si aggiunse anche il fatto che per lungo tempo essi rimasero solo alcune centinaia, avevano una mentalità più razionale ed acculturata del movimento francescano e proponevano una teologia tradizionalmente ortodossa, malgrado la recezione di Aristotele e i conseguenti decisivi cambiamenti in teologia.
Domenico (che è sepolto a Bologna) ebbe dei validi successori, sicché il suo ordine si vide risparmiare le gravi crisi e divisioni che afflissero invece la storia dei francescani.  Malgrado la mistica tedesca (Maestro Eckhart, 1260-1327), i domenicani furono meno esposti al contagio dei fanatici e dell’eresia di quanto lo furono invece i figli di san Francesco (gioacchimismo).

b) I  Francescani

L’opera di Francesco (Giovanni) di Bernardone (1181-1226) divenne, in misura ancora maggiore di quella di Domenico, un punto di riferimento per migliaia di uomini, che altrimenti sarebbero finiti almeno in parte tra i catari e i valdesi.
Come santo, egli divenne decisamente più popolare di Domenico; la sua personalità risultò più affascinante, la sua opera più problematica.
Egli è uno dei pochi cristiani che divennero patrimonio comune di tutta l’umanità al di la delle barriere religiose e confessionali.
Secondo Laurentius Casutt (OFMCap), sue caratteristiche furono «una naturalezza incantevole, una grande profondità di sentimenti, un amore tenero per tutte le creature, un animo sereno, un grande rispetto della personalità dei singoli, intraprendenza e ardimento, grande libertà nel dedicarsi a un’attività su scala mondiale o nell’appartarsi per condurre una vita eremitica, rifiuto consapevole di norme coartanti e una freschezza evangelica originaria»(2).
Il ricco figlio di una famiglia emergente aveva subìto, attraverso i genitori, l’influsso, della cultura francese meridionale dei trovatori, che, com’è noto, comparve e tramontò con gli albigesi. Inizialmente egli compose versi e cantò in provenzale. Ma poi fu il primo italiano a poetare nella lingua volgare. In un primo momento visse per gli ideali cavallereschi del suo tempo.
Il primo rinsavimento si verificò in seguito all’esperienza drammatica della guerra fra le città di Perugia e Assisi. Così l’allievo delle imprese belliche cavalleresche divenne uno dei massimi apostoli antesignani della non violenza.
Francesco intuì la vacuità degli ideali cavallereschi dell’onore e dell’azione eroica (J.  Huizinga), li sublimò e li sostituì con sostanziale carità evangelica. Così fu il primo, nel 1219, a tentare di intavolare un dialogo di pace con il sultano, nel corso di una crociata. L’impresa, certo, non gli riuscì nella sua portata definitiva, ma mediante il suo esempio i suoi frati si conquistarono la fiducia del mondo islamico, fiducia che perdura tutt’oggi.
Il lupo di Gubbio, che secondo la leggenda il santo ammansì, divenne il simbolo delle aggressioni superate, dei litigi, delle dispute, delle lotte partigiane e dell’irrequietezza sociale messe a tacere nelle città-Stato italiane. Tanto più grossolano fu il contrasto fra l’ideale e la realtà, se si pensa che i suoi frati, appena due anni dopo la sua morte, si lasciarono strumentalizzare a Gerusalemme in veste di agitatori curiali,  per esempio contro l’imperatore Federico II. Com’era possibile tenersi fuori dalle dispute partitiche?

Tra l’altro, indubbiamente anche a motivo della sua tragica rottura col padre carnale, Francesco vide con sospetto la figura patriarcale dell’abate. Nelle sue regole Cristo gioca perciò in veste di fratello un ruolo fino ad allora sconosciuto nella tradizione delle regole monastiche. Francesco vide di conseguenza con un certo sospetto anche norme e leggi, diversamente da Domenico, che possedette un rapporto indisturbato col diritto canonico.
Non fu una contraddizione il fatto che egli, d’altra parte, richiese continuamente e in maniera spiccata l’obbedienza ecclesiale: la figura del Cardinal Protettore. Francesco fu uno dei primi a formare in termini espressi nella regola l’obbedienza al papa. Egli pretese e praticò il rispetto e l'obbedienza di fronte a sacerdoti e vescovi. Non volle alcuna esenzione. I suoi frati non dovevano predicare senza il permesso del vescovo, come i valdesi.
Benché Francesco abbia lottato per tutta la vita contro una legalizzazione del suo ordine, consentì tuttavia all’assegnazione di un cardinal protettore, cui spettava porre i frati al servizio di «finalità ecclesiali» (A. Toynbee). Pur sapendo che fra Elia da Cortona voleva trasformare la sua fraternità in un ordine, gli affidò già durante la vita il governo della comunità. Ingiustamente si è interpretato questo fatto come una mancanza di conoscenza degli uomini. Francesco sapeva che senza forme istituzionali lo spirito si volatilizza facilmente.

L’amore cortese del trovatore Francesco fu per madonna povertà. Egli volle vivere letteralmente la vita apostolica «senza bastone, senza borsa, senza mantello» (Mt 10,7ss), povero, semplice e indifeso. Forse aveva sperimentato come gli uomini si lasciavano facilmente tentare dalla nuova economia e dal commercio mercantile tipico delle città italiane e altrove. Di sicuro il suo vigile intelletto aveva capito che, nell’epoca di un  Innocenzo III,  il “possesso” e il “dominio” potevano risvegliare gli appetiti ed erano in grado di offuscare il vangelo quasi quanto l’eresia.
Non abbiamo alcuna notizia che egli abbia imparato la sua povertà direttamente dai valdesi e dagli albigesi, sarebbe cosa assurda ammetterlo o anche semplicemente congetturarlo: il pauperismo cristiano è una realtà religiosa insita nella coltura e nella pietà basso medievale, quale effetto della riforma gregoriana. Certamente a livello esteriore i Frati Minori potevano essere scambiati con questi eretici. Ma i valdesi devono aver battuto in ritirata, quando da qualche parte comparivano questi frati.
Una cosa distinse il santo dal movimento pauperistico eterodosso del suo tempo: nella sua rinuncia enfatica a ogni avidità egli trovò una via di accesso perfettamente non manichea alle creature. Tutto il creato, il sole, la luna, la madre terra, l’acqua, il fuoco e l’aria divennero per lui doni preziosi e motivo per lodare e ringraziare. Contro il movimento pauperistico eretico (catari) non si sarebbe potuto comporre predica migliore del Cantico di frate Sole (K. Esser).

La nuova forma di vita degli ordini mendicanti divenne ora il modello per la ristrutturazione dei più diversi raggruppamenti religiosi, maschili e femminili, già esistenti. Anche per la curia essa divenne uno strumento per proteggere la multiforme vita religiosa dallo scivolare nell’eterodossia, per “regolarla” e quindi anche per darle un’organizzazione canonica. Ordini mendicanti si considerarono comunità ben diversamente motivate come quella dei Trinitari (approvati nel 1198 da Innocenzo III) e dei Mercedari (fondati nel 1220 da san Pietro Nolasco), che si erano proposti come fine concreto il riscatto degli schiavi cristiani.
Nel 1240 sette facoltosi fiorentini fondarono una comunità, che in seguito fu detta dei Serviti. Comunità eremitiche autoctone furono via via sottoposte, sotto la direzione della curia, alla regola di san Benedetto, alle costituzioni dei cistercensi o a quelle dei mendicanti (regola di s. Agostino). Nel corso di questo sviluppo, caratterizzato sia dalla sorprendente capacità di adattamento delle comunità religiose sia dalla versatilità della forma di vita dei mendicanti, si costituirono ancora altri due importanti ordini, che sono coi Domenicani e coi Francescani i quattro ordini mendicanti classici del medioevo, vale a dire i Carmelitani e gli Eremitani agostiniani.

c)   I Carmelitani

Se prescindiamo dalla motivazione centrale della vita contemplativa, i Carmelitani debbono la loro origine all’ideale ascetico già cristiano antico della peregrinatio, che poi nel periodo delle crociate, si concretizzò nella permanenza contemplativa nei luoghi sacri della Palestina.

Così Bertoldo di Calabria († 1195) radunò sul Monte Carmelo una colonia di eremiti, cui nel 1207 il patriarca di Gerusalemme diede una regola che nel 1226 fu conferma dal papa. Gli eremiti si consideravano i successori della scuola veterotestamentaria dei profeti, per cui, specie quando in seguito dovettero rivaleggiare con figure popolari di fondatori quali Domenico e Francesco, presero a connotare sempre più il loro fondatore con il profeta Elia. Il richiamo a Mosè e ai profeti e la corrispondente autocoscienza teologica non erano niente di nuovo nella tradizione monastica.
Quando gli Stati palestinesi fondati dai crociati tramontarono, i Carmelitani si ritirarono dapprima in Sicilia ed in Inghilterra e poi nella restante Europa occidentale.  San Simone Stock (1165-1265), asceta e predicatore popolare, trasformò l’ordine da puramente contemplativo a mendicante; poi seguì la svolta verso la pastorale popolare nelle città (per es. devozione dello scapolare) e fino all’impegno nella docenza universitaria.

Un singolare dosaggio di vita contemplativa e di spirito apostolico fu successivamente introdotto nell’ordine ad opera dei riformatori spagnoli Teresa d’Avila (1515-82) e Giovanni della Croce (1542-91). I Carmelitani divennero cofondatori (assieme ai Cappuccini) della Congregazione di Proganda Fide (1622) e quindi di una missione mondiale sotto la guida del papa.

d) Gli Eremitani agostiniani

Anche tra gli Eremitani agostiniani mancò la grande figura del fondatore. Essi derivano il loro nome dal fatto che il card. Riccardo Annibaldi († 1276) e papa Alessandro IV (1254-61) raggrupparono d’autorità, mediante la bolla Licet ecclesiae catholicae (1256), gruppi già esistenti di  eremiti in un ordine con costituzioni sul tipo di quelle dei mendicanti e nell’ambito della tradizione agostiniana. Se nel periodo della riforma dei secoli XI e XII erano sorte imponenti comunità di canonici, soprattutto sotto l’influsso di vescovi, curiali e papi, favorevoli alla riforma, per conferire mediante il richiamo all’autorità di sant’Agostino un valido sostegno alla nuova riforma del sacerdozio, così si formarono ora in tutte le maggiori città, da Padova ad Erfurt e da Vienna a Oxford, centri vivi di dotti frati dediti alla cura d’anime.

e)  Sviluppi tardomedievali

Il tardo medioevo procurò agli ordini religiosi da un lato gravi perdite con la peste (1348), le guerre (soprattutto quella dei Cent’anni) e lo scisma (1378-1415) e portò con sé fenomeni di dissoluzione e di crisi; d’altro lato soprattutto gli ordini mendicanti erano divenuti ormai già da lungo tempo un fenomeno ecclesiale quotidiano.
Tra i mendicanti, specie tra i Francescani, ci furono forti spinte alla divisione interna. Alcuni conventi si unirono tra di loro e costituirono la compagine degli Frati Minori Osservanti, mantenendo solo più una unità giuridica e formale coi decadenti Frati Minori Conventuali.
Grandi figure di riformatori come Giovanni da Capestrano (1386-1456), predicatore contro gli hussiti e contro i turchi, il domenicano Girolamo Savonarola (1452-98) e poi frate Martin Lutero erano membri di tali rami osservanti. Infine alla vigilia della riforma protestante ogni città, che ci tenesse un poco a se stessa, ospitava più conventi degli ordini mendicanti (a Verona, per esempio, c’erano un po’ tutti) (3). La pastorale cittadina fu svolta sostanzialmente da questi Ordini fin nel tardo medioevo inoltrato (da ciò deriva la necessità di avere grandi chiese atte alla predicazione). Solo verso la fine del secolo XIV si scatenò, con Wyclif e Hus, un’opposizione al loro monopolio pastorale.

f) Associazioni monastiche

Tra monaci e canonici si manifesta nel tardo medioevo il desiderio di fondersi in associazioni o congregazioni monastiche e conventuali (riforma benedettina di Subiaco [= sublacensi], di Santa Giustina di Padova, riforma degli agostiniani di Windesheim [Paesi Bassi], riforma benedettina di Bursfelde, quella di Kastl [Germania] e quella di Melk [Austria]).
In molti di questi centri di riforma si fece sentire anche l’influsso della devotio moderna della Germania settentrionale, anzi addirittura quello del movimento di risveglio della mistica tedesca e degli amici di Dio.
Uno sviluppo paragonabile a quello dei movimenti dell’osservanza degli ordini mendicanti si ebbe tra gli ordini monastici e canonicali solo nell’evo moderno (per es. tra i Cistercensi con i Trappisti nel secolo XVII; i Camaldolesi nel XVI secolo con la riforma del b. Paolo Giustiniani [† 1528]). Questi monasteri e capitoli erano troppo legati alla terra e autoctoni per prestarsi a sviluppi radicali. Ciò vale anche per i Certosini, che nel tardo medioevo fondarono centri di contemplazione, di penitenza e di insegnamento entro il perimetro di città intrise di cultura come Roma, Londra, Parigi, Colonia, Norimberga, Basilea, Strasburgo ecc. Soprattutto mediante l’opera dei mendicanti fu creato a partire dal secolo XIII un nuovo ideale di sacerdote popolare, ideale che, più tardi, da un lato fu assunto nelle Chiese della riforma protestante e dall’altro trovò la sua realizzazione negli ordini religiosi della riforma cattolica del secolo XVI.


NOTE


1)  Concilio Lateranense IV (1215), in COD, 242: «Perché l’eccessiva varietà degli ordini religiosi non sia causa di grave confusione nella chiesa di Dio, proibiamo rigorosamente che in futuro si fondino nuovi ordini. Chi volesse abbracciare una forma religiosa di vita, scelga una di quelle già approvate. Ugualmente chi volesse fondare una nuova casa religiosa assuma la regola e gli ordinamenti degli ordini religiosi già approvati».

2)  L. CASUTT, L’eredità di s. Francesco, Roma 1952.

3) I Conventuali a S. Fermo Maggiore; gli Osservanti a S. Bernardino; i Serviti a S. Maria della Scala; gli Agostiniani a S. Eufemia; i Minimi a S. Francesco (di Paola); i Domenicani a S. Anastasia; gli Olivetani a S. Maria in Organo; i Canonici di S. Giorgio in Alga a S. Giorgio in Braida e gli immancabili benedettini a S. Zeno.

Fonte: Appunti.  Biennio filosofico.  Anno Accademico 2010-2011



Nessun commento: