domenica 11 settembre 2011

CANCELLARE I RICORDI DOLOROSI: L'ULTIMO TRADIMENTO DI UNA SCIENZA SENZA COSCIENZA


Sembra quasi che gli esseri umani dimentichino sempre più fretta, che si sbarazzino del proprio passato con una impazienza quasi mista a vergogna nei confronti di esso; e che affrontino il domani con lo stesso atteggiamento di superficialità e improvvisazione, di scarsa responsabilità e coerenza.

Peggio ancora, si direbbe che, così facendo, essi si tendano a considerarsi "liberi" e autentici: liberi dalle catene del passato e dai timori del futuro, e autentici perché nell' “hinc et nunc”, nella grossolana filosofia materialista del "qui e ora" (cattiva versione modernista del "carpe diem" di epicurea memoria) ritengono di essersi emancipati dal pesante fardello che l'ieri e il domani tenderebbero ad imporre loro.

Avevamo sostenuto, però, che si tratta in realtà di una illusione, e di una funesta illusione.  Infatti, sbarazzarsi del passato non soltanto è una forma di autentica barbarie, nel senso di oblio delle radici e quindi dell'autenticità; ma è anche una rescissione del nostro autentico essere, che è tutto il nostro essere e non solo una parte di esso, quella che di volta in volta ci piace o ci fa più comodo.

Noi siamo quello che siamo, perché siamo stati quello che siamo stati; e saremo quello che saremo, perché siamo e siamo stati quello che ora siamo e che ieri siamo stati.
Certo, noi possiamo anche rinnegare il nostro passato, disconoscere la temporalità come storia per ridurla a mera successione di enti ed eventi omologabili e sostituibili; ma una tale infedeltà verso la rete temporale in cui siamo avvolti non ci garantisce affatto un maggior grado di libertà, ma, al contrario, un maggior grado di inautenticità e quindi di non-essere.

Tutte queste riflessioni ci sono tornate in mente leggendo un breve articolo della rivista di psicologia "Mente & Cervello" (sì, avete letto bene: con la & commerciale), tipico esempio di quella visione riduzionista, materialista e meccanicista che oggi va tanto di moda nell'ambito della divulgazione scientifica o, per meglio dire, scientista; di quel pensiero unico tronfio e compiaciuto che, come direbbe il filosofo Gabriel Marcerl, nel mondo non conosce misteri ma soltanto problemi, ossia interrogativi che ci sollecitano dall'esterno, senza coinvolgere la totalità del nostro essere e senza farci aprire alla dimensione misteriosa del trascendente.

Come già abbiamo avuto modo di sostenere,  la persona è un mistero perché la sua essenza è l'Essere; noi crediamo di conoscere le cose solo per il fatto che sappiamo dare ad esse un nome, le cataloghiamo, le descriviamo; tutto il sapere scientifico moderno non è che catalogazione e descrizione di fenomeni.

Questo vuol dire conoscere solo la superficie delle cose: il fenomeno, appunto (per dirla con Kant), non certo il noumeno.

Le cose in sé, la loro essenza profonda, ci rimangono nascoste; peggio, non sospettiamo neppure che esistano: perché per noi, figli di questo rozzo e presuntuoso materialismo scientista, la superficie delle cose e le cose stesse sono un'unica realtà, sono sinonimi.

L'articolo della rivista "Mente & cervello", firmato con la sigla df, s'intitola “Cancellare i ricordi dolorosi”, mentre il sottotitolo recita che “Liberarsi dai ricordi negativi potrebbe essere una capacità inesplorata del nostro cervello”.

Si vede che l'Autore dà per scontato che “doloroso” e “negativo” sono perfettamente sinonimi, il che è tutto da dimostrare; comunque vale la pena di riportare integralmente l'articolo in questione, perché illustra a meraviglia - si fa per dire - quell'atteggiamento di spregiudicato pragmatismo edonistico, camuffato da concentrato di buoni sentimenti (lotta contro la sofferenza, miglioramento della qualità della vita, ecc.) che ai signori del pensiero unico scientista sembra il non plus ultra della modernità, intesa come ineffabile alleanza di efficienza manageriale e di filantropia spicciola.
«Un brutto ricordo o una delusione possono essere dimenticati a comando, se davvero lo desideriamo. Lo sostiene una ricerca pubblicata su "Science" che, con la risonanza magnetica, avrebbe individuato alcune aree del cervello coinvolte nella rimozione dei ricordi. Una scoperta che sembra porre fine a un dibattito durato più di un secolo. Fu il padre della psicanalisi Sigmund Freud, infatti, a suggerire per primo che la nostra mente possa volutamente sopprimere i ricordi negativi. Ma l'ipotesi è rimasta fino a oggi altamente controversa.

Brendan Eliot Depute e colleghi, dell'università del Colorado a Boulder, hanno mostrato a 16 volontari 40 fotografie di volti umani, associando ciascuna a un'immagine dal forte impatto emotivo, come un incidente stradale o un soldato ferito. Poi hanno mostrato loro solo le foto dei volti, chiedendo di richiamare solo l'immagine negativa associata, oppure di non farlo. Frattanto monitoravano la loro attività cerebrale. Quando cercavano di ricordare, i soggetti hanno richiamato correttamente circa il 71% delle immagini. Quando cercavano di dimenticare, invece, l'associazione affiorava solo nel 53% dei casi.

Una differenza piccola, ma significativa, che sembra riflettersi nella diversa attività cerebrale. Chi si sforzava di non pensare all'associazione, infatti, mostrava maggiore attività in alcune aree della corteccia prefrontale destra, che controlla il pensiero e il comportamento. E mostrava minore attività in alcune aree della corteccia visiva, dell'ippocampo e nell'amigdala, coinvolti nella registrazione delle esperienze e delle emozioni. Questo dimostra, secondo gli autori, che è possibile sopprimere attivamente un ricordo. Perché in tal caso la corteccia prefrontale “spegne” i circuiti contenenti informazioni sensoriali ed emotive legate alle memorie indesiderate.»

Ancora manipolazione a 360°, dunque (sta diventando un'ossessione, come nella biologia e nella genetica); ancora tecniche invasive, basate sull'idea di un corpo e di una mente che possono essere trattati come parti smontabili di un meccanismo.

E in nome di che cosa?

La parola chiave viene fuori proprio all'ultima frase, all'ultima riga, all'ultima parola, appunto: “indesiderate”: si tratta di spegnere i circuiti neuronali che portano al cervello il ricordo indesiderato di eventi dolorosi. Doloroso uguale negativo, uguale indesiderato: un tratto di penna et voilà, il gioco di prestigio è fatto: niente più ricordo indesiderato, niente più emozioni negative, niente più realtà indesiderate.
Semplice, no? Come bere un bicchier d'acqua.
Ancora una volta dovremmo dire “grazie” a questa scienza senza coscienza, che ci spiana la strada liberandoci da tanti fastidi che appesantiscono la nostra vita, già tanto affaticata dalla necessità di tenere il ritmo in questa società selvaggiamente competitiva, dove perfino lo svago e il riposo diventano sovraccarico di ulteriore tensione.

I nostri rozzi progenitori bruciavano gli stregoni come in una sorta di rito di purificazione collettivo; ora i nostri sofisticati scienziati “bruciano” i circuiti sgraditi della corteccia pre-frontale; ed ecco, la purificazione è ottenuta all'istante e, quel che più conta, in modo perfettamente indolore.

È davvero una cosa piacevole vivere nel confortevole terzo millennio, circondati da amorevoli scienziati che si prendono cura con tanta sollecitudine del nostro benessere!

Ce ne sentiamo consolati e confortati oltre ogni dire; anche perché il vecchio Dio ci confortava poco e male, come un prestigiatore inesperto, mentre i moderni psichiatri (e biologi, chimici, ecc.), loro sì che sono veramente efficienti, e mantengono le loro promesse di liberarci dagli affanni e dal dolore!

Ahimé, forse le cose non sono così semplici e forse non è tutto oro quello che luccica.
Innanzitutto, se è vero che noi siamo quello che siamo grazie alla continuità della nostra coscienza, sopprimere a piacere i ricordi che non ci garbano equivale a un autentico tradimento nei confronti di noi stessi, ossia dell'Essere di cui siamo partecipi.

Potremmo paragonare una tale operazione alle falsificazioni della chirurgia estetica, in cui i corpi vengono ricostruiti artificialmente, eliminando tutto ciò che non piace e modellando o creando tutto ciò che si vorrebbe possedere, ma che la natura non ci ha dato.

Al contrario, sono proprio le esperienze dolorose quelle che maggiormente ci permettono di crescere spiritualmente, certo molto più di quelle gratificanti: questa è una semplice verità che i nostri nonni ben conoscevano, anche se avevano frequentato la scuola (al massimo) fino alla quinta elementare.

Il dolore è formativo, così come lo sono la rinuncia volontaria, il sacrificio, l'attesa e, in generale, il senso del dovere contrapposto a una aspettativa frenetica e smodata.

In secondo luogo, la rimozione dei ricordi dolorosi, quand'anche fosse possibile (e può darsi che, tecnicamente, lo sia), costituirebbe un grosso errore anche dal punto di vista di questi signori del pragmatismo, dell'efficientismo e dell'edonismo indiscriminati.

Come tutti sanno, la sensibilità al dolore fisico è quello che ci salva, nella nostra vita quotidiana, da situazioni che metterebbero a rischio la nostra incolumità: se le nostre terminazioni nervose non portassero al cervello la sensazione della scottatura, noi prenderemmo in mano la pentola bollente e, magari, ce ne rovesceremmo addosso il contenuto, senza darci pensiero delle conseguenze di simili atti.

Ebbene, per il dolore psicologico è esattamente la stessa cosa.

Se potessimo azzerare i ricordi dolorosi, noi ripeteremmo sempre gli stessi errori e non impareremmo mai nulla; anzi ci esporremmo continuamente a nuove sofferenze, in un circolo vizioso da cui verrebbe esclusa ogni prospettiva di crescita e di redenzione.

Nietzsche, con la sua dottrina dell'eterno ritorno dell'uguale, si spingeva fino a ipotizzare una redenzione del passato, come nel nostro precedente articolo.

Noi non arriviamo a tanto e ci basta pensare alla necessità, per l'essere umano, di una redenzione dal passato; ma nessuna redenzione sarà mai possibile - lo ripetiamo - se non facendo i conti, onestamente e virilmente, con la totalità di esso, anche e soprattutto con la sua parte dolorosa.

Ecco dunque la Nemesi cui perviene questa scienza senza coscienza, ecco gli esiti cui giungono quanti si affidano ad essa cercandovi solo un preteso "benessere" di tipo edonistico, ma tradendo le istanze profonde che fanno dell'essere umano una persona. Là dove si credeva e si sperava di trovare la liberazione dal dolore, si cade invece in una spirale insensata di reiterazione del dolore: insensata perché, sopprimendo il "campanello d'allarme" del ricordo doloroso, ci espone a rivivere, sulla nostra pelle, dieci cento mille volte, la stessa sofferenza. Sofferenza che, di per sé, è un'esperienza negativa solo se da essa non siamo in grado di imparare nulla, di elaborare nulla per il nostro progetto di evoluzione spirituale.

Possibile che i ricercatori dell'Università del Colorado, profumatamente pagati per i loro sofisticati esperimenti, e gli improvvidi cantori nostrani delle magnifiche sorti e progressive, non ci abbiano fatto nemmeno un pensierino?

Fonte: srs di  di Francesco Lamendola; per Edicolaweb


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