martedì 16 agosto 2011

Conflitti: WikiLeaks e i morti in Iraq

(AP Photo / Alaa al Marrjani)

 I documenti rivelati da WikiLeaks non hanno fatto solo la gioia di giornalisti e commentatori politici, o  la costernazione di governanti e diplomatici.
Hanno anche suscitato l'interesse degli scienziati, in particolare di quei ricercatori che si occupano di stabilire le conseguenze sulla popolazione civile della guerra in Iraq. La scorsa estate, prima di rilasciare le comunicazioni delle ambasciate

Usa di cui si sono occupate di recente le cronache, WikiLeaks ha infatti inviato un gruppo di documenti chiamati SigActs (da Significant Activities), che  riportano le vittime registrate dai soldati americani in Iraq, a Iraq Body Count (Ibc) , un'organizzazione con sede a Londra che registra i morti civili in Iraq facendo uso dei resoconti della stampa.
Questi ultimi non riportano tutte le morti violente, e così fino a ieri i conteggi di Ibc risultavano approssimati per difetto, senza possibilità di sapere quanto fosse ampia. r approssimazione.

Analizzando i dati SigActs, Ibc ha concluso che,  tra il gennaio 2004 e il dicembre 2009 l'esercito americano ha registrato 109.000 morti, di cui 79.000  erano civili;  nello stesso periodo Ibc aveva invece riportato 91.000 morti.
Con un'estrapolazione compiuta a partire da un campione, Ibc calcola che i soldati Usa hanno mancato di registrare 27.000 morti, e ne hanno invece riportato 15.000 ignote alla stampa.
Come si poteva immaginare, i media hanno ignorato soprattutto gli incidenti con poche vittime (fra una e tre); l'ampia sovrapposizione esistente fra i due insiemi di dati fa comunque pensare che sia   improbabile che ci siano stati molti decessi non riportati da nessuna delle due fonti.
Ibc calcola adesso che la guerra abbia fatto 150.000 morti violente, di cui 1'80% (cioè 120.000) civili. Questa stima ricade nel margine di variazione di quella proposta dall'Organizzazione Mondiale della Sanità, e sembra invece confutare quella molto più ampia di 600.000 morti proposta nel 2006 da uno studio pubblicato sulla rivista Lancet.

Fonte: Pubblicato da DARWIN, N° 41, gennaio-febbraio 2011

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