giovedì 9 giugno 2011

STORIA DELLA CHIESA MEDIEVALE. ( Cap.I.D): PAPATO E MISSIONE NELL'OTTICA DEL PELLEGRINAGGIO: UN’ ALTRO ASPETTO DELLA ECCLESIA UNIVERSALIS


Statua di san Pietro,  santuario di Lourdes



Un'altro modo per individuare i tratti della formazione della ecclesiologia alto-medievale, centrata sulla figura di Pietro e della sua dimensione di universalità, dalla quale derivano le espressioni di cathedra Petri e Sedes Apostolica, di Eccelsia sancti Petri e del papa come vicarius beati Petri e Servus Sancti Petri, potrebbe essere quello di un'analisi dei testi con cui si promosse l'azione missionaria in riferimento a Roma. Più che da espressioni nate in ambiente colto, curiale o papale, come potevano essere quelle di Innocenzo I a Decenzio di Gubbio, sulla istituzione petrina delle chiese d'Occidente o i vari ricorsi all'applicazione del canone di Calcedonia, che riservava a Roma la consacrazione dei vescovi qui in barbaris sunt, il legame delle chiese europee con Roma va cercato a livello popolare, delle agiografie o del culto alle reliquie.

Le reliquie

Partendo dall'Irlanda, primogenita della chiesa occidentale, si nota come le leggende su S. Patrizio, nate nel VII secolo, abbiano attribuito a papa Celestino sia la missione di Palladio sia quella dello stesso Patrizio, geniale creatore delle chiesa d'Irlanda. Patrizio stesso avrebbe diffuso l'amore per le reliquie romane, specie quelle di Pietro e Paolo, facendole collocare sotto la cattedrale di Armagh, centro delle chiesa d'Irlanda.
Il canone che stabilisce l'appello a Roma, quale suprema istanza per cause che non era stato possibile dirimere dalle sede Irlandese - ascrivibile forse allo stesso Patrizio - ci offre un anello di congiunzione con l'opera di S. Colombano, a cui si deve la formulazione della espressione Cathedra Petri, punto centrale della ecclesiologia Irlandese.

Per questo primo stadio dello sviluppo del legame con Roma, le reliquie conservano il posto più importante: Gregorio di Tours abbonda in testimonianze riguardanti la caccia alle reliquie romane presso i Gallo-romani, che dedicavano molte chiese cattedrali e monasteri a S. Pietro. Con la venuta a Roma del re dei Burgundi, intenzionato a sigillare con un pellegrinaggio ad limina apostolorum la sua conversione, al culto delle reliquie si affianca anche la prassi della visita a Roma e al papa, mediatore di s. Pietro, inteso quest'ultimo come elemento in grado di nutrire l'idea di univesalità, del munus pastorale e missionario dell'universalis eccelsiae praesul.

L'esempio missionario dei vicini Burgundi preparò sicuramente anche la chiesa delle Gallie ad accogliere benevolmente le richieste di aiuto inviate da Gregorio Magno, che invitava a soccorrere, nella misura dell'amor sancti Petri, la missione inglese di Agostino. E al re inglese Etelberto, lo stesso Gregorio, sempre sulla linea della politica delle reliquie - Gregorio amava mandare reliquie delle catene di s. Pietro, oppure oggetti preziosi che erano stati posti sul suo sepolcro e si erano impregnati della sua benedizione -, inviò alcuni doni impreziositi da un certo valore taumaturgico, perché ex beati Petri apostoli benedictione suscepta.
Il gesto di inviare reliquie ai neo-convertiti, come ringraziamento per aver aperto il cuore alla Grazia di Dio, come testimonia Beda il Venerabile, diventerà gesto usuale dei papi, soprattutto nei confronti dei sovrani inglesi - Bonifacio V lo ripeterà per Edwin e Etelberga. Anche l'agiografia interviene a fondare gli interventi pontifici presso i sovrani e non solo.

Riguardo alla gestione delle gerarchia locale è significativo un topos raccolto da Beda, in cui si narra dell'apparizione di S. Pietro a Lorenzo, successore di Agostino, scoraggiato nell'evangelizzazione, perché osteggiato dal re Eobald, ancora pagano. Se S. Pietro aveva incoraggiato l'evangelizzazione, tanto più era necessario accettare gli interventi del suo Vicario, una volta ottenuta la conversione e approntata l'organizzazione della gerarchia locale, nei suoi elementi a livello di struttura plebana, diocesana e metropolitana.

Il pellegrinaggio

Con s. Colombano lo sviluppo ecclesiologico dell'universalità di Roma viene portato avanti per l'inserimento di un'altra pratica tipicamente medievale: il pellegrinaggio. Sintesi di tradizione occidentale e orientale, questo stile di itineranza viene considerata come ideale superiore di vita ascetica, rispetto alla stessa permanenza in monastero: il monaco compie nel pellegrinaggio lo scopo stesso della vita monastica, l'esodo verso la Gerusalemme celeste, cioè Roma.

Prendendo il via da una idea biblica di peregrinatio - Abramo - esso non si discosta totalmente dalla pratica del culto delle reliquie degli apostoli: lo scopo della visita ad limina diventava la preghiera e se possibile l'acquisto di reliquie da portare in patria. Oltre a questo la peregrinatio propter evangelium aveva lo scopo di testimonianza di una autentica adesione a Cristo e agli apostoli. Prevale dunque il significato religioso del gesto, che fonda così una pratica duratura di pellegrini che si spostano evangelizzando. Non sarebbe però completa l'idea di evangelizzazione pellegrinante di Colombano se non si accennasse al soggetto reale della evangelizzazione: gli apostoli Pietro e Paolo.

Nelle lettera inviata alla regina Teodolinda e al re Agilulfo, Colombano scrive che la sua fede, come quella della chiesa Irlandese, dalla quale proviene, dipendeva dalla missione di Pietro e Paolo, dei quali lui stesso continuava a sentirsi discepolo. Roma dunque, custodendo nelle reliquie la vita dei due evangelizzatori e avendo nella Cathedra Petri l'organo permanente dell'autorità di Pietro, diventava centro propulsore della dinamica missionaria.

Ma ancor più che la chiesa Irlandese, come si è già avuto occasione di notare precedentemente, fu quella Inglese a rivendicare il patronato di s. Pietro, appoggiando il suo diritto sui numerosi pellegrinaggi ad limina compiuti dai suoi membri, vescovi e monaci, e sui ripetuti invii di reliquie da parte dei papi. A Whitby, facendo derivare le loro osservanze da s. Pietro, gli Inglesi si proclamarono vincitori sugli Irlandesi e sul loro patrono s. Columba. Mossi dalle sollecitazioni contenute nella tradizione del pellegrinaggio al Limina Apostolorum monaci inglesi - come testimonia Beda - lasciano il monastero per compiere l'opus Apostolorum tra i Germani- Frisoni, da cui sapevano essere venuti nel tempo delle grandi migrazioni.

La missione evangelizzatrice sembra assumere in loro maggiore importanza che nel passato, in cui era solo una componente del pellegrinaggio, diventando addirittura sostitutiva di quest'ultimo. Così Vilfrido, vescovo di York, ma anche e soprattutto monaco, va a Roma per visitare le tombe degli apostoli, facendo tappa in Frisia, per una breve esperienza evangelizzatrice. Ma il programma di una missione permanente il cui mandante fosse l'autorità romana fu proprio dell'azione di Willibrordo.  Al di là dell'appoggio garantito da Pipino egli va a Roma a chiedere reliquie per la chiesa che intendeva costruire nella nuova missione, nel luogo degli idoli da distruggere. Consacrato vescovo da Sergio I, gli fu anche cambiato il nome in Clemente.

Di spiritualità profondamente pietrina fu il suo collaboratore s. Bonifacio, che diede alla missione una connotazione dichiaratamente romana, scandendola sul ritmo di ben tre pellegrinaggi ad limina Apostolorum, il cui scopo era decisamente di natura religiosa. La sua spiritualità del pellegrinaggio era infatti quella del monachesimo inglese, che egli descrisse con ricchezza di particolari nelle sue lettere a Bugga: un incitamento a venire a Roma, per acquistare la libertà della contemplazione attinta alle fonti della spiritualità monastica, il cui scrigno sarebbero stati i Limina Apostolorum, ossia la coelestis Jerusalem.

Dopo la prima esperienza infruttuosa del 718, egli si reca a Roma seguendo tutti i canoni dell'itinerario e delle forme consuete ai pellegrini anglosassoni: sosta nella Città per lungo tempo, non solo per prendere accordi con il papa e per pregare sulle tombe dei martiri, ma per attingere dai contenuti del pellegrinaggio l'amor preregrinazionis da cui prendere vigore per la propria evangelizzazione. Frutto del pellegrinaggio diventa l'invio del papa Gregorio II, che a nome di s. Pietro lo manda ad evangelizzare i Frisoni con il titolo, ufficilizzato poi da Carlomanno, di missus sancti Petri.

Tornato in Germania egli dedica a s. Pietro la cappella costruita dopo la distruzione della quercia sacra al dio Donar, deponendovi anche delle reliquie degli apostoli.

Il titolo di legato, attribuito non tanto ad una sede episcopale - come era ad esempio quello attribuito a Tessalonica fin dal V secolo -, ma ad un vescovo missionario, sigilla in termini ufficiali quel legame tra Roma e le chiese che, tramite la missione svolta sotto l'egida di Pietro - mediante il suo vicario, secondo il termine usato dallo stesso Bonifacio - diffondeva la fede. Il risultato finale della preregrinatio propter evengelium ad limina apostolorum era dunque la eccelesia universalis dell'altomedioevo, di cui si vedremo in seguito gli sviluppi.


Fonte:  Appunti.  Biennio filosofico.  Anno Accademico 2010-2011


Nessun commento: