venerdì 28 ottobre 2011

CESARE BATTISTI - L’ULTIMO CAFFÈ A GIAZZA, VERITÀ E LEGGENDA SI UNISCONO IN UN RACCONTO D’ALTRI TEMPI.

Verona, Palazzi Scaligeri:  Monumento a Cesare Battisti


CESARE BATTISTI, IRREDENTISTA E MARTIRE DELLA PATRIA, IN UN EPISODIO DEL PAESE CIMBRO DELLA LESSINIA. VERITÀ E LEGGENDA SI UNISCONO IN UN RACCONTO D’ALTRI TEMPI.

QUELLA CALDA SERA DEL UGLIO 1916
Agli occhi di Elena dovette presentarsi così, con i suoi capelli arruffati e quel pizzetto da moschettiere che bene si addice a un tenente dell’esercito. Forse Elena, con il suo sguardo di bambina, ancora inconsapevole e ingenuo, ne rimase affascinata e un po’ intimorita. Cesare Battisti era lì, davanti a lei, con un aspetto stanco e provato, a chiedere un pasto caldo e un luogo sicuro in cui trascorrere la notte insieme alla sua scorta.
I gestori Stefano e Rosa Nordera lo avrebbero accolto nella propria locanda, lungo il torrente che scendendo dalla Valle di Revolto attraversa il piccolo paese di Giazza. Sarà stata una tipica sera di luglio quando Battisti dopo l’operazione fallita sul monte Corno contro gli Austriaci bevve il suo caffè, forse l’ultimo. Il giorno dopo sarebbe ripartito, risalendo le valli che, senza saperlo, lo avrebbero portato a incontrare un destino spietato. Il destino di chi lotta per un’ideale, con audacia e convinzione, fino alla morte.

“Ho vissuto abbastanza e ho ottenuto abbastanza perché possa dire che la mia vita è stata spesa bene. Con i miei quarantadue anni ho raggiunto quello che molti uomini non raggiungono con la lunga vita. “
Queste le parole di un uomo imprigionato nella città che gli aveva dato i natali, Trento. Queste le parole di chi è consapevole della propria fine. Solo due giorni dopo l’arresto, alle 16.30 del 12 luglio del 1916 fu resa pubblica la sentenza: l’Austria condannava alla forca il tenente degli Alpini del Battaglione Vicenza, con l’accusa di alto tradimento.

UN EROE INCOMPRESO
Il Battisti insieme socialista, irredentista e nazionalista, da molti contemporanei etichettato come uomo “senza patria”, in realtà si sentiva esule dalla patria a cui ambiva: l’Italia. Battisti lottava per la liberazione del cosiddetto Welschtirol (Tirolo italiano), gridando Austria delenda.
«Ogni aspirazione all’autonomia di una minoranza nazionale di uno Stato di altra nazionalità rappresenta un irredentismo in nuce» (Claus Gatterer).
L’irredentismo era un prodotto della rivoluzione francese e del Risorgimento italiano, e proprio l’ideale nazionale che ardeva nel cuore del martire trentino conservava ancora lo spirito risorgimentale, forse l’ultima avvisaglia di un ideale che ormai si era trasformato nei cinquant’anni che separarono l’Unità dalla Grande Guerra.
Già agli inizi del Novecento il mito nazionale aveva seguito traiettorie lontane dalla tradizione risorgimentale, che portarono alla formazione di movimenti nazionalisti dichiaratamente antidemocratici, che accettarono del Risorgimento soltanto la nascita dello Stato unitario.

Al binomio unità e libertà si cominciò a sostituire quello di unità e potenza, che avrebbe raggiunto la sua massima espressione con il Fascismo. E proprio la guerra del ‘15-’18 avrebbe costituito il ponte tra il vecchio e il nuovo nazionalismo.  Nelle trincee si sarebbero intrecciate le diverse sfaccettature dell’ideale nazionale italiano, per la prima volta vissuto collettivamente.
A un Cesare Battisti pervaso dall’ideale di libertà e di convivenza tra nazioni diverse si affiancava un Alfredo Rocco, conservatore e futuro autore del codice fascista.
Ma proprio nelle trincee ai sentimenti più disparati, quasi schizofrenici, si sovrapposero soprattutto quelli di chi partecipò alla guerra senza capirla: alla rassegnazione e alla preoccupazione si accompagnava un forte sentimento di dovere patriottico, verso la terra natia. Nelle lettere dei soldati si parla di grande famiglia d’Italia, della Madre Patria come madre biologica. Ma anche i più convinti combattenti dovettero vacillare di fronte agli orrori della guerra.

Così Giorgio Lo Cascio ammise: “italianamente e militarmente la guerra mi piace ma come uomo mi fa orrore, e come lui Giacomo Morpurgo: certo quando la gridavamo, quando la chiedevamo eccitati, esultati, frementi, non si pensava precisamente agli aspetti giornalieri della guerra: ne vedevamo la gloria luminosa, ma non la paziente opera quotidiana.”
Alla fine di questa tragedia fu l’immagine dell’Italia potente propugnata dai nazional-socialisti a uscirne vincente. Essi si appropriarono dell’ideale di nazione e con esso dell’immagine di Battisti, che sarebbe divenuto da lì a poco icona fascista, per essere poi dimenticato.

GIAZZA, TERRA DI CONFINE
L’assurdità della guerra e la fragilità dei sentimenti nazionali che, non essendo dati naturali e spontanei ma indotti da una pedagogia patriottica, spesso sono travisati, si palesano proprio in quella terra di confine quale è stata a lungo Giazza. Qui una gente né italiana né austriaca fu costretta a combattere per una nazione che l’aveva ospitata per secoli, ma contro un’altra per la quale il sentimento non era affatto di ostilità. Paradossi.
Come ha riportato Antonia Stringher, durante la Grande Guerra, cimbri e austriaci, abituati ai rapporti di buon vicinato, «alla sera, terminate le azioni belliche della giornata, al di là dei reticoli che li dividevano, si parlavano e fumavano in compagnia un toscano come normali amici». E fu proprio Giazza a ospitare l’italiano senza patria. Eppure di questo episodio nessuno ne ha mai parlato.
Diceva Voltaire “che la storia è il racconto di fatti ritenuti veri, al contrario della favola, che è invece il racconto di fatti ritenuti falsi”.
Se allora le favole edificano l’uomo e la memoria alimenta le favole e crea identità, quella di Battisti a Giazza è solo storia inventata oppure storia dimenticata?

CURIOSITÀ
Oggi la locanda della famiglia Nordera si chiama Pizzeria Cimbra e due anni dopo l’apertura, nel 1989, il proprietario Rino Lucchi ricevette una visita curiosa: si presentarono due donne, tra cui Elena, che gli raccontarono l’episodio di Cesare Battisti a Giazza. Sembra che Elena al tempo conservasse ancora la tazzina da cui l’eroe trentino bevve il caffè.

Cesare Battisti, classe 1870, è stato un personaggio molto controverso. Allo scoppio della Grande Guerra scese nelle piazze italiane incitando all’intervento a fianco dell’Intesa. Nel 1915 si arruolò nell’esercito nazionale, prima come semplice alpino, poi ottenendo gradi maggiori, fino a quello di tenente. Durante la Strafexpedition (dal 14 maggio 1916), Battisti difese eroicamente il Passo Buole (Le Termopili d’Italia). Fu poi sul Pasubio e sul monte Corno (oggi Corno Battisti) a fianco dei suoi soldati. Il 10 luglio fu arrestato e trasferito a Trento, dove ricevette la sentenza finale da parte degli Austriaci.
Il suo martirio è documentato fotograficamente:  

Fonte: srs di Giovanna Tondini; da Pantheon di ottobre 2011

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