venerdì 6 gennaio 2012

FRATEL VITTORINO FACCIA: PROFETA DELLA SPERANZA SULLE ORME DI DON CALABRIA

Fratel Vittorino Faccia  (val di sole,  febbraio 1980)

FRATEL VITTORINO FACCIA: PROFETA DELLA SPERANZA SULLE ORME DI DON CALABRIA

Mons.Fausto Rossi

PREFAZIONE
Eravamo nella cappella dell'antica chiesa di San Giacomo con i sacerdoti del Vicariato di San Bonifacio per un ritiro spirituale.
Mangiavamo con i religiosi dell'Opera di Don Calabria. Per caso mi trovai seduto a pranzo vicino a fratel Vittorino.
Mi spiego che non era un sacerdote, ma un fratello laico, che aveva fatto solo la terza elementare, ma che era diventato il figlio prediletto di don Calabria ...
Poi continuo la sua presentazione raccontandomi che ora viveva nella casetta vicino alla portineria, all'inizio della salita che conduce alla casa di San Giacomo, e qui riceveva ogni giorno dalle 20 alle 30 persone che gli volevano parlare dei loro problemi e aspettavano un suo consiglio. "Venga a vedere se non ci crede ... " concluse lo straordinario fratello.
Cosi una mattina decido di presentarmi anch'io a San Giacomo di Vago (Verona). Si sta celebrando e fratel Vittorino in veste bianca legge le letture della Messa.
Dopo la Comunione, espone il Santissimo Sacramento come se si trattasse di una delle grandi solennità dell'anno liturgico celebrate dalla Chiesa. Lo incensa e di seguito, in processione, scende alcune scalette per accedere nella stanza di sotto dove indirizza l'incenso verso le statue della Madonna, di San Giuseppe e di San Michele Arcangelo. Infine passa ad incensare tutti i presenti dicendo: "Anche a voi desidero farlo perché avendo ricevuto il SS. Sacramento siete diventati la Casa di Dio ... ". In me quelle Parole, quel profumo e quelle azioni così fervorose producono una strana impressione: mi sembra di essere già lassù nella Casa di Dio ... Un canto e poi si passa nell'ampio corridoio dove riceviamo il biglietto numerato per poter essere ricevuti dal fratello.
Chi entra nello studio prega, riceve consigli, a volte e rimandato a pregare dinanzi a Gesù Eucarestia ed alla Madonna, infine e benedetto con il crocifisso di don Calabria. In ogni modo tutti escono confortati.
Quando arriva il mio turno il religioso mi confida di avere un gran male di testa perché deve sentire in continuazione sposi che si vogliono lasciare, fratelli e sorelle che sono gravemente ammalati, persone che non sanno perdonare, gente sola con forti bisogni spirituali o poveri che chiedono aiuto.
Mi guardo attorno: scorgo su di un tavolo posto al centro della stanza la statua del Santo Bambino di Praga, una vetrinetta con dei libri, una scrivania, una sedia, i ritratti del fondatore dell'Opera, di padre Pio e di padre Leopoldo e una borsa da donna, marrone scuro, che fratel Vittorino, nonostante qualcuno gli facesse notare spesso l'incongruenza, continuava ad usare perché  "pratica e piena di tasche".
"Con te voglio prendermi un momento di tranquillità" mi dice, si alza, va in un angolo e apre la porticina di una gabbia. Torna a sedersi e da lontano ordina al canarino di uscire ed appoggiarsi sulla sua spalla.
L'animale ubbidiente esegue le richieste del padrone. Vittorino poi gli ordina di saltare sopra un dito della sua mano ed il canarino non si fa attendere. Infine avvicina l'animaletto alla sua guancia e si fa dare un "bacino".
Sono esterrefatto per quello che vedo e penso a ciò che lo straordinario uomo mi ha raccontato il giorno prima e che ho appena visto durante la celebrazione della Messa.
Allora ricordo la frase evangelica: "se non sarete come bambini non entrerete nel regno dei Cieli".
A Dio piace giocare con i puri di cuore.  Fratel Vittorino da alcuni era considerato un grande dello spirito, da altri un superficiale ed un sempliciotto. Da alcuni era venerato come un santo carismatico, da altri deriso e canzonato come un pagliaccio.
Egli semplicemente si e sempre definito il "burattino ", il "fazzoletto" del Signore, dimostrando di non approfittare dei doni carismatici che gli erano concessi, ma di metterli a disposizione della comunità per amore di Dio. Quando Gesù invitava ad essere bambini, intendeva proprio parlare dell'umiltà, che genera serenità e pace.
Forse non e facile, ma a volte fissando alcune persone nel profondo degli occhi, pare vedere dei bambini, tanto e chiaro lo splendore del loro cuore. Cuore disponibile all'amore, che solo rende grandi nella carità e maestri di vita.
Il Papa che abbraccia e accarezza i piccoli intenerisce e mostra il suo cuore bambino. Se davvero diventassimo tutti così il mondo sarebbe un giardino di fraternità.
Allora io non seppi cosa pensare di quel religioso, ma mi resi conto che chi lo denigrava stava sbagliando.
Solo dopo la sua morte, con la ricerca da me effettuata su numerosi documenti scritti e ascoltando infinite testimonianze verbali, ho cominciato ad avvicinarmi alla profonda realtà di questo mistico adoratore dell'Eucarestia, continuatore dello spirito e delle opere del suo grande maestro don Calabria, profeta della speranza evangelica.
Egli, infatti, cercò di aiutare gli uomini e le donne del suo tempo ad accostare Gesù Cristo, la strada che conduce a Dio, ad invocarlo con il nome di Padre. E' lui il Vangelo che inaugura un modo di vivere realmente gradito agli occhi di Dio, perché animato dalla carità che sa spingersi fino al dono di sè.
Poter annunciare Gesù Cristo oggi significa partecipare, in modo diretto e carichi di parole di speranza, al dramma più grande che l'umanità sta vivendo: decidere se chiudersi nel cerchio impenetrabile dell'autosufficienza, nei limiti soffocanti di un'esistenza tutta racchiusa entro gli orizzonti del tempo e nell'illusione di affidarsi solo alle cose, oppure se aprirsi alla ricerca del volto del Dio vivo.
Farsi predicatori della Parola, che è Gesù Cristo, significa vivere da protagonisti il senso più profondo della storia degli uomini. Siamo chiamati a condividere la storia del nostro tempo per aiutare a illuminare il cammino dei fratelli, così che sappiano scorgere la direzione giusta, per confrontare la ricerca e riaccendere la speranza di chi e stanco o s'è fermato,
Sembra questa la descrizione dell'opera svolta da fratel Vittorino nella sua preziosa esistenza in un sublime intreccio tra tempo presente ed eterno, tra spazio ed infinito.
Al lettore chiedo di non esprimere un giudizio affrettato, di leggere con attenzione le testimonianze ed i fatti riportati in questo libro e solo alla fine di giudicare se veramente Dio ha operato in lui e per mezzo di lui.

L'Autore
Mons. Fausto Rossi


 1. E' MORTO UN SANTO
Martedì 23 dicembre 1997.
"A Natale prendevi in mano la statuetta di Gesù e la stringevi al petto. Questa volta sarà Lui ad abbracciarti e da lassù tu continuerai a distribuire caramelle spirituali".
Le parole di P. Waldemar Longo, Superiore Generale dei Poveri Servi della Divina Provvidenza  (Opera don Calabria), sono applaudite a lungo dalla folla che vuole dare l'ultimo saluto a fratel Vittorino Faccia, deceduto sabato 20 dicembre 1997 per i postumi di un incidente stradale.
Sul portoncino d'ingresso dell'Oasi di San Giacomo c'e un cartello scritto a mano: "Fratel Vittorino è in Cielo".
Il giorno precedente la salma era stata esposta dalle 16 alle 21 in una camera ardente allestita nella casa madre dell'istituto don Calabria a San Zeno in Monte con un continuo afflusso di fedeli: tantissima gente di diversa estrazione sociale, e, tra i tanti, anche alcuni personaggi ragguardevoli della città di Verona.
Oggi la nuova chiesa parrocchiale di Vago di Lavagno (VR), appena costruita grazie anche all'aiuto di fratel Vittorino, e stracolma di oltre mille persone. Fuori sono almeno 500 quelli che non riuscendo ad entrare assistono alla funzione funebre grazie agli altoparlanti. Sono venuti da ogni dove. Una signora in gravidanza e arrivata appositamente dalla Svizzera. Mescolasti insieme ci sono imprenditori, povera gente, illustri personalità, tantissimi giovani. E' uno spaccato reale di chi si rivolgeva a lui nel piccolo ufficio presso l'Oasi di San Giacomo.
Ha ricordato durante l'omelia P. Waldemar:
"Fratel Vittorino riceveva il povero e il ricco con la stessa semplicità. Aveva il dono del discernimento anche in campo economico e benchè avesse conseguito solo la terza elementare, riusciva a dare il consiglio giusto a chiunque. Non aveva orari. Usciva anche di notte per portare una parola di conforto ai sofferenti nelle case o negli ospedali. Con il suo vocione riusciva davvero a trasmettere tutta la ricchezza che aveva dentro".
Qualcuno si asciuga gli occhi velati di lacrime, altri sorridono con affetto quando fratel Vittorino viene definito "pronto all' obbedienza ma anche ad una - santa - disobbedienza per donare agli altri il carisma che aveva ricevuto in dono".
Quel carisma lo aveva portato ad essere insostituibile punto di riferimento per migliaia di famiglie della provincia e fuori.
Amava in maniera particolare i giovani. Pensava sempre nuove iniziative formative per loro.
Padre Longo, che ha officiato la Messa insieme ai vescovi Andrea Veggio e Maffeo Ducoli, ha ricordato il legame con don Calabria, passando dal periodo in cui, presi i voti da laico, Vittorino preparava il pane per i Poveri Servi, fino alla nascita del centro San Giacomo di cui divenne prima economo e poi superiore.
"Aveva quattro passioni - precisa il padre generale - che lo hanno accompagnato per tutta la vita: la vocazione eucaristica, la devozione a Maria, l'imitazione di Giovanni Calabria, la consolazione delle persone, soprattutto poveri e ammalati.
Chi gli rimaneva a contatto ne ricavava una sensazione di serenità perchè dentro aveva la gioia. Si definiva ignorante, ma i suoi pensieri, le sue massime, sono vere e proprie sintesi teologiche ...
Con Gesù aveva una confidenza particolare che a volte rasentava, per chi non lo conosceva, l'ingenuità. Parlava con l'Eucarestia come si parla con un amico ... ".
Infine un monito: "Qualcuno di voi mi ha chiesto se tutto quello che Vittorino ha creato continuerà. Io rispondo che avere dei dubbi in proposito significa non avere capito nulla. Lui si definiva un semplice burattino, perchè protagonista di ogni colloquio è il Signore, che resta sempre in mezzo a noi".
Quando esce il feretro al termine della cerimonia, mille mani si protendono per l'ultimo gesto di affetto. Poi il carro funebre s'inerpica verso l'Oasi passando proprio per la strada dove l'incidente automobilistico gli ha stroncato l'esistenza.
Finalmente a soli cento metri di distanza da quella che chiamano la chiesa alta, fratel Vittorino, con intorno un cordone ancora fittissimo di amici e fedeli, viene sepolto nella cripta insieme ad alcuni benefattori dell'Opera.
Il parco dell'Oasi e immerso nel profumo bagnato degli alberi, i cui rami scendono a toccare l'erba del prato. Due roselline rosse resistono avvinghiate ad un lampione.
Nel vischioso mattino sale dalla pianura il muggito sordo, costante, dell' autostrada che l'alta siepe di cipressi non riesce a schermare. I banani dormono fasciati nel cellophane. La piccola Africa dell'Oasi e immersa nel letargo invernale.
Molti sono convinti che "il fratello" (com'era amichevolmente chiamato) fosse a conoscenza del suo destino.
Anna Maria Gaspari racconta: " ... mi ero stupita quando, pochi giorni fa, disse che mi aveva affidato nei suoi pensieri ad un altro religioso. - Non posso fare più nulla per te - ha aggiunto -, ma poi ti butterò giù le caramelle -. Adesso ho capito che sapeva gia tutto".
I presenti parlano anche di miracoli, di persone gravemente ammalate guarite dopo avergli parlato e c'è anche chi riferisce di quella volta che il fratello fece mettere acqua di ruscello nel serbatoio del camion rimasto senza gasolio e se ne tornò a casa col motore rombante. Si perdono i confini tra realtà e venerazione per una figura che ha lasciato in tutti coloro che l'hanno conosciuto un ricordo indelebile.
Bruno Bersan, barbiere in pensione, ricorda il giorno in cui lo conobbe: "Era l'inverno del 1963, aveva aperto da poco il centro San Giacomo. Mi si presentò dicendo che non aveva i soldi per pagarmi il taglio dei capelli, ma che si sarebbe sdebitato in un altro modo. E infatti venne diverse volte di mattina, prima della Messa, per accendermi la vecchia stufa, mentre io mi preparavo per le prime rasature. La sua disponibilità non conosceva limiti".
All'Oasi, nei giorni successivi, si respira il clima di una serena mestizia. Nel raccoglimento della splendida chiesa, voluta da fratel Vittorino come "Tempio dell'Eucarestia", si prega guardando la notte di quel soffitto - cielo illuminato di stelle, sicuri di averne ora una in più che ci osserva e ci protegge.

2.) L'INFANZIA
Vittorino Faccia nacque a Conselve (PD) il 6 settembre 1917 da Luigi e Geltrude Berto, nono di 19 figli: Stefano, Maria (ora deceduta), Agnese (deceduta), Lorenzo, Elena (deceduta), Elena, Carlo (deceduto), Luigia, il nostro Vittorino (deceduto), Guerrino (deceduto), Giuseppe, Luigi (deceduto), Luigi (deceduto), Giovanni, Imelda (che ora e suor Paola, Superiora a Gravina di Puglia, nel convento di clausura delle Carmelitane scalze), Antonietta (suor Geltrude, che vive a Recanati in una casa di riposo per religiose presso il convento del Sacro Cuore), Benito, Gabriella (deceduta), Paolo (detto Paolino, il più giovane).
Papà Luigi lavorava in ferrovia e nel tempo libero faceva il contadino. Teneva una casa e cinque campi affittati dalla Curia di Padova.
Spesso chiedeva la proroga del dovuto pagamento a don Vito, il coadiutore del parroco. Questi lo capiva e cercava di aiutarlo in tutti i modi.
Luigi poi comincio a fare il muratore diventando in breve un piccolo impresario edile. Quello che pero gli aprì veramente la strada alla tranquillità economica fu il lavoro di mediatore di vini. Pian piano si costruì una cantina e divenne commerciante. Avendo l'abbonamento gratis sul treno, si recava in tutti i mercati d'Italia. Non si fermava mai nella città per dormire, ma approfittava del viaggio in treno per riposarsi. Così dopo un mese di lontananza da casa tornava con numerosi ordini da moltissime città.
La mamma Geltrude, sposata molto giovane a 17 anni, si trovava spesso sola a condurre la famiglia.
Tutti le volevano bene, anche i vicini si recavano da lei per consigli e, nonostante la povertà, aiutava i più poveri. Non mandava mai via nessuno senza un piatto di minestra. Diceva che se avesse potuto costruirsi una casa nuova avrebbe voluto che dalla cucina si potessero vedere tutte le camere per controllare la situazione di ogni figlio. Era molto religiosa, da giovane insegnava il catechismo in parrocchia.
Il giorno della nascita di Vittorino il padre piantò numerosi alberi da frutto in giardino, com'era solito fare ad ogni evento, perchè i figli per lui erano come gli alberi che crescendo danno lo stupore e la ricchezza dei frutti.
La madre con il suo ottimismo lo educò alla felicità. Il padre lo avviò al rigore: "L'uomo per la parola, la bestia per la cavezza" soleva ripetere. Infatti, quando si trovava a casa, egli al mattino svegliava tutti i figli con un campanello e non tollerava ritardi nel presentarsi alla prima colazione.
Vittorino da piccolo desiderava molto giocare. Crescendo frequentò volentieri i padri canossiani che avevano un oratorio aperto anche la domenica. Fece la Prima Comunione a 6 anni e la Cresima subito dopo.
Gli piacevano molto i fiori. Chiamava i fratelli minori i suoi "butini" e costruiva per loro altalene e altri giochi per farli divertire.
Alla stazione il papà  aveva fatto costruire un semplice bar in legno. Qui Vittorino, per contribuire all'economia familiare, aiutava la sorella Maria a servire bibite e vino.
Il ragazzo non faceva il chierichetto, ma frequentava regolarmente la Messa. La sorella Agnese era molto religiosa, partecipava alla Celebrazione ogni giorno e aiutava la mamma ad educare i figli minori. Da lei Vittorino imparo la recita delle preghiere. Come don Calabria e come da una lunga tradizione appresa ascoltando le vite dei santi, anche lui, nella casa colonica a due piani che ospitava la grande famiglia, aveva costruito il suo piccolo altare per la preghiera.
I problemi veri scoppiarono quando comincio a frequentare la scuola elementare: in prima venne bocciato due volte, in seconda tre e in terza altre due volte. Finalmente venne licenziato dall'obbligo scolastico grazie ad una maestra che volle fare un piacere alla madre. Il suo scarso rendimento non era dovuto a disinteresse, ma ad un brutto difetto della vista, riconosciuto molti anni dopo, che gl'impediva di distinguere nettamente segni e parole. Leggere e scrivere sarà per lui una fatica che si trascinerà per tutta la vita.
Finito il ciclo elementare entro a tempo pieno come cameriere nel bar della stazione di Conselve gestito dalla sorella. Qui per quattro anni conobbe svariate persone, tra cui molte che annegavano nel vino le fatiche del lavoro nei campi o le delusioni della vita. Il ragazzo era molto tollerante nei loro confronti, solo una cosa non sopportava: quando si lasciavano andare con un linguaggio scurrile e offensivo verso i santi, la Madonna o Dio. Allora il suo carattere impulsivo e focoso lo portava a sfogare la rabbia con gesti inconsulti come cacciare fuori dal bar con la scopa gli avventori troppo loquaci.
Una sera, gli parve di udire anche la sorella dire una parolaccia contro Dio. Si arrabbiò a tal punto che rovescio il vassoio, scaravento per terra una vetrina di dolci ed esclamo: "Basta, mi qua non voi più sentirghene, non ghe sto più in mezzo a tute ste bestemmie" e fuggi in bicicletta verso San Zeno in Monte (Verona) da suo zio Ignazio, fratello laico dell'Opera don Calabria.
Lo zio, fratello di papà Luigi, si era sposato, ma alla nascita del primo figlio gli era morta la moglie ed anche il bambino. L'arciprete di Conselve, molto amico di don Calabria, gli chiese di consolare l'uomo colpito da una così grande sciagura. Ignazio fu tanto affascinato dalla figura di questo semplice prete che decise di seguirlo diventando uno dei primi Fratelli dell' Opera.

3.)  STORIA DELL' OPERA DI DIO
L'Opera venne fondata da don Giovanni Calabria, un prete veronese di umili origini, scelto da Dio per iniziare una nuova Congregazione religiosa che si sarebbe propagata in tutto il mondo.
Giovanni Calabria nacque a Verona 1'8 ottobre del 1873.
L'estrema indigenza e la morte prematura del padre l'obbligarono due volte ad interrompere gli studi per guadagnarsi il pane con lavori umilissimi. Proprio in essi si manifesto il crescente zelo apostolico che convinse il rettore della chiesa di San Lorenzo, don Pietro Scapini, che si trattava di un'autentica vocazione sacerdotale. In tre anni egli stesso lo preparò agli esami d'ammissione al Seminario Minore di Verona. Li supero e venne ammesso come esterno.
Più tardi, durante il servizio militare, conobbe il p. Natale di Gesù O.C.D., che Giovanni scelse come direttore spirituale. Questi scoperse in lui "un'anima scelta da Dio con predilezione speciale per fondare un istituto appropriato ai tempi attuali": una Congregazione di spirito evangelico di sacerdoti e fratelli laici aventi pari dignità, "I Poveri Servi della Divina Provvidenza" (1907). A questa si aggiunsero più tardi un ramo femminile di religiose, le "Povere serve della Divina Provvidenza" e, dopo la morte di don Calabria, la Sorelle Missionarie dei Poveri, oltre ad un ramo laico, la "Famiglia dei Fratelli esterni", per vivere tutti la stessa spiritualità della Congregazione nelle loro famiglie e nel lavoro.
Dopo il servizio militare, durante il quale esercito un notevole apostolato vocazionale e di carità, il giovane Giovanni continuo con gli studi teologici e venne ordinato sacerdote nel 1901.
Nel 1907, poi, con l'aiuto finanziario dell'avvocato Francesco dei Conti Perez, che più tardi gli si unirà come fratello, aprì la "Casa Buoni Fanciulli" per bambini abbandonati, che sarebbe diventata la casa Madre della Congregazione.
II suo apostolato era assai vasto: bambini, anziani, giovani poveri, ma con vocazione, che egli stesso istruiva, sacerdoti in difficoltà, carcerati, cristiani dissidenti ed una moltitudine anonima di anime abbattute che egli riceveva dalla mattina alla sera, anche fra continue sofferenze e malattie.
L'anima di tutto e la sua vera grandezza furono l'impegno quotidiano di conoscere sempre più la volontà di Dio, il suo amore appassionato a tale volontà, il perdersi in essa ed il viverla ad ogni costo.
"O santo o morto" era il suo proposito scritto in ogni pagina del diario. Egli credette nel Vangelo in modo radicale e conformo la sua vita ad esso.
Don Calabria terminò i suoi giorni terreni a Verona il 4 dicembre 1954, mentre le due Congregazioni da lui fondate si estendevano, perpetuando il suo spirito, in Uruguay, Brasile, Argentina, Paraguay, Colombia, Angola, Cile, Russia, India, Filippine, Romania.

* * *

Per Vittorino la fuga notturna in bicicletta fu il primo segno di rottura col mondo: il seme che Dio aveva posto nel suo cuore stava maturando.
Quella pedalata durò da mezzanotte fino alle 7,30 e l'avrebbe ricordata per tutta la vita: infatti fu allora che il Signore diede una svolta determinante al suo futuro.
Egli stava pedalando con tutta forza verso Dio. Quanti chilometri percorse in quelle ore? Più di 100: arrivando da Conselve prima a Padova, poi a Vicenza ed infine a Verona senza alcuna sosta nella notte buia della campagna veneta.
Raggiunse la "terra santa e benedetta" di San Zeno in Monte in tempo per la prima Messa e subito fu colpito dall'ordine, dalla pulizia dell'altare e dall'abbondanza di fiori nella piccola chiesa. Commenterà più tardi: "Mi piace l'ordine, perchè Dio è ordine".

* * *

Ecco il ricordo di Vittorino sul giornale della Congregazione:
"Quel giorno non finiva mai. Continuavo a pedalare su e giù per le dolci colline che dalla provincia di Padova portano a quella di Verona. Sono passati tanti anni, cinquanta, sessanta quasi, eppure ricordo ancora la stanchezza e la paura quando le ombre cominciavano ad allungarsi. C'era perciò qualcosa di misterioso che mi spingeva ad andare avanti e a non voltarmi indietro. Era una forza più grande della paura di fare brutti incontri o dell'incertezza di sapere se al mio arrivo avrei trovato lo zio frate che avrebbe potuto aiutarmi.
Oggi, ripensando a quel momento, comprendo che al mio fianco (come me affannato dal gran pedalare) c'eri tu, angelo mio custode ...
Forse allora non pronunciavo bene tutte le parole, ma io ti parlavo, ti raccontavo ogni cosa e tu eri sempre lì a darmi coraggio, come hai continuato a fare fino ad oggi. Non c'erano mai stati segreti fra noi e quando la mamma ci parlava di te, io ho sempre creduto, ed ora lo posso confermare, di non essere mai stato tradito da te ... ".

 * * *

Quella mattina, però, lo zio Ignazio non c'era. Era stato trasferito al santuario di Madonna di Campagna. Lo venne a sapere dal fratello Gigio e da altri religiosi che l'avevano accolto per primi con amore.
Vittorino riprese la sua bicicletta e corse al tempio della Madonna dove confidò  i suoi problemi allo zio, piangendo davanti all'immagine della Vergine.
Quelle lacrime illuminarono lo zio Ignazio che suggerì al nipote di tornare a casa e di scrivere una lettera a don Calabria poiché il padre in quel luglio non si trovava a S. Zeno in Monte.

4.)  PRIMA LETTERA A DON CALABRIA
Visto che don Calabria non c'era, Vittorino torna a Conselve per scrivere la prima lettera della sua vita. Come Gesù al tempio, il ragazzo era scappato da casa per due notti e tre giorni, ma i suoi genitori non rimasero turbati da quella fuga perchè avevano intuito le sue intenzioni.
C’era però un problema: Vittorino, a causa di forti emicranie, non poteva leggere, ne tanto meno scrivere.
Con grande semplicità il ragazzo a mezzogiorno si recò nella chiesa del suo paese chiedendo un segno al Signore.
Nell'assoluto silenzio prese la penna, la mise nella serratura del tabernacolo e avvenne un fatto singolare: spontaneamente le parole gli uscirono e in breve poté riempire un foglio intero.
Vittorino non ricordò più ciò che lo Spirito Santo gli aveva dettato, ma il Signore lo chiamava nell' Opera e volle rivelare la sua volontà attraverso don Calabria che rispose prontamente così:  "Vittorino, tu cerchi la gioia e la felicità nel mondo, ma non la troverai. Vieni nell'Opera del Signore! Ciao Vittorino, ti aspetto!"
Il ragazzo ne parlò con i genitori. Il padre rispose: "Caro, coi lupi s'impara ad ululare, con i santi s'impara ad amare. Se tu vai da don Calabria, io ti do’ il consenso ben volentieri".
Sua madre però aggiunse: "Pensaci almeno tre volte, e quando prenderai la decisione che sia quella!".
Timoroso d'imboccare una strada sbagliata, il ragazzo si rivolse anche a padre Leopoldo Mandic, un frate con la fama di santità residente a Padova.
Quando il cappuccino venne a sapere che desiderava entrare nell'Opera, disse: "Beato lei che va da questo grande santo! Don Calabria è il più grande santo di questi ultimi cento anni. Si ricordi che lei è fortunato: don Calabria andrà al galoppo agli altari e lei lo vedrà beato!".

* * *

Don Calabria e padre Leopoldo erano legati da un vincolo di amicizia: entrambi convinti della santità l'uno dell'altro.
Fratel Vittorino ricorda che un giorno don Calabria e don Pedrollo andarono a Padova. Bussato alla porta del convento di Santa Croce, attiguo alla chiesa, domandarono al frate portinaio: "Avete un pezzo di pane per questi due poveri preti?".
Il frate stava per dare loro qualcosa, quando padre Leopoldo venne alla porta e riconobbe don Giovanni. All'improvviso le campane suonarono a distesa senza che alcuno le avesse toccate... e la gente accorsa per quel richiamo insolito vide i due uomini di Dio inginocchiati uno di fronte all'altro ...
Quindi padre Leopoldo corse ad avvisare il superiore della loro presenza e gli chiese di ospitarli alla loro mensa.

5.) PRIMO INCONTRO CON DON CALABRIA
Dopo il colloquio con padre Leopoldo, Vittorino si recò a Verona nella casa di San Benedetto, dov'era la sede degli aspiranti.
A fine settembre del '36 erano in corso gli esercizi spirituali ed il padre predicatore, Mons. Bovo, parlò con grande fervore del mirabile Mistero Eucaristico, tanto da infiammare il cuore di Vittorino, che, finita la predica, andò nello studio di don Calabria per conoscerlo.
Qui avvenne un fatto sorprendente, che gli avrebbe rivelato uno dei tanti doni del padre: l'introspezione. Prima di aprire la porta del suo studio, dopo aver bussato, il ragazzo si sentì dire: "Avanti, Vittorino, avanti, che mi godo vederti per la prima volta".
Commenterà il fratello anni dopo: "Egli aveva il dono di vedere prima che uno gli si presentasse. M'inginocchiai davanti a lui. Che bene si stava vicino a don Calabria ... ".
Di seguito il Superiore aggiunse: "Avanti caro Vittorino, hai una missione da compiere, sai? Vieni nell'Opera del Signore! Ringrazia il Signore!".
Infatti l'11 ottobre 1936, al termine degli Esercizi, il giovane entrò definitivamente in quell'Opera di Dio.
Ma come faceva il Padre a conoscere il suo nome ed il suo futuro? Vittorino voleva essere sicuro che fosse un Uomo di Dio ed aveva un solo modo per scoprirlo: stargli vicino ed osservare come si comportava nelle varie circostanze ...
Per diventare amico di don Calabria, prese l'abitudine di bussare alla porta del suo studio tutti i giorni, e, solo dopo un paio di settimane, il Padre domandò:
"Ma insomma, Vittorino, sei venuto ieri, l'altro ieri, l'altro ieri ancora. Che cosa vuoi dirmi? Dimmelo?"
"Padre - rispose - la pegoreta la vol l'erbeta e 'l butin vol el panetin!" (La pecoretta vuole l'erbetta ed il bambino il panino).
Allora don Calabria, con voce paterna, aggiunse: "Beh, beh, vieni quando vuoi" e lo chiamava spesso...

* * *

In un'intervista sul giornale della Congregazione "L'Amico" molti anni dopo, Fratel Vittorino così  parlerà del suo primo Maestro: "... Con don Calabria s'imparava a conoscere il Vangelo, anzi ad essere Vangelo vivente. Diceva sempre: - Il nostro programma è "Cercate prima il Regno di Dio e la sua giustizia" e non preoccupatevi di tutto il resto. Siate sicuri della Provvidenza che, grazie a Dio, ho sperimentato molte volte -. Io ho sempre cercato di stargli vicino, a tal punto che giunsi ad essere "il suo bambino, il suo piccolo". Imparai dalla mia famiglia ad amare Gesù però don Calabria mi fece maturare di più, perchè tutti i giorni mi mandava davanti a Gesù Sacramento a chiedergli questo o quello e poi dovevo raccontargli quello che Gesù mi aveva detto. Però io capivo che stava lì per insegnarmi a conoscere Gesù sempre di più, per prepararmi alla missione che un giorno avrei avuto: quella di avere Gesù sempre esposto nella casa in cui mi trovo". Tutte le volte che mi avvicinavo a lui erano per me motivo di gioia, perché vedevo Gesù in lui, vedevo la Madonna, la speranza, i valori della fede. I tempi vissuti con lui sono stati i migliori della mia vita, una vera fortuna, perchè colmi di insegnamenti spirituali. Ogni gesto, ogni parola di don Calabria erano una lezione di virtù e di spiritualità...".
L'intervistatore conclude: "Potrebbe raccontarci un aneddoto che rifletta l'umiltà di don Calabria?" e Vittorino subito risponde: "Un giorno dopo la guerra si organizzò un'adorazione al Santissimo per ringraziare Dio per la pace. Bisogna sapere che don Calabria aveva molta paura che il nemico distruggesse l'Opera di Dio. Desiderava che avessimo molta prudenza con le donne. Ad un certo momento il Signore m'ispiro che chiedessi alla Madonna di utilizzarmi, se fosse necessario, per aiutarlo a togliersi questa preoccupazione. Quando egli vide tutta la cappella piena di donne, si spaventò ed ordinò che invece di dare la benedizione alle ore 6 si desse alle 4 affinché la gente se ne andasse il prima possibile ... Mi ordino di chiudere la cappella e di far uscire tutti, però il Signore permise che capissi il contrario, cioè che dicessi alla gente che dopo la benedizione andassero sulla terrazza che don Calabria avrebbe loro rivolto alcune parole. Quando don Giovanni vide la terrazza piena di gente, chiese chi aveva dato quell'ordine e mi fece chiamare: - Che hai fatto, Vittorino? Hai rovinato l'Opera di Dio! - e mi mandò nella cappella a pregare. Ci andai e chiesi al Signore umiliazioni per ciò che avevo fatto all'Opera, però poi ringraziai la Madonna per avermi ascoltato, poiché ero convinto che quella paura di don Calabria era una tentazione del nemico per paralizzarlo. Infatti tutto andò per il meglio: vidi don Giovanni parlare alla gente e tutti erano contenti. Subito dopo mi fece chiamare e mi chiese: - In nome di Dio, parla! E’ stato satana che ha voluto tutto questo o Dio?. - Padre – risposi - se mi lascia essere bambino le racconterò tutto -. E così gli descrissi tutta la mia preghiera. Alla fine esclama: - Allora tu sei un santo! -.
- No, Padre, non c'entra niente! - gli risposi ridendo. Però lui si gettò ai miei piedi... ecco qui l'umiltà di don Calabria! Io non ero preparato per fare la volontà di Dio, lo rialzai, gli diedi due baci e me ne andai correndo".

6.) CONFIDENZA CON GESU' EUCARESTIA
Con la semplicità Vittorino guadagnò l'amicizia del Padre, il quale ricambiò donandogli fiducia e lo educò subito a prendere confidenza con Gesù Eucaristico.
Coglieva ogni occasione per mandarlo in chiesa a pregare davanti al Santissimo, dicendogli: "Vittorino prega per una mia intenzione e poi vieni a riferirmi quello che ti ha detto Gesù".
Con grande semplicità egli obbediva e, mentre era davanti al Santissimo in fiduciosa preghiera, gli nasceva un pensiero nel cuore, oppure gli si manifestava mentre tornava allo studio del Padre, il quale lo ringraziava sempre e diceva che gli avrebbe fatto sapere l'esito.
Certo Vittorino, nella sua mancanza di cultura ed esperienza religiosa, non sarebbe stato in grado di consigliare don Calabria, ma lo Spirito Santo usava anche questo strumento perché il padre ricevesse la conferma di quello che pensava.
L'amore di don Calabria per Gesù Eucarestia era fondamentale: scrive infatti a don Stanislao, sacerdote dell'Opera a Roma: "Ove è il nostro tesoro, lì vi sarà pure il nostro cuore ... e il nostro tesoro deve essere Gesù Sacramento ... Non dalle protezioni umane ci verrà l'aiuto per il nostro santo ministero, ma da Gesù Sacramento" (Lettera di don Calabria ai religiosi, n. 14 dell'8 dicembre 1936).
L'Eucarestia era il centro della vita del fondatore, tanto che, dovendo aprire la casa di Porta Nuova (ex Gil) per i Buoni Fanciulli, vi mandò Vittorino a vedere se c'era l'Eucarestia nella cappella e se avevano celebrato la Messa.
Diceva infatti: "Se non c'è Gesù in casa non deve entrare nessuno. Prima bisogna accogliere Gesù e poi i poveri".

* * *

Un giorno fratel Vittorino andò da don Calabria per un consiglio, ma il padre gli disse: "Da me vieni per avere un consiglio? Da me che sono un povero peccatore? Non te lo do il consiglio!".
"Ma lei è un padre!" insistette l'altro.
"Eh, caro, bisogna andare dai Santi!".
"E chi e santo?".
"E' quello lì ... siediti vicino al conte Francesco Perez ... è un conte, sai? E' un santo!".
Indicò il fratello che era seduto di fronte a lui, sul sofà, come spesso faceva: aveva la Corona del Rosario in mano, la testa bassa, lo sguardo umile: certamente pregava per il suo amato padre don Calabria.
Alle parole di don Giovanni, fratel Perez si scosse all'improvviso e agitò le mani dicendo: "No, padre, non le dica più queste parole ...!.
Vittorino rimase edificato dall'umiltà di quel fratello laico e uscì dallo studio contento per quello che fratel Francesco gli aveva detto: lo aveva infatti elogiato per essere entrato nell' Opera come suo zio fratel Ignazio.

7.) LA FESTA DEL "GROPPO"
 Quella sera Vittorino tornò a San Benedetto, dove frequentava il postulandato.  Ma la strada per giungere al noviziato era ancora lunga: come don Calabria ebbe numerose difficoltà per diventare sacerdote, così lui ebbe molte prove prima di essere ammesso al noviziato.
In quel periodo il Consiglio dell'Opera non nutriva molta fiducia in lui e commentava: "Vittorino è troppo bambino e non ha cultura!".
L'aspirante religioso, d'altra parte, si rendeva conto dei suoi limiti nello studio teologico, tanto che anni più tardi ammetterà:"... Quando ero molto giovane ricordo che dormivo con il libro sotto il cuscino perché il passaggio tra le parole scritte e la mia testa avvenisse più facilmente. Quanta ingenuità ed ignoranza!" .
Invece don Luigi Pedrollo aveva stima di lui.
"E' meglio che canti Vittorino coi suoi becanoti (strafalcioni) che voi tutti insieme". Egli lo sosteneva perché, oltre a lavorare molto, Vittorino faceva divertire tutti.
Anche don Calabria lo voleva nell'Opera e gli aveva persino detto: "Devi diventare fratello interno, in vista della futura missione, non sacerdote, benché tu lo desideri".
Tuttavia il Consiglio non volle ammettere Vittorino e lo invitò ad attendere ancora un anno.
Nel frattempo si avvicinava la festa di San Giuseppe, patrono della Casa del postulandato, detta "La festa del groppo" perché gli aspiranti che volevano entrare nell'Opera ricevevano la cravatta per diventare postulanti.
Allora Vittorino andò a piangere davanti all'immagine della Madonna addolorata, dietro la casa, ed ebbe un'ispirazione: scrivere una seconda lettera a don Calabria.
Con abbandono filiale mise questa volta la penna nella piaga del Costato di Cristo.
Lo Spirito Santo conferma la sua vocazione, tanto che don Calabria prontamente gli rispose di non temere perché il Signore lo voleva nell'Opera.
Bastò una sola parola del Padre perché Vittorino fosse ammesso: gli aspiranti avevano indossato la cravatta il 19 marzo 1938, lui invece la mise pochi giorni dopo, il 25 marzo, festa dell'Annunciazione.

* * *

Fù una scelta anticipatrice dei tempi quella della Congregazione fondata da don Calabria: riconoscere al proprio interno con pari dignità sia sacerdoti sia fratelli laici. Venivano così valorizzate tutte le potenzialità degli aderenti ed ognuno poteva scegliere la propria strada nella maniera più confacente al servizio di Dio.
Vittorino, anni dopo, commenterà: "Don Calabria ripeteva spesso: - In altri momenti, sai nasceranno i fratelli esterni -. Diceva che questi fratelli potranno essere chiamati anche a governare un Paese. Questo mi faceva impressione. Adesso si capisce il perché: occorrono delle persone oneste e dei veri testimoni per guidare le sorti di un Paese. Alla nascita dei fratelli esterni, ricordo di aver scritto la seconda lettera della mia vita a don Calabria. Questa lettera l'ho scritta davanti al Santissimo e diceva così: - Caro Padre, non capisco niente, però a modo mio intuisco il valore dei fratelli esterni, capisco che sono una grazia tanto grande! -.
Don Calabria infatti vedeva che i suoi figli spirituali, attraverso i fratelli esterni, avrebbero potuto governare una città e una nazione. E così è stato. Per esempio si sono impegnati perché non mancasse il latte a tutti i bambini della città ... e grazie ad un fratello esterno non e mai mancato il latte durante la guerra. Pensate che Provvidenza!
Per non parlare della missione del fratello esterno in campo medico, in campo economico. Ecco perché io sono stato spinto dai superiori, in particolare da don Luigi Pedrollo, a portare il Vangelo nell'economia, nella vita sociale, in quella politica e nelle varie attività, in modo da creare "cose nuove", come santificare il lavoro, la domenica ed anche i momenti di sollievo.
Don Calabria aveva un programma: che i canali della Provvidenza arrivassero dappertutto sia attraverso i Poveri Servi e le Povere Serve, sia soprattutto attraverso i fratelli esterni, considerati la lunga mano dei fratelli interni. Spingeva alla santità  noi religiosi perché trasmettessimo ai fratelli esterni questo spirito dell'Opera ... Ed ecco che don Calabria pregava il S. Rosario e attraverso i 15 misteri ci portava a comprendere la presenza del Signore".
L'atteggiamento di profonda umanità del padre verso Vittorino divenne sempre più evidente.
Ad esempio spesso gli offriva un "bicchierino di China per tirarsi su la pettorina", dal momento che lo vedeva lavorare duramente e anche perché lui considerava vera penitenza offrire i piccoli sacrifici di ogni giorno, mantenendosi umili, praticando la giustizia e la verità e combattendo la superbia.
Finalmente dopo un anno di noviziato, il 7 ottobre 1939 Vittorino, a 22 anni, vide coronato il suo sogno facendo la sua prima professione religiosa che gli permise di diventare "fratel Vittorino" per tutta la vita.
Anni dopo confiderà: "In realtà non ero io quello della famiglia che doveva entrare nell'Opera. La vocazione ce l'aveva mio fratello Gigetto, che pero morì giovane in un incidente stradale. Questo lo sapeva anche don Calabria che scrisse nel suo diario: - Durante l'elevazione vedo Gigetto in Paradiso -."

8.) LAVORI A SAN ZENO IN MONTE
Alla fine del 1939 fratel Vittorino fu trasferito dalla casa di San Benedetto a San Zeno in Monte.
Don Calabria gli inviò subito una "lettera di obbedienza", dandogli l'incarico di fare il giardiniere della casa, nonché di tenere tutto pulito perché San Zeno in Monte era il "giardino di Dio!"
Vittorino cominciò a svolgere i lavori più umili e più pesanti: tra questi c'era quello di pulire i servizi igienici della casa, un lavoro che già prima di lui fratel Perez aveva svolto.
Per scopare i cortili più velocemente, il nostro fratello inventò un sistema efficace: legò la scopa in fondo ad una lunga canna e cosi puliva a ventaglio.
Don Calabria amava molto l'ordine e la pulizia e desiderava che tutto fosse a posto in ogni casa dell'Opera: l'ordine esteriore era un riflesso dell'armonia interiore.

* * *

Commenterà anni dopo Vittorino: "Quante volte mi e stata posta la domanda: cos'e l'ubbidienza, cos'e il servizio, perché ubbidire equivale a garanzia di liberta interiore? ...
Noi qui riuniti adoriamo e contempliamo l'Eucarestia che non e solo "frutto di redenzione", ma e pure il risultato del "Si" di Gesù al Padre, perciò dono che scaturisce dalla dipendenza e dall'ubbidienza.
Quando, per grazia, la persona ha compreso la grandezza di questo dono, mentre si trova in una posizione di subalternità, deve assolutamente cercare di fare la parte dell'asino che con fatica traina il carro per portarlo a destinazione.
Questa dell'asino la ritengo una figura importante per chi vive in comunità, perché ripeté il sacrificio umile e nascosto del servo che, senza aprire bocca, porta fino in fondo il compito assegnatogli, rendendo un grande servizio a colui che ha la responsabilità di guidare il carro per sentieri aspri e difficili.
Quante volte un atto di docile ubbidienza è diventato mezzo per sollevare durezze di cuore, per trasformare asprezze di carattere in atti di misericordia. Vale certamente la pena di fare esperienze di questo genere anche se indubbiamente possono costare fatiche immense. Infatti piegare il proprio io sotto il giogo della dipendenza e cosa molto dura che porta però grandi frutti. Lui ha detto: "- Non sono venuto per essere servito, ma per servire -" 
Naturalmente l'ubbidienza non era irrazionale, ma presumeva che chi dava gli ordini esprimesse realmente "la volontà di Dio".
Dirà Vittorino: ''Accettando la volontà di Dio posso evitare brutte reazioni e sofferenze nelle persone che mi circondano. Ad esempio, se perdono di cuore un torto ricevuto, il male non rimbalza sugli altri, non si propaga a catena. E se con l'aiuto di Dio imparo a non anteporre il mio interesse al bene degli altri, evito loro delle sofferenze. Allora è chiaro che la strada giusta da seguire nella vita è quella della volontà di Dio.
Certo l'accettazione della volontà divina si presenta come un cammino difficile, una strada stretta, perché c'impone di mortificare alcuni nostri atteggiamenti e convinzioni.
Ma se - condotti per mano dallo Spirito Santo - siamo disposti a far morire il nostro io, ad accettare la sofferenza fidandoci del Padre e a bere volentieri, come Gesù, il calice della sua volontà, allora la sofferenza così accettata ci purifica ed esalta, il nostro spirito si avvicina a Dio e diventiamo motivo di benedizione per tutta la Chiesa. Morire al proprio io, infatti, vuol dire risorgere, perché le sofferenze morali e fisiche superate ci arricchiscono donandoci una pace profonda ...
Per eseguire la volontà di Dio e necessario essere pazienti nelle avversità, liberi da noi stessi e dai giudizi della gente, umili, cioè non ritenersi superiori agli altri.

9.) LA GUERRA
Mentre Vittorino raggiungeva la pienezza di membro effettivo della famiglia Calabriana, sul mondo si stavano addensando le cupe nubi della guerra che l'avrebbe sconvolto per più di cinque anni con distruzioni, morti, lacerazioni fisiche e morali che neppure i decenni successivi sarebbero riusciti a sanare.
L'Opera, fondata da don Calabria, era ormai un fatto di grande rilevanza nella città e nella provincia di Verona, come un piccolo - grande faro che s'irradiava da San Zeno in Monte per illuminare di speranza quei tempi tanto colmi di sventure.
Nella Verona del primo novecento, don Calabria, che aveva vissuto sulla propria pelle la povertà ed il dolore, s'era dato una ragione di vita nel riconoscimento e nell'accoglienza dei più deboli e disperati, in modo particolare i ragazzi.
Fuori dal fulgore delle luci, al riparo dagli schiamazzi, questo prete, spendendosi per intero, abbracciò la sorte di tanti figli che non avevano futuro e diede loro un avvenire nelle arti, nelle professioni e nella chiesa. Se è vero che anche oggi, al di la del consumismo egoistico e del disinteresse diffuso, la città di Verona ha comunque un cuore grande, dobbiamo riconoscere in don Calabria uno dei "semi" che contribuirono alla formazione di questa cultura dell'accoglienza.
La disarmante fede nella Provvidenza di quel santo prete, faceva breccia in tanti cuori di persone ricche e povere, che davano il sovrappiù e talvolta anche il necessario per sfamare la "Famiglia del Calabria" che cresceva e cresceva. C'erano inoltre alcuni che offrivano anche se stessi in dono. All'inizio infatti San Zeno in Monte era un complesso di vecchie case diroccate con annessa una chiesa. Venne acquistato con i soldi messi a disposizione nel novembre del 1908 dal conte Francesco Perez che ben presto sarebbe venuto a far parte del primo nucleo dei Poveri Servi della Provvidenza. Con grande fatica il luogo fu trasformato e, grazie all'attività dei primi seguaci, vi sorsero laboratori di calzoleria, di falegnameria, di sartoria, di meccanica e di tipografia.
Per fratel Vittorino era come ritrovarsi in casa con i suoi genitori e i diciotto fratelli, con la differenza che sicuramente la nuova famiglia era più grande ed impegnativa.
Cosi Vittorino puliva, come faceva quel sant'uomo di fratel Perez, che lasciato il titolo nobiliare si fece servo di Dio e dei ragazzi, e visse cosi brevemente da non vedere la fine del conflitto mondiale.

10.)  lL PANE
Durante la guerra, don Luigi Pedrollo diede l'incarico a Vittorino di fare il pane insieme a fratel Ottone: alle 2 di notte entrambi si alzavano per impastare la farina e cuocerla nel forno.
Alle 9 Vittorino, essendo il più giovane, cominciava il giro per portare il pane: da San Zeno in Monte andava al convento delle clarisse, da lì discendeva alla Sacra Famiglia, quindi saliva alla casa di Nazareth ed infine da Castel San Pietro tornava alla Casa Madre.
Questa strada era quasi tutta in salita e lui la percorreva a piedi tre volte al giorno con una gerla sulle spalle del peso di 40-50 kg (che gli provocò anche delle piaghe).
Il giovane era energico, ma magro ed alto, perciò cominciò ben presto a soffrire di dolori alla schiena, causati anche dallo sbalzo continuo di temperatura cui era sottoposto, passando dal caldo del forno al freddo della cantina.
Sopportava, però, tutto con pazienza, pensando ai Buoni Fanciulli, perché non mancasse mai il necessaria alle gemme dell'Opera.
La giornata non era finita: dopo un'ora di riposo, al pomeriggio doveva coltivare i campi e nel poco tempo che restava doveva raccogliere pezzettini di carbone, carta, trucioli, per portarli nel bruciatore in cantina, pregando perché si moltiplicassero ... e miracolosamente non mancò mai il combustibile, neanche in tempo di guerra.
L'economo fratel Prospero aveva ordinato di risparmiare carbone, ma Vittorino, grazie alla Provvidenza, ne utilizzava più di 60 kg, con il permesso di don Luigi Pedrollo che gli dava carta bianca dicendogli:
"Si, caro, fai pure perché ciò che conta è la sana, saporita e sufficiente cucina!".
Alle ore 22 Vittorino faceva il cosiddetto "levà" (inserimento del lievito nella farina), poi andava a riposare fino alle 2 del mattino quando si alzava per l'impasto.
Chi gli dava tanta forza?
Mentre impastava la farina, il suo cuore si elevava pensando al Divin Pane e, mentre attendeva che il pane nel forno si cocesse, pregava che il tempo trascorresse veloce per cibarsi al Santo Convito della Messa mattutina ...
Un giovane dei Buoni Fanciulli, che non credeva, entro un giorno nel panificio per prendere il pane appena sfornato. Fu incuriosito da un disco bianco di carta che Vittorino aveva posto sulla porta d'ingresso proprio per lui e chiese al fratello cosa fosse.
"Eh, caro, vieni domani che te lo dico!" rispose.
Il giorno dopo tornò e chiese ancora il significato di quel segno.
"Ah, sapessi che cos'e ... te lo dirò quando sarai più maturo".
La questione continuò a lungo ed il giovane era sempre più incuriosito, finché esclamò: "Ma insomma! E' già passato un anno e lei non mi dice niente!".
Allora Vittorino gli rivelo: "Questo è il simbolo del Pane Divino, io voglio rendermi presente al Presente assoluto che è Gesù".
Qualche volta durante la guerra, il pane veniva a mancare proprio del tutto e allora si recava dal suo "papà" e gli diceva: " Don Giovanni oggi no gavemo gnente da darghe ai butini..." .
"A mi te me lo disi? - rispondeva l'altro - Dio l'ha volù quest'Opera e Dio provvederà. Va' in ciesa e parlaghene con Lu!".
Vittorino non aggiungeva obiezioni e si recava in chiesa per parlare a Dio della necessità di trovare altro pane, da amico ad amico, proprio come si fa con i confidenti più intimi. E la Provvidenza, in qualche modo, presto o tardi, arrivava.
Poteva trattarsi del regalo inatteso di qualche decina di quintali di grano, oppure delle offerte di amici anonimi o di persone ricche e generose.
Parlare cosi della Provvidenza potrebbe sembrare riduttivo, ma è la realtà di Dio che si manifesta proprio nella semplicità.
Intendiamoci: né don Giovanni, né fratel Vittorino, ne coloro che vivono ancor oggi lo spirito dell' Opera vedono la Provvidenza come un intervento magico che ogni volta corrisponda ai desideri dei suoi figli, sia pure espressi in fervente preghiera.
La Provvidenza è anzitutto dono. E quel "resto" evangelico che viene dato in aggiunta a chi ha fede e a chi "cerca in primo luogo il regno di Dio". Ma quanto e ardua la conquista di questo dono, quanta sofferenza, quanto dolore, quanti sforzi costa il provvedere a quel "resto" per una famiglia cosi numerosa come quella calabriana.
Fratel Vittorino, come don Giovanni, nel cercare la Provvidenza poneva una straordinaria fiducia in un dato molto umano: l'uso dell'intelligenza. Il cervello è la prima Provvidenza, ecco il pensiero di don Calabria filtrato nelle vene dei suoi figli.

11.)  LA CORONCINA ALLA DIVINA PROVVIDENZA
La Provvidenza conosceva la strada per arrivare a San Zeno in Monte: la fede!
Racconta don Calabria che quando l'Opera era all'inizio: " ...un giorno in cui la povertà e l'indigenza si fecero sentire più del solito, io andavo di quando in quando a far visita alla cassetta della posta, per vedere se fosse arrivata un po' di Provvidenza. Così al mattino, alle ore 11, nulla. Raccolsi i Buoni Fanciulli in chiesa e feci recitare la Coroncina della Divina Provvidenza. Poi andai nuovamente ad ispezionare la cassetta della posta: c'erano delle "cartelle di credito" del valore di 5­6.000 lire. Da allora si recita sempre la Coroncina della Divina Provvidenza. ("Don Calabria ed i suoi novizi" ,p.63 11 ottobre 1940)
Spesso, quando mancavano i viveri, fratel Vittorino, insieme ad altri religiosi ed ai ragazzi, all'ora di pranzo si riuniva in chiesa per recitare la Coroncina e certe volte, all'improvviso arrivava la telefonata di un funzionario dell'esercito che diceva: "Siamo pieni di provvigioni da darvi perché aspettavamo un reparto di soldati del reggimento, ma stranamente non e più venuto nessuno. Venite voi a prenderle!".
Ricorda  fratel Vittorino che spesso il Padre per attirare la Provvidenza, si recava in giardino in fondo al terrazzo di San Zeno in Monte e guardando in direzione di Belfiore e Mambrotta, pregava con intensità:
"Santissima Provvidenza di Dio, provvedici!".  Accompagnava questa preghiera aspirando l'aria perché diceva :"sto attirando la Provvidenza col fià" (con il fiato).
Non a caso il fondatore guardava quella zona: proprio da lì (anche se non solo) sarebbero venuti tempo dopo i più grandi benefattori dell'Opera.
Don Calabria non si limitava a pensare ai bisogni materiali. Da quella finestra sul mondo osservava la città con le sue vicende tristi ed allegre e pregava soprattutto per le anime più deboli.
Come un buon padre attendeva il ritorno del figliol prodigo perché tutti i peccatori si convertissero e abbracciassero la Misericordia Divina; era con questo spirito che dal loggiato adiacente il suo studio benediva ogni sera la cara Verona, l'Italia ed il mondo intero.

12.) L'ACQUA A SAN ZENO IN MONTE
Nel periodo della guerra mancò spesso l'acqua in città e quindi anche a San Zeno in Monte. Un giorno una suora telefona dicendo preoccupata: "Fratello, manca l'acqua qui da noi (nella casa di S. Toscana ), non ne arriva neppure una goccia!".
Fratel Vittorino rispose: "Manca anche a San Zeno in Monte, sorella. Non tema, abbia fiducia in Dio e vada a pregare davanti all'Eucarestia. Rimanga là fin quando le dirò che l'acqua è tornata!".
Con fede la suora obbedì e cominciò a recitare un Rosario dietro l'altro, continuando tutta la notte.
Intanto quella sera fratel Vittorino si era recato alle cisterne di fronte alla Casa Madre cominciando a spingere con forza il pistone della pompa da sinistra a destra, in avanti e indietro, invocando:
 "Gesù, Giuseppe, Maria, datemi l'acqua, cosi sia!".
Ad ogni preghiera un goccio di acqua saliva alla cisterna, ma se egli si fermava il flusso si interrompeva.
Cosi trascorse tutta la notte: spingendo ed invocando, ma i serbatoi si riempirono pochissimo ... Verso mattina era ormai esausto e disse: "Gesù se non mi aiuti guarda che io muoio e se io vengo in Paradiso, ricorda che tu devi discendere ad occupare il mio posto quaggiù".
Poco dopo l'acqua arriva con una forza dirompente, le pompe si mossero a grandissima velocità e le cisterne furono riempite in brevissimo tempo.
Il Signore aveva esaudito le sue preghiere!
Poco dopo la suorina telefona, anche lei infatti era stanca, e disse: "Fratello e ormai mattina ed io non ce la faccio più a dire tutti questi Rosari.  C'e l'acqua da voi?". Rispose: "Preghi ancora un po' ed il Signore la esaudirà!" . L'acqua era arrivata miracolosamente a San Zeno in Monte anche se si trovava in un punto molto alto, mentre la città ne era ancora sprovvista.
Solo qualche ora dopo la suora richiamò: "Fratello, e' arrivata l'acqua, e' arrivata".
"Si, anche da noi -rispose Vittorino-.  Ringraziamo il Signore! Ha visto che le sue preghiere hanno ottenuto la grazia?".

***

Talvolta la Provvidenza si faceva attendere e pregare, ma nel momento del bisogno il Signore manifestava il suo amore in modo del tutto speciale.
Vittorino si trovava un giorno nella stanza di don Calabria, quando entro l'economo fra Prospero con aria preoccupata perché si stavano costruendo i laboratori ed altre strutture per i Buoni Fanciulli, ma egli non aveva più soldi.
Allora si rivolse al Padre dicendo:
"Sono due settimane che non pago gli operai... Che cosa posso fare?".
"Che cosa vuoi che ti faccia? Bisogna pregare la Provvidenza! ... Beh, beh, vediamo, ma hai proprio da pagare gli operai? .. Certo bisogna dar loro la mercede".
Così il Padre estrasse dalla tasca un portafoglio piatto e gli batte forte sopra con le mani per tre volte. Quindi tirò fuori dal portafoglio 10 lire, poi altre 10 ed altre ancora.
Vittorino disse: "Padre continui!".
Uscirono ancora 3 banconote da 50 lire l'una. E Vittorino insisteva: "Padre continui, batta ancora che non sono stanco".
Che grande impressione quando dopo le 50 lire uscirono anche i biglietti più grandi da 100 lire, fino ad arrivare alla somma necessaria!

***

Ecco un altro episodio con padre Venturini che testimonia come la Provvidenza lo aiutò a costruire l'Opera del Sacro Cuore a Trento. Giunto a San Zeno in Monte disse a don Calabria:"Padre, ho pagato queste tre rate, non so davvero come ho fatto, ma se non pago quest' ultima adesso va tutto all' aria: perderò tutto!".
Il Padre rispose: "Ah, capisco, capisco.  Ma quell'Opera e' di Dio, sai?".
Quindi tirò fuori il portafoglio e lo batté invocando per tre volte: "Santissima Provvidenza di Dio, provvedici ... ".
E aggiunse: "Ho solo questi soldi, vediamo se arriviamo alla somma". I soldi erano esatti per saldare la rata.

***

Fratel Vittorino ricorda che il vescovo mons. Bacilieri volle provare don Calabria nello spirito di abbandono alla Divina Provvidenza e, visto che era un momento di bisogno per l'Opera, lo invitò a chiedere l'elemosina andando di porta in porta. Il Padre fece un atto di umiltà e di obbedienza al vescovo e andò con don Pedrollo, ma la questua fu infruttuosa.
Così mons. Bacilieri prese atto dell'originalità di questo carisma e diede lui la somma necessaria per affrontare le spese urgenti.

13.) L'USELETO
Nel periodo della guerra avvenne un altro fatto prodigioso. Fratel Vittorino, come aiuto economo, aveva la responsabilità di 13 case dell'Opera ed ogni 15 giorni faceva il menù.
Talvolta la suora cuciniera osservava: "Fratello, non c'è niente da mangiare, come facciamo?".
"Ma benedette suore -rispondeva l'altro- mi assumo io la responsabilità! Io ci penso con la fede e vi faccio il menu, voi dovete solo seguirlo".
Un giorno, però, la cuoca suor Eleonora disse: "Fratello, ne ha delle belle lei con la Provvidenza, ha la mania di preoccuparsi tanto dei giovani, ma io che cosa do a don Calabria se non ho niente?".
"Sorella, abbia fede, grande fede!".
Dopo un'ora venne di nuovo: "Sono le 10 e se non metto qualcosa in pentola, don Calabria non mangerà niente".
"Sorella, abbia fede, grande fede!".
Ritornò agitata per la terza volta: "Guardi fratello che sono le 10:30, che cosa gli do io a don Calabria?".
Il fratello rispose ancora una volta:
"Sorella, abbia fede, grande fede ... La Provvidenza in questo momento ci penserà".
Si udì uno sparo: un cacciatore aveva colpito in pieno uno storlino che stava beccando un'olivetta al di li del recinto della casa. L'uccellino anziché cadere a terra davanti al cacciatore, andò a sbattere contro il muro vicino alla cucina della Casa madre, quindi urtò la spalla della superiora ed infine cadde nella padella della cuoca che, subito, lo cucinò.
Vittorino raccontò il fatto a don Luigi Pedrollo che corse a dirlo al Padre.
All'ora di pranzo la comunità di religiosi si riunì a tavola ed ascoltò il martirologio del giorno, quindi fu servito a don Calabria l'uccelletto con un po' di sugo e la polenta. Il Padre quando lo vide batte col coltello sulla bottiglia per richiamare l'attenzione e disse con voce vibrante:
"Cari fratelli, Poveri Servi della Divina Provvidenza, don Luigi mi ha raccontato un fatto,  se volete insignificante, ma a me ha fatto una grande impressione.
Questa missione che ha l'Opera, quest'Opera di Dio, satana vorrebbe distruggerla ... Guai a noi! Guai a noi se non crediamo alla Provvidenza di Dio!
Questo fatterello e un'indicazione così chiara della sua volontà. Non dobbiamo mai dubitare, altrimenti non resterà pietra su pietra di quest'Opera perché, se noi dubiteremo, il Signore la darà ad altri. ..
Guai a noi Poveri Servi! Comprendete questa missione dell'Opera".
Dopo 20 minuti di sermone, don Calabria assaggiò col coltello l'uccellino e disse: "Ma l'e un po' dureto sto useleto, mi me basta el poceto. Prendilo ti Vittorino. Ho fato rima? Senza pensarghe in sima? Son rimasto n’aseno come prima".
Tutti naturalmente scoppiarono in una salutare risata.

***

Qualche tempo dopo la Casa di Nazareth era ipotecata e don Calabria disse a don Pietro Murari: "Va' davanti a Gesù e stai la finché ti mando a chiamare: dì l'Angelus Domini e prega la Provvidenza" .
Poi il Padre ebbe un'ispirazione e diede l'ordine in portineria di far passare la persona che sarebbe venuta a cercarlo.
Verso l'una si presentò una vecchietta povera nell'aspetto, tanto che le chiesero: "Vuole la carità?".
"No, sono io che devo dare qualcosa a don Calabria ... " rispose quella.
Il portinaio non voleva disturbare il padre, ma lei insistette e quando lui la vide disse: "Avanti, creatura del Signore".
"Padre, avevo fatto voto di donarle questi soldi dopo la morte, ma alle 12,15 ho sentito dentro di me una forza che mi spingeva a portarglieli subito, perché ha più valore donare da viva che non da morta!".

***

Un giorno la suora cuciniera disse a fratel Vittorino: "El se meta la man sul cor: zupa ancò, zupa doman, zupa ancò, zupa doman, pori fioi, i gh'a la mufa!" (Zuppa oggi, zuppa domani, i Buoni Fanciulli si stancano).
"Sorella, batta i cassoni" disse con fede Vittorino, ma le suore presenti si misero a ridere finché suor Carmela, chiese:
"Se mi bato i cassoni, la vien la providenza?".
Vittorino, mettendosi in atteggiamento di meditazione, disse ispirato: "Battete i cassoni che arriverà la Provvidenza!".
I cassoni che contenevano gli alimenti erano 6, ma la suora batte con le mani sopra i primi cinque. Dopo un'ora squillò il telefono: un funzionario dell'ECA (Ente Comunale di Assistenza) disse: "Ho qui quattro quintali di pasta bianca, venga a prenderla subito col suo cavallo misterioso!".
Con quella Provvidenza fratel Vittorino riempi 5 cassoni. Subito arrivò la sorella ed egli le chiese: "Quanti cassoni ha battuto lei?".
"Fratello, credo che la Provvidenza non mi accontenterà perché non ho battuto l'ultimo cassone. Crede che mi punirà? Posso ribatterlo?".
Vittorino esclamò: "Ma benedetta sorella, adesso me lo dice? Allora batta prima il cassone della pasta (quello rimasto vuoto) e poi quello della polenta!".
La Provvidenza si manifestò subito generosamente, infatti telefonò un signore dell'Annonaria  (la cui sede era in una villa oltre San Zeno in Monte, sulle Torricelle) dicendo: "Venga qui col suo cavallo misterioso: ho 2 quintali di pasta, 2 quintali di polenta ed  in più le regalo 2 quintali di patate".
Così tutti i cassoni furono riempiti. Allora Vittorino colse l'occasione per fare una bella predica alle suore dicendo: "Avete visto? La Carmela, con la sua fede semplice, ha ottenuto il miracolo dal Signore ... ".

14.)  LA PATENTE
L'angelo custode mostrò spesso il suo aiuto a fratel Vittorino, ad esempio quando prese la patente: egli infatti desiderava guidare la macchina per portare ai Buoni Fanciulli i viveri che la Provvidenza mandava. Cosi un giorno chiese a don Luigi il permesso di prendere la patente, ma il superiore rifiutò: "No, perché tu hai una missione da compiere e se guidi non avrai più tempo, perché ti faranno autista dell'Opera".
Vittorino suggerì: "Mettiamo un segno: vediamo se il Signore mi aiuta ... ".
Cosi si recò alla scuola guida che si trovava oltre la chiesa di San Fermo per chiedere il Foglio rosa. Dopo un breve dialogo il responsabile obiettò: "Ma lei non sa niente! Bisogna fare la pratica".  Fr. Vittorino salì in macchina e ripete i gesti di guida che aveva visto fare dagli altri confratelli: il Signore gli aveva data il dono della guida.
Poi il  Fratello andò nella Chiesa di San Fermo e davanti all'immagine dell'arcangelo Gabriele disse: "Senti Angelo custode, tu conosci, vero, l'angelo custode dell'ingegnere? Si, vero? Tu che sei bravo, fammi un piacere: digli che mi domandi che cos'e il carburatore che e l'unica cosa che sò ... Io non potevo studiare tutto il libro, altrimenti mi veniva il mal di testa e poi con tutto il lavoro che c'è da fare ... Beh, insomma, tu sai tutto, aiutami!".
Il giorno dell'esame fratel Vittorino andò a Messa nella chiesa di San Tomio e durante l'adorazione eucaristica pregò: "Gesù, per favore, mettiti da parte, porta pazienza, perché io devo parlare col Padre ... Ascolta Padre, Tu sai che i tuoi figli hanno bisogno, aiutami a prendere la patente e concedi che gli angeli si mettano d'accordo ... ".
Andò quindi nella sala sopra l'attuale banca B.N.L. e l'ingegnere comincio ad interrogare i 5 giovani che erano arrivati prima di fratel Vittorino, ma non superarono l'esame, nonostante fossero stati respinti altre volte.
Quando venne il turno di Vittorino, l'esaminatore gli chiese: "Che cos'e il carburatore?".
Fratel Vittorino si voltò verso destra e disse sottovoce: "Grazie angelo custode".
"Che cos'ha detto lei?" chiese minaccioso l'altro. "Ringraziavo il mio angelo custode" spiegò semplicemente Vittorino "Adesso le parlo del carburatore".
Fu l'unico quel giorno a superare la prova. Alla fine quando l'ingegnere stava per arrabbiarsi con gli altri giovani che non avevano saputo rispondere, Vittorino lo fermò prontamente prima che cambiasse idea e disse: "Aspetti, mi metta la firma qui perché io ho saputo tutto!".

***

Vittorino non credeva superficialmente all'angelo custode, ma con tutto il suo essere, a tal punto che sovente ne parlerà all'interno del giornale mensile della Congregazione don Calabria: "L'Amico".
Ecco alcuni brani che ci chiariscono le sue idee in proposito:
"Ognuno di noi più o meno consapevolmente, è autore, scrittore del libro della propria vita, dalla nascita fino all'ultimo respiro. Giorno dopo giorno le pagine di questa libro si riempiono delle nostre storie: azioni buone o meno buone, sentimenti  diversi, incontri, scontri, quante parole.
Se con l'immaginazione scorro le pagine dove c'è il mio passato, scopro che saper scrivere bene il proprio libro non e questione ne' di cultura, ne' di sapienza o furbizia, ma è una questione d'amore, di disponibilità.
Infatti dove il mio cuore e tutto me stesso sono stati servizio e servizio verso il povero (inteso sia materialmente sia spiritualmente), allora la scrittura, l'inchiostro si fa più luminoso. Allora penso: che sia stato il mio angelo custode in persona a scrivere quelle righe? Ricordo d'averlo tanto invocato, pensavo anzi d'averlo al mio fianco quel dato giorno, in quella situazione ... E avanti così, pagina dopo pagina.
A voi dico perciò che se al mattino offriamo la nostra giornata al Signore e la concludiamo con un esame di coscienza ed un ringraziamento, alla fine del giorno il nostro angelo custode sarà felice di scrivere a caratteri luminosi la nostra storia!  Perché dunque non c'impegniamo ogni giorno a riempire quelle pagine di cose buone, piene di luce?
Certo che poi, alla fine della nostra vita, chi leggerà e giudicherà sarà solo Gesù, L'Agnello di Dio. Lui, davanti al trono di Dio Padre, aprirà e leggerà il nostro libro, dando l'interpretazione di ogni nostra azione secondo la sua sapienza e onniscienza, dandone l'approvazione o la condanna.
Penso però che avremo delle grandi sorprese perché è molto difficile conoscere se stessi e tanto più conoscere gli altri, sia nel bene come nella mancanza di bene. Quando ci giudichiamo o giudichiamo i nostri fratelli, penso che l'angelo, alla fine della giornata, cioè della pagina, metta un bel punto di domanda, così quando non amiamo, non perdoniamo, non siamo servizio. Dio ha voluto mettere a fianco dell'uomo un angelo buono, sapendo che il nemico infernale ci avrebbe molestati offrendoci illusioni e distrazioni, per impedirci di riflettere con riconoscenza sulle meraviglie non solo del creato, ma soprattutto del suo amore. Lui, lucifero, ogni momento presenta a ciascuno di noi degli idoli perché adorandoli dimentichiamo Dio. Questo inganno è forte e potente, ma chi non si lascia abbagliare e combatte le insidie del demonio, può contare sull'aiuto del proprio angelo. L'hanno sperimentato i martiri che offrendo la propria vita nei momenti di maggior dolore l'hanno avuto vicino, ma anche quelli non conosciuti o nascosti che ogni giorno hanno riempito le pagine del loro libro con parole di luce.
Purtroppo, però, la missione dell' angelo custode non è compresa e perciò non viene valorizzata come si deve. Vorrei anzi dirvi che se vogliamo incamminarci nella via del bene i primi passi dovremmo farli in sua compagnia. Se però non siamo ancora entrati in confidenza con lui, chiediamo a Maria SS., Regina degli angeli, di farcelo amare, non solo lui, ma anche i tre arcangeli suoi amici: S. Michele, per difenderci dal maligno, Raffaele, medicina di Dio, che curerà le nostre infermità spirituali, e l'arcangelo Gabriele che ci farà comprendere profondamente il messaggio evangelico".
In un'altra occasione Vittorino continua:
"... Caro angelo custode... la nostra amicizia e stata ed e una delle cose più importanti della mia vita, anche adesso, pur col mio carico d'anni e d'esperienze. La confidenza fra noi mi ha portato anche a vedere con gli occhi della mente l'infinito cielo e mi porta diritto dall'uomo di Dio, don Giovanni Calabria (ma, in confidenza, gliel'hai forse suggerito tu?).  E così quell'incontro ha segnato in modo indelebile la mia vita per sempre. Posso dire che da allora la tua presenza si e fatta sentire sempre più forte, più viva.
Un giorno (ricordi?), mentre stavo scendendo le scale con quattro sacchi pieni sulle spalle, suona la campana. Che fare? L'ubbidienza vuole che si corra, ed io, con le spalle curve sotto il peso, mi lancio a precipizio giù dalle scale. E un attimo, mi trovo improvvisamente davanti alla botola dell'ascensore ... Angelo mio custode, dove sei? Un soffio potente viene su dal buco della scala e mi ritrovo sbattuto all'indietro,  ma salvo. Gra­zie! Se non Fosse stato per quel tuo intervento, chissà...
E da quel giorno la nostra amicizia  si è, come dire, rinsaldata, e andata avanti in un continuo crescendo ...
Bene ragazzi, provate anche voi. Vi assicuro: un'amicizia col vostro angelo custode non potrà che darvi allegria e speranza . Credete, fate esperienza e poi ne riparleremo".

15)  INCORAGGIARE LA PROVVIDENZA
Vittorino cercava anche d'incoraggiare la Provvidenza andando a ripulire tutti i granai delle persone ricche per raccogliere carta, stracci, ferro e poi rivenderli. Succedeva così che talvolta questi signori gli davano una mancia o della farina come ricompensa. Una volta ricevette addirittura 10 quintali di frumento. Un giorno l'avvocato Stoia si rivolse al fratello per un consiglio: "Ho quattro soci che vorrebbero dividere il loro camion rimorchio in quattro parti per avere i soldi, ma per rimediare li ho convinti a regalarlo a Lei".
Fratel Vittorino accettò quel dono inaspettato, vendette il rimorchio e diede i soldi a Stoia perché liquidasse i quattro soci. Tutti furono soddisfatti.
In seguito Vittorino dovette prendere poi la patente per i mezzi pesanti.
Quando l'ingegnere della Motorizzazione Civile lo rivide disse: "Lei non e ignorante, sa tutto!".
"Mi domandi qualcosa" aggiunse Vittorino. "Che differenza c'è tra i camion?". "Ci sono quelli che vanno a benzina ed altri a diesel". Ancora una volta gli angeli custodi si erano messi d'accordo.
Col nuovo camion fratel  Vittorino si recò dal sig. Guaita, direttore dei Magazzini Generali, per chiedergli dello scarto di maiale per fare i salami. Fu accontentato ed in più ricevette anche alimenti.
In seguito Vittorino attraversò Piazza Brà chiedendo se qualcuno avesse degli avanzi da regalare ... Riempi il camion con 200 quintali di viveri e tornato a San Zeno in Monte suonò le campane a festa.

***

In un'altra occasione Vittorino, appena uscito dal collegio di Madonna di Campagna, riconobbe sul sagrato del Santuario il figlio di una benefattrice di San Zeno. Contrariamente a quanto era solito fare con lui, il giovane finse di non vederlo e andò per i fatti suoi.
Il fratello capì subito che c'era qualcosa che non andava e si ricordò di dover restituire il prestito fattogli dalla madre del giovane. Era infatti passato diverso tempo dalla scadenza. Si ripromise che, tornato a casa, avrebbe chiesto all'economo fratel Francesco di pagare subito quel vecchio debito.
Invece, arrivato a San Zeno, fratel Francesco lo mandò a chiamare e gli disse di prendere i soldi nel cassetto perché erano pochi per pagare le spese di quel giorno. Secondo il fratello economo, infatti, erano questi ad impedire l'arrivo della Provvidenza che gli serviva.
"Finché i denari sono qui fermi, non arriverà mai la somma che ci occorre" commentava il buon economo.
Vittorino li conto: la cifra era giusta per saldare il debito al giovane intravisto alla Madonna di Campagna.
Vittorino lo riferì a fratel Francesco che se ne compiacque, sicuro che la somma maggiore che gli occorreva sarebbe presto arrivata. Infatti in portineria proprio in quel momento un anonimo benefattore lasciò una ricca offerta.
L'indomani Vittorino si presentò a casa del ragazzo. L'accolse la madre sbalordita: "L'halo portà qua un angelo del Signore?".
Vittorino pensò si trattasse di un complimento esagerato per risparmiargli una brutta figura, invece la signora spiegò: "Deve sapere, fratello, che mio figlio s'è già fato "novisso" (promesso sposo) e si trova obbligato a spese che non quadrano con i nostri bilanci.
L'altro ieri mi disse: -Se non rientrano i soldi prestati, non mi sposo più!-. Lei può ben capire la gioia di una mamma nel vedere risolversi una situazione incresciosa.  E stato proprio mandato dal Signore!".

16.) CARITA' A TUTTO CAMPO
Don Calabria aiutò anche i perseguitati politici nascondendoli nelle sue case, accogliendo italiani, ebrei, stranieri.
Ricorda che ospitò alcune suore di p. Filippo Bardellini, la cui casa aveva subito un disastroso bombardamento. Accolse pure a Nazareth mons. Manzini e tutto l'istituto don Mazza con un centinaio di ragazzi ed alcuni studenti del don Bosco, trattando tutti i giovani come i Buoni Fanciulli.  La famiglia di don Calabria non aveva né porte né finestre, anzi cercava di abbatterle per creare unità tra i cristiani.
Lo preciserà Vittorino anni dopo con questa ricordo:
"Don Giovanni, mio padre nella fede, sentiva in modo particolare il problema dell'ecumenismo. Vorrei dire che lui, per il suo tempo, e stato quasi un pioniere in questa senso e per questo ha tanto sofferto, pregato e cercato di rendere sensibili soprattutto noi suoi figli. Ripensando a lui mi sembra di rivederlo quando usciva dalla sacrestia diretto verso l'altare per la benedizione, avvolto dal piviale.
Io, noi, in quei momenti, pur consapevoli di essere alla presenza del Signore Onnipotente, tuttavia, mentre si avvicinava per prendere l'Ostensorio, sentivamo o meglio percepivamo un qualche cosa di strano. 
Sì, era come se lui fosse coperto dalla presenza del Signore, dal piviale del suo amore: non era lui, ma era Cristo in lui.
Ed ogni volta era come un avvenimento nuovo, una forza nuova, che trasmetteva a quelli che riuscivano a mettersi in sintonia. Per noi era sempre una grande gioia. Desideravamo, aspettavamo quasi col cuore in gola, che dalla sacrestia uscisse quel piccolo corteo ed infine don Calabria che lentamente e profondamente si avviava verso l'altare.  Perché, mi chiedo, gioivamo tanto quando potevamo avvicinarlo o anche solo vederlo?
Perché ogni volta vedevamo un uomo innamorato di Dio che, sotto il peso di grandi sofferenze, tutto accettava e offriva per amore della Chiesa, della sua Chiesa.
Sentivamo allora uscire da lui una forza che lo sosteneva e sospingeva in quel suo cammino doloroso. Capivamo inoltre che questa forza era certamente nutrita dal suo grande desiderio e volontà di unità.
Che insegnamento era per noi ogni suo atteggiamento, anche il più semplice! Quanto più lui cercava di mettersi in relazione col Padre, tanto più aumentavano in lui la ricerca ed il desiderio di unione con gli altri, soprattutto all'interno della chiesa e fra le diverse chiese…"

17.) DISCORSO DI FRATEL VITTORINO ALLA COMUNITA'
Don Calabria desiderava che nell'opera ci fosse un'assoluta parità di diritti tra sacerdoti e fratelli interni, per questo voleva che ciascun religioso parlasse a turno nella propria comunità.
Quindi nel 1945 disse a Vittorino: "Tu devi parlare ai religiosi".
"Ma Padre non sono capace" obiettò il fratello.
"Don Luigi ti preparerà un discorsetto. Devi obbedire!".
Il suo turno fù nel febbraio 1945. Benché fratel Vittorino fosse stato maestro di dottrina cristiana alle scuole elementari del suo paese, in quel momento non gli fù di alcuna utilità e così don Luigi Pedrollo gli diede alcuni spunti che lo lasciarono un po' perplesso, quindi decise di andare in chiesa per avere una luce.
Entrò facendo un segno di Croce ed abbozzando una genuflessione, perché impedito dai dolori, specie alle ginocchia, a causa del duro lavoro. Manifestò al Signore la sua sofferenza lamentandosi:
"Parchè te me ghè creà?" (Perchè mi hai creato?).  
Sentiva Gesù che gli suggeriva nel cuore: "Ma che maniere hai Vittorino di parlarmi in questo modo?".
Come un lampo gli balenò nella mente una risposta del catechismo: "Per quale fine Dio ti ha creato? Per conoscerlo, amarlo, servirlo e poi goderlo in Paradiso".
Gesù aveva risposto.
Non contento Vittorino chiese nuovamente: "Perché mi hai voluto nell' Opera?".   In quel momento di intimità divina il diavolo tentò di distrarlo suggerendogli di andare in cucina per controllare che non mancasse nulla, ma il religioso:
"Ehi, lasciami stare, va' via!" disse.
Quello insinuò: "Ma è tardi, guarda l'orologio". "Lasciami stare - egli ripeté -, vattene via!". Finalmente poté riprendere la preghiera.
Dopo mezz'ora all'improvviso la sua mente venne illuminata da un altro pensiero: gli sembrò di vedere una sorgente luminosa e zampillante la cui acqua ricadeva in una conca. Da li si diramavano numerosi canali che irrigavano il terreno, durante il percorso, però, alcuni si seccavano. Allora gli sovvennero le parole del Padre: "Vi raccomando: siate conche e canali; che tutta la povera umanità possa venire liberamente a bere le acque pure e genuine del Santo Vangelo, siate voi Vangeli viventi".
Con la visione ebbe anche la spiegazione: don Calabria era il canale principale, colmo d'acqua, i religiosi buoni erano i canali abbondanti, invece quelli brontoloni e pettegoli erano acqua stagnante ... Per i religiosi che danno scandalo, invece, vale la frase evangelica: "Meglio che si leghino al collo una macina e si gettino nel mare" perché il canale della loro vita di pietà è inaridito.
Questa fu l'ispirazione che nel febbraio 1945 permise a fratel Vittorino di parlare ai religiosi sulla vocazione, ma, non potendo scrivere, chiese ad un confratello di annotare queste idee. Quel giorno concluse la conferenza con le parole di don Calabria: "Se saremo uniti e crederemo con forza, otterremo la pace, perché l'Opera e stata fatta per la chiesa e per il mondo e noi dobbiamo santificare noi stessi!".

18. RAPPORTI CON LA FAMIGLIA
L'impegno di Vittorino nell'Opera don Calabria non gli fece dimenticare i legami familiari che anzi curava in ogni occasione.
Ne è un esempio il discorso pronunciato per la festa, da lui organizzata alla fine della seconda guerra mondiale, per ringraziare il Signore di aver preservato tutti i membri della famiglia Faccia da eccessivi dispiaceri:
"Domenica 19 agosto 1945. Giorno di grande festa in famiglia, di ringraziamento e di gioia. Miei cari genitori e fratelli, colgo questa occasione per dirvi una parola che spontaneamente parte dal cuore per voi amatissimi genitori e per tutti i miei cari fratelli e sorelle. Sia una parola di ringraziamento a Dio e d'incoraggiamento al bene. E' giusto che io come religioso abbia a dirvi in questa occasione bellissima una parola, tanto più che sarà ben difficile trovare un'altra volta tutti così uniti.
Per prima sia una parola di ringraziamento alla Divina Provvidenza. Dopo una tale burrasca di guerra, oggi ci troviamo tutti attorno ai nostri cari genitori ed e ben giusto che tutti siamo riconoscenti a Dio di questa grande grazia. Dov'è una famiglia che sia rimasta illesa da ogni male di morte od altra disgrazia? La nostra numerosissima famiglia non deve lamentarsi di nulla e quindi alziamo il nostro sguardo di riconoscenza al Cielo e il nostro miglior ringraziamento sia vivere una vita veramente cristiana.
Nella casa della Divina Provvidenza vi posso dire che con mano ho toccato i miracoli, specialmente negli ultimi anni di questa diabolica guerra. Davanti a tali grazie si rimaneva assorti in Dio nel vedere la sua bontà e misericordia. Però anche tutti voi potete dire di aver toccato la grazia ed il miracolo di Dio, specialmente voi fratelli dispersi nel mondo.
Non potevamo passare una più bella giornata di questa. Oggi tutto il Paradiso si unisce a noi perché riflettiamo la grazia avendoci tutti accostati ai SS. Sacramenti. Quanta consolazione per noi accostarci al banchetto Eucaristico, infervorati dalla calda parola di mons. Arciprete. Qui è la sostanza della nostra Festa e della nostra gioia.
Di cuore vi ringrazio per avermi accontentato nell'accostarvi ai SS. Sacramenti soddisfacendo così ad una promessa che io feci e che subito vi racconto.
Un giorno nella Santa Messa, durante il solenne momento della Consacrazione, feci questa preghiera: - Gesù, concedimi che tutti i miei fratelli rimangano illesi con tutta la famiglia ed i suoi beni e quel giorno in cui potremo unirci sarà un giorno di ringraziamento nel quale tutti ci accosteremo al benefico e splendido banchetto Eucaristico-.
Quanto a me sento il bisogno anche di ringraziare il Signore per la specialissima grazia che mi ha fatto col chiamarmi alla vita religiosa in una santissima sua Casa. E' un gran dono ed una grande benedizione anche per tutti voi. Quello che più importa e per cui vi scongiuro di pregare ogni giorno è che io corrisponda a questa grazia santificandomi per poi santificare tutte le anime, specialmente quelle che avvicino. Cosi attirerò grazie e benedizioni su tutti i fratelli e sorelle e in special modo su voi miei amati e cari genitori.
Ringraziate dunque anche voi il buon Dio di avere un' anima consacrata a lui e siate orgogliosi di avere un fratello e un figliolo o più figlioli che si donano interamente a Dio.
Tutte le strade conducono a lui. La vita religiosa è la migliore, ma anche quella del matrimonio e meravigliosa e bella.
Auguro a voi fratelli, specialmente più anziani, di formarvi una famiglia sana e cristiana, imitando i nostri genitori di cui non possiamo dire che bene. Come dobbiamo essere orgogliosi di avere anime che si consacrano al Signore, così pure dobbiamo essere orgogliosi di avere genitori sani e cristiani che per noi danno tutte le loro energie con un continuo ed intenso lavoro, materiale e morale. Per loro merito tutti possiamo dire di essere cresciuti senza conoscere il male. Noi fratelli tutti cerchiamo di conservare la buona educazione ricevuta e di trasmetterla agli altri.
Il Signore benedica questa famiglia e mai l'abbandoni nei suoi bisogni materiali e spirituali, anche per merito del papà e della mamma. Per questo è giusto che ci dimostriamo a loro riconoscenti aiutandoli e gareggiando nell'amarli ...
Il mondo ha bisogno di famiglie sane... Sia questo un nostro impegno formale ...
Finisco con l'augurare a tutti una vita veramente cristiana, dopo la quale che tutti ci ritroviamo uniti, come lo siamo ora, nel santo Paradiso ... Per carità: che nessuno di noi manchi in quel luogo, dove ci aspettano i nostri santi fratellini!
Ce ne sia garanzia la benedizione che il mio Veneratissimo Padre di gran cuore ci invia ... ".
Proprio questo attaccamento alla famiglia unito alla speranza cristiana, porterà Vittorino ad essere il consolatore dei fratelli nei momenti più tragici della loro esistenza. Lo scopriamo soprattutto alla morte della madre
Nel 1949, infatti, un tumore al fegato fece passare nella casa celeste la cara mamma Geltrude. Ella da tempo soffriva di nascosto e non si lamentava delle continue iniezioni a cui era costretta. Per aiutarla, Vittorino si era recato a Monte Berico a chiedere la grazia. Poi con altri fratelli fece un pellegrinaggio a piedi fino al piccolo santuario della Madonna di Terrazzetta, lontano 8 chilometri dall'abitazione. Davanti a tutti Vittorino recitava il Rosario ad alta voce con il suo vocione e tutti lo guardavano, ma lui non se ne curava.
Lui trasformava tutti i funerali dalla tristezza in festa, perciò quando morì la mamma consolò tutti i fratelli.
"Tu Imelda, cossa gheto sentìo?" chiese alla sorella dopo la cerimonia funebre.
"Una musica" rispose l'altra.
"Anca mi go sentio una musica". E Vittotino si mise d'accordo con la sorella Maria per far trovare a tutti la tavola imbandita quando tornarono a casa.
Quando un'anima santa entra nel regno di Dio, si sente dentro la gioia. Papa Giovanni XXIII diceva: "Gli ottimisti qualche volta sbagliano, ma i pessimisti sbagliano sempre!".

19.) AIUTO ECONOMO
Dopo la guerra Vittorino venne chiamato ad aiutare l'economo generale fratel Prospero. Certo i suoi modi erano originali.
Ad esempio si coricava sopra le scorte di grano e pregava perché i sacchi raddoppiassero in modo da avere sempre cibo a disposizione per sfamare tutti i ragazzi ed i religiosi dell'Opera. Una famiglia di Cerea decise di regalare 100 q di frumento, ma Vittorino doveva arrangiarsi per andare, per insaccarlo e caricarlo sul camion senza alcun aiuto. Non s'intimidì per il gravoso lavoro e in una giornata fece tutto da solo.
Come vice economo s'ingegnava per aumentare le entrare a favore dell'Opera. Andava con alcuni studenti nelle aziende agricole di sua conoscenza per spigolare la frutta, le patate, la polenta e il frumento.
L'idea che permise a Vittorino di risolvere definitivamente i problemi alimentari della Congregazione gli venne quando per caso affida ad uno zio un vitellino che un benefattore aveva regalato alla Congregazione. Lo zio lo alleva gratuitamente e quando il vitello fu pronto per il macello lo riconsegnò al nipote.
Altri benefattori regalavano vitellini all'Opera. Che farne? La fame era tanta e si potevano macellare subito per regalare qualche giorno di festa ai 900 ragazzi della Congregazione, ma ecco cosa disse Vittorino a don Calabria:  "Se invece di macellarli li diamo in custodia ad alcuni contadini della zona, che ce li tengano per la carità del Signore e ce li crescano e li riconsegnino una volta adulti, non sarebbe meglio? Una bestia in più in stalla è come un figlio in più: qualcosa da mangiare glie lo si trova sempre".
Eccoli allora i Poveri Servi e Vittorino per primo, girare in gran largo le fattorie della provincia a proporre le loro bestie per le grandi tenute e per le piccole stalle, a contadini che, incontrando tanta semplicità e tanto candore, finivano per accollarsele come una benedizione. ''L'e la bestia del don Calabria par sfamar quei pori buteleti... se la tiro su me andrà mejo anca el me racolto". E quando era pronta i Poveri Servi se la portavano via con ringraziamenti reciproci.
Col tempo fratel Vittorino, appoggiato da un'azienda olandese che provvedeva i vitelli, arrivò ad avere 600 capi di bestiame sparsi in diverse fattorie pur non avendo alcun documento scritto. Teneva tutto a mente e si ricordava i tempi di consegna. Quando poi arrivava il momento di ritirarli, mandava un volontario con un camion. Aveva un eccezionale senso dell'orientamento per cui si ricordava strade e indirizzi anche a distanza di anni.
Grazie alla sua frenetica attività di economo riuscì a sfamare per tutti quegli anni le 900 persone che gravitavano attorno a tutte le 13 Case dell'Opera ed a ottenere denari sufficienti per pagare lo stipendio dei numerosi insegnanti assunti dalla Congregazione.
Entrava nelle case per prendersi la Provvidenza, ma quanta dava in cambio!
Gli affari ed i problemi di ogni contadino erano anche i suoi. Dava consigli in economia e in gestione aziendale che si sono sempre rivelati adeguati e utili.
I Superiori dell'Opera riconoscevano i meriti della sua attività, ma alcuni non gli risparmiavano critiche su questioni formali. Ad esempio se dopo un giorno di lavoro in giro con il camion ritardava nel rientrare a San Zeno, veniva ripreso perché non rispettava gli orari.
Il bene, comunque, non poteva essere fermato da semplici invidie e spesso otteneva, col tempo, molto più di quanto si aspettava. Ecco la testimonianza di Giuseppe Todeschini:
"Italo bestemmiava molto e frequentava assai raramente la chiesa, Vittorino lo salutava ma non aveva buoni rapporti con lui. Inoltre non gli chiedeva aiuto per l'allevamento dei vitelli, dato che aveva una stalla con solo due mucche.
Un giorno fu il contadino a prendere l'iniziativa: "Lu -disse- el va sempre dai siori, da noiltri pitochi nol vien mai, ai siori si el ghe da la bestia, a mi nol me la da".
Il religioso con calma rispose: "Eh, Italo, la bestia la costa mantegnerla"
"Volo che mi non sia mia bon de mantegner una bestia par lu?"
Vittorino pensò: "Tante chiacchiere e pochi fatti, mettiamolo alla prova"
Prese una delle bestie più mal ridotte che aveva e la consegnò allo strano allevatore. Italo volle cosi bene all'animale adottato e lo seguì con tale attenzione che al ritorno Vittorino non la riconobbe più a causa del suo grande sviluppo.
Da allora i rapporti tra i due uomini migliorarono a tal punto che incontrandosi discutevano volentieri dei diversi problemi della vita.
Anni dopo, però, Italo si ammalò di un tumore alla gola e fu ricoverato all'ospedale di Zevio con poche speranze di guarigione. Alle 5 della sera fratel Vittorino andò a trovarlo con un sacerdote per somministrargli l'estrema unzione. Al termine della cerimonia tutti uscirono dalla camera e il fratello si trovò solo con l'ammalato agonizzante.
Gli prese la mano e senti il moribondo che con Fatica sussurrava:"Mi che son un pecatore go salva la so bestia, lu chel ze un santo elo mia bon de guarirme mi?"
Nessuno sa cosa successe dopo, fatto stà che Italo non morì e visse per altri vent' anni non bestemmiando più e frequentando la chiesa.

***

Fratel Vittorino divenne instancabile: era a tempo pieno, notte e giorno, il corridore, il burattino nelle mani di Dio, come lui preferiva umilmente definirsi. Portava i doni e portava le parole. Quando arrivava in una delle Case, là era una festa. I ragazzi si radunavano nel cortile dei giochi, lui saliva su un palco improvvisato e distribuiva a piene mani quelle sue caramelle che sempre si portava e si porterà dietro fino agli ultimi giorni: il più modesto dei regali, ma anche il più semplice e allegro degli approcci.
Un gesto, il simbolo di un rapporto che non poteva non farsi subito confidenziale e fraterno. Le caramelle gliele regalavano gli amici ed i conoscenti e lui (a meno che fosse Quaresima, cioè tempo di penitenza) le ridistribuiva a distinti banchieri ed imprenditori, a professionisti di fama, alla gente umile, ai disoccupati, agli ammalati. Era uno dei suoi modi particolari di rompere il diaframma che separa le persone. Poi venivano le parole e l'uomo si trasformava da burattino ad apostolo.

20.)  LA CASA DI SAN GIACOMO
Don Calabria prima di prendere una decisione, pregava a lungo, chiedeva dei segni per essere sicuro della Volontà di Dio, inoltre domandava consigli alle persone competenti.
Cosi avvenne anche per la donazione della Casa di San Giacomo al Vago di Lavagno, che nel XIV secolo era stata costruita come santuario dedicato a San Giacomo Apostolo.
La proprietà passò attraverso vari ordini religiosi fino ad arrivare in mano alla famiglia Battiato che ristrutturò il complesso per donarlo a don Calabria.
Il padre, però, rifiutò.
La famiglia Battiato proveniva dalla Sicilia ed il capofamiglia, cav.uff. Ignazio, era il più grande commercialista di Milano, consigliere della FIAT e della Innocenti. Si era innamorato di San Giacomo, del suo splendido complesso. L'aveva acquistato nel 1930 insieme ad altri 200 campi. C'era solo la villa in alto sulla collina e vi ospitava, dopo la guerra, artisti di qualsiasi genere (ricordiamo in particolare il pittore Pio Semeghini), che lo ricambiavano offrendogli gratis le loro opere d'arte.
Nei primi anni '50 senti un'ispirazione che gli suggeriva di regalare la villa a don Calabria. Abitando a Milano, non conosceva personalmente questa Congregazione, mentre vi erano i rappresentanti dell'Istituto Don Mazza, del don Bosco e di altre Congregazioni che insistevano perché cedesse loro quella proprietà.
Nell'indecisione, il cav. Battiato volle recarsi a Verona per conoscere chi fosse don Giovanni Calabria.
Dopo un breve colloquio con lui, si convinse della bontà dell'Opera e gli propose di acquisire gratuitamente la proprietà di San Giacomo. Don Calabria rifiutò.
Sconcertato, il cavaliere pensava così di aver eliminato un pretendente, ma la coscienza continuava a dirgli di insistere su quella strada.
Nel 1949 tornò da don Calabria e lo invitò a visitare il luogo per convincersi.  A San Giacomo il santo prete esclamò: "Viste la sua insistenza e la sua fede accetto, però sappia che mi costa sangue!"
Nessuno seppe mai spiegarsi il perché di un simile atteggiamento. Vittorino faceva l'ipotesi che essendo stato un ambiente piuttosto libertino, il padre non lo ritenesse adatto all'Opera.
Avvenuto il passaggio di proprietà, i religiosi vi entrarono il 25 luglio 1951, festa del Santo Patrono. Don Calabria, ispirato, lo stesso giorno dell'inaugurazione, scrisse una lettera profetica a don Luigi Pedrollo:

"Con la grazia del Signore, con la benedizione dell'Ecc. Vescovo, si inizia codesta nuova aiuola della Provvidenza, secondo lo spirito dell'Opera, nell'umiltà e nel nascondimento, ma anche nell'esultanza del cuore ...
Ed egli manifesterà gradatamente il suo beneplacito ed i suoi disegni. E saranno certo disegni appropriati ai tempi difficili che attraversiamo, per portare luce e amore secondo lo spirito puro e genuino della Casa, per il trionfo del Santo Evangelo ...
Mi sento che non a caso il Signore mette mano a codesta aiuola della sua Provvidenza sotto gli auspici del grande Apostolo San Giacomo. E uno dei tre che hanno avuto predilezioni speciali dalla bontà di Gesù ed ha lavorato grandemente in lungo e in largo con un intenso apostolato ... esteso fino alla Spagna. Che cosa ha cercato San Giacomo? Di far conoscere il Signore a tanti popoli, di diffondere la legge evangelica dell'amore fra la gente. Ed è passato alla storia come uno dei più famosi nell'opera di evangelizzazione. Così, certamente, il Signore ci chiama ad imitare questo grande apostolo, ad emulare il suo zelo per il regno di Dio e la salvezza delle anime. I Poveri Servi non hanno altro programma che questa e si sforzeranno di attuarlo secondo lo spirito messo dal Signore nella sua Opera.
Oh, beati coloro che comprendono la nobiltà nell'aiutare le Opere di Dio! Beati coloro che si fanno degni ministri per l'esecuzione dei divini disegni! Che bel premio si acquista per il Paradiso e che grandi benedizioni per la terra! Il grande Santo Apostolo prenda oggi più che mai sotto la sua protezione la divina semente che nel nome di Dio viene gettata in codesta aiuola che e a Lui intitolata. E con la sua intercessione ot­tenga aiuti e grazie per corrispondere a tutto quello che il Signore vorrà.
La benedizione di Dio, per intercessione di San Giacomo Apostolo, scenda sui ministri della Provvidenza e faccia loro pregustare la soddisfazione del bene che verrà operata da codesto luogo santo.
Oh, quanto è bello questo colle! Esso e davvero luogo santo, casa del Signore e porta del Ciclo".

Ricorda fratel Vittorino che, per ordine del confessore, don Calabria si recò più volte in macchina sul colle e un giorno, davanti al loggiato del convento, profetizzo: "Questo sarà un grande faro di luce". Tempo dopo anche il Card. Urbani di Venezia avrebbe espresso le medesime parole senza sapere quello che il padre aveva detto.
Don Calabria fece sistemare la casa di San Giacomo come luogo di ritiro per incontri spirituali e come rettoria per la sottostante zona abitata.
Una piccola comunità di sacerdoti e fratelli venne delegata a gestire la nuova casa e fu nominato Superiore padre Leone Zinaghi.
Nel 1954, dopo una visita alla casa di San Giacomo, don Calabria discendeva dal colle col dottor Parolari ed il dottor Vantini, salutava l'immagine della Madonna Immacolata nel capitello, faceva fermare l'automobile all'altezza dell'attuale portineria dove si trova la Casa d'Incontri.
Allora in quel luogo si vedevano solo sassi ed il 25 luglio, Festa dell'Apostolo, si faceva la sagra e c'era una bancarella che vendeva le angurie.
Eppure egli profetizzò: "Qui sorgeranno incontri d'anime!".  Solo dopo alcuni anni dalla realizzazione della Casa d'Incontri, Vittorino seppe di questa profezia.

21.) LA NOTTE COL PADRE
Dopo la seconda guerra mondiale, sotto l'onda del secolarismo e del materialismo, don Calabria sentiva che il mondo si stava scristianizzando e sottolineò che il Povero Servo doveva testimoniare il suo spirito: "Ravvivare nel mondo la fede nella Paternità di Dio, la fiducia ed il filiale abbandono alla sua Divina Provvidenza: ecco il fine speciale della nostra Opera, ecco il principale nostro dovere. Ma non possiamo ravvivare nel mondo questa fiamma se prima non arde in noi". (9)
Era quello che fratel Vittorino cercava di attuare, soprattutto durante il suo ruolo di economo.
Coloro che compresero maggiormente il fondatore e che gli furono vicini in quei momenti difficili, erano fratel Vittorino e fratel Ottone Graziadei, verso il quale don Calabria così si espresse: "E' Ottone, ma è d'oro".
In seguito don Calabria confidò a fratel Vittorino con tristezza: "Sai, il Consiglio vorrebbe mandarmi in manicomio".
Allora Ottone e Vittorino fecero pressione perché i superiori non lo ricoverassero ne a Negrar ne in ospedale psichiatrico, infatti avevano compreso che il padre era un grande mistico, provato come Giobbe e che come San Giovanni della Croce stava attraversando le prove della notte oscura.
Così riuscirono a farlo rimanere a San Zeno in Monte. Intanto don Calabria scriveva nel suo Diario il 14 aprile 1950: "Sono giorni di continue sofferenze, che solo Gesù può misurare, umanamente parlando mi sento venir meno, vivo nell'oscurità più profonda, nell'aridità più acuta. Oh, Gesù, dove siete? Siate con me, perché la sofferenza Voi Dio mio, l'avete provata. Gesù aiutami. Tutto con la Grazia Vostra, per la mia povera anima, per l'Opera, per il mondo che torni cristiano!".
Provato dalla malattia, il 5 ottobre 1950 consegnò una lettera a don Luigi Pedrollo con la quale gli conferiva la piena delega a "rappresentarlo nel governo della diletta Congregazione".
Le sue sofferenze fisiche l'anno successivo furono aggravate da due cataratte agli occhi che lo resero quasi cieco.
Per sollevare il padre da questa situazione, fratel Vittorino promosse una novena per la festa di Pentecoste, al fine di ottenere la sua guarigione.
Corse quindi per tutte le Case dell'Opera: San Benedetto, Nazareth, Maguzzano, Ronca, Santa Toscana e portava i ragazzi di Verona, a gruppi di Quaranta (erano 120 in tutto), ai piedi della Madonna di San Zeno in Monte.
Pensava: "Noi che siamo suoi figli dobbiamo guarire il nostro padre, non possiamo lasciarlo cosi!".
In quei giorni cercò di stargli vicino il più possibile e fece esperienza delle sue sofferenze offerte per il mondo e la situazione grave in cui versava la Chiesa.
Quando Vittorino faceva la Comunione, al termine della Santa Messa, don Calabria spesso lo chiamava dalla cantoria per avere un conforto e sussurrava "ssst". Certamente aveva il dono di sentire la presenza del fratello anche se non poteva vederlo.
Verso la fine della Novena, un giorno Vittorino gli disse:
"Padre, mi dia il mantello che ha sulle spalle, quello della sofferenza, me lo prendo io ... ".
Per amore desiderava fare sua la croce del Superiore. Giunse infine la domenica di Pentecoste, 13 maggio 1951: i religiosi si recarono in chiesa per la Santa Messa, Vittorino era con loro e portava nel cuore la certezza che, grazie alla potente preghiera dei giovani, don Giovanni sarebbe guarito.
Prima di leggere il Vangelo, mentre l'assemblea intonava il "Magnificat", egli ebbe un impulso che lo spinse a correre da don Calabria e bussò alla sua porta.
Subito lo accolse dicendo:
"Avanti, avanti. Grazie sai, che hai fatto pregare tutti. Me l'ha detto Gesù!"
"Padre, abbiamo fatto questa novena con tanta fede!". "Prega Vittorino, c'è bisogno di pregare, apri con me la preghiera della chiesa, è la prima volta che leggo il breviario dopo tanto tempo ... Ho fatto la Comunione sai? Gesù è venuto da me. Apri ora anche tu l'Ufficio e rispondimi".
Cominciarono a leggere ...
"Ma che becanoti che te disi, Vitorino" (Ma che errori che dici ... ) osservò il Padre.
"Padre, non ho studiato". "Beh, beh, tuto fa brodo".
Tale episodio di guarigione prodigiosa è attestato anche da don Pedrollo che nel suo diario scrive il 20 maggio 1951: "Don Giovanni e rinato! Deo gratias!".
E don Calabria, riprendendo il diario, scrisse il 22 maggio 1951: "Sia ringraziato il Signore che dopo tanti mesi di sofferenza mi ha concesso un po' di tregua ... Sento quanto Gesù vuole quest'Opera ... Oggi ho fatto la mia confessione e nella mia miseria grande sento quanto Gesù mi ama".
Infatti il Padre poté riprendere tranquillamente la sua attività apostolica con una forza ed una gioia insperate!

***

Nel 1953, però, le prove si intensificarono: già dal 1914 don Calabria aveva chiesto che un religioso gli rimanesse vicino durante la notte a motivo delle sue sofferenze e anche perché il diavolo si manifesta ai santi soprattutto nell'oscurità. Purtroppo don Pedrollo non concesse a fratel Vittorino il privilegio di assisterlo perché era troppo sensibile di fronte alle sofferenze, quindi gli disse: "Vittorino, ti no te pol star visin al Padre parchè se no te mori" (Vittorino, tu non puoi stare vicino al Padre, altrimenti muori).
Il 4 dicembre 1954 don Giovanni morì lasciando la guida della Congregazione a don Luigi Pedrollo.

22.) LE PROVE DELLA VITA
Fratel Vittorino capiva di non poter evitare la sofferenza durante la vita terrena, per cui non si stupiva delle prove che devono sopportare le persone più vicine a Dio.
Lo scriverà chiaramente più tardi nel giornale della Congregazione:
" ... Vorrei che voi giovani (e meno giovani) capiste il valore della prova e questa non e facile, ma vi assicuro, per la mia esperienza, che molto spesso la prova e un dono mirabile, una profonda grazia, e non una disgrazia (come comunemente si e portati a pensare).
Se, appoggiandoci al Signore, sapremo superare varie prove e sperimentare qualche vittoria, stiamo certi che, come dice San Paolo, l'accettazione e la pazienza produrranno la fortezza, la quale darà vigore alla nostra fede. Ma se chiudendomi in me stesso nego il mio "Si" al Signore e rifiuto di aderire con fiducia alla sua volontà quando questa si fa difficile e misteriosa, allora la prova fa di me tutto ciò che vuole, impedisce cioè che la presenza del Signore penetri dentro di me, mi toglie la luce.
Non ribellandoci alla permissione di Dio e guardando il nostro fratello maggiore Gesù, la croce si trasforma in luce e voce, rendendoci liberi per essere fino in fondo noi stessi. Vi ripeto: il nostro "Si", la nostra adesione al divino volere, proprio perché siamo poveri e limitati, fa si che la pianta selvatica della nostra personalità dia buoni frutti. Il "Si" infatti è come un desiderio profondo che, accettando la comunione con il Padre, s'innesta all'albero della vita e si trasforma in frutto saporito. I nostri limiti, se accettati, diventano alimento per la nostra vita che la generosità di Dio fa fiorire in ogni stagione, come un buon albero, purché il terreno sia docile e disponibile.
Al contrario, la prova non accettata diventa un desiderio represso, una speranza mortificata, spegnendo in noi ogni entusiasmo e provocando delusione e apatia, fino a rendere sterile il terreno della nostra personalità. Si, perché oggetto della speranza non sono i nostri poveri desideri, ma le promesse di Dio. Per cui, quanto più avremo sperato in Lui, purificando i nostri desideri ed entrando in consonanza con la sua volontà, tanto più godremo nell'altra vita". (10)
A seguito di tali considerazioni anche la sofferenza acquisisce un diverso valore agli occhi dell'uomo. Scrive infatti Vittorino:
" ... don Calabria diceva a proposito del dolore: -Pregate per me perché capisca il dono, il grande dono della sofferenza ... -.
Ma capirlo non e facile. Innanzitutto noi pensiamo che sia necessario stare bene per operare bene. Non è invece sempre così. Anzi, vorrei dire che come il sale serve perché il cibo non sia insipido, cosi la sofferenza consacra, santifica e da sapore, come il sale, alle nostre azioni.
Entrare in questa realtà di certo è un dono. Se vogliamo avere un modello, quale esempio migliore della Croce?
Occorre però pregare per vedere tutto alla luce di questo grande mistero: guardiamo a quel Dio che ci ha salvati, e salvati così, e noi ci salveremo solo così. Diversamente non c'è speranza, perché rifiutare la croce significa rifiutare la partecipazione alla nostra redenzione.
Certo è che in qualunque situazione ci troviamo non mancano i problemi: di lavoro, di salute o di altro genere; ma importante è vederli tutti in questa chiave di fede, in questa chiave di accettazione.
Dicevo ieri sera ciò che il Pontefice ripete: -Sacerdote della creazione è l'uomo-. Infatti l'uomo in grazia è sacerdote della creazione perché ogni sua azione viene consacrata e anche la prova e la sofferenza quando sono accettate vengono consacrate e prendono sapore.
L'apostolato ha si un grande valore, però teniamo presente che maggior valore ha l'accettazione delle varie sofferenze.
Per la settimana santa avrei desiderato partecipare alle funzioni in San Pietro, oppure a Medjugorie, ma meglio ancora avrei partecipato, se il Signore lo avesse voluto, in un letto di dolore.
Da Maria SS. ho imparato questo, perché Maria SS. con il suo "Si" ha ottenuto di mantenersi Immacolata, diventando Corredentrice e quindi Addolorata. Ecco come il nostro "Si" di amore alla croce assicura la nostra santità.”

23.) IL SOSTEGNO DELLA FEDE
Che cosa permetteva a Vittorino di superare gli ostacoli più o meno grandi della vita senza abbattersi, trascinando addirittura nelle sue attività molteplici persone?
Era la forza della fede. Spiegava infatti:
" .. .la tristezza è come un canale profondo che riceve alimento da numerosi rigagnoli, problemi e difficoltà di ogni genere. Acqua, dunque, triste e amara, che si riversa nel grande fiume della vita, inquinandolo.
L'amico superiore al quale mi sono rivolto per chiedere aiuto mi ha suggerito, con infinita bontà e saggezza, di usare un filtro per ogni rigagnolo: la fede.
Ho voluto subito fare questa esperienza e vi assicuro che qualunque dolore o sofferenza vista non come castigo, ma come dono, si trasforma in acqua limpida e tiepida, che scorre soavemente fino a cambiare il canale profondo e oscuro in una laguna deliziosa di pace.
Ho imparato, come dire, a sfruttare il fatto negativo per trasformarlo in dono ed ho così sperimentato che la fede, quando è adulta e robusta, dà vita a ciò che sembra in apparenza morto, senza vita ... ". (2)

Successivamente illustra meglio l'origine e l'importanza del meraviglioso dona divino:
" ... Il germe della cattiveria e dell'odio sono stati seminati in noi fin dal peccato d'origine, ma nel battesimo abbiamo ricevuto il concepimento della nostra fede e perciò della vera libertà.
Occorre però che noi riconosciamo e crediamo a questa dono gratuito della fede, per poterlo così maturare e crescere, altrimenti il germe della nostra libertà rischia di morire appena nato.
Come dunque non far abortire il seme profondo della libertà dentro di noi?  Difendendo la presenza di Cristo in noi, perché diventi luce che ci porta alla conoscenza del bene da accogliere e del male da lasciare.
La conoscenza di queste due realtà contrastanti possiamo e dobbiamo cercarla nella parola di Dio, nel Santo Vangelo. Conoscere e mettere in pratica la Parola ci porta naturalmente a far guerra ai nostri egoismi, alle nostre inclinazioni non buone, alle nostre antipatie o simpatie morbose, in modo da creare armonia fra punti di vista contrastanti e mantenerci così in equilibrio. A questo punto il seme della nostra liberta interiore comincerà a crescere nel campo del nostro cuore.
Ma tu, cuore mio, se vuoi essere terreno buono, devi lasciarti illuminare e perciò guidare lungo la via luminosa della fede e della volontà, in perfetta sintonia con l'intelligenza. Si, perché quando questa è rivolta profondamente verso la fede e da lei dipende, rimaniamo invasi dalla presenza del Signore Gesù.
Ascoltiamolo: -Io sono la via, la verità e la vita-. Ecco, io sono la luce della vita, sono la via, se non entrate in questo binario, se non farete questo cammino, non troverete di certo la pace, ma la guerra.
Nella paura, nel dubbio, io vi sarò di sostegno per poter combattere il male che è dentro di voi, avvertendovi e illuminandovi attraverso la grazia e mettendovi in guardia dalle lusinghe e dalle insidie dell'egoismo e dell'interesse personale.
Ciò che rimane fuori da questo ordine viene afferrato dall'illusione e trasportato nel terreno arido e roccioso della nostra personalità perché venga soffocato e abortito. La via sicura diventerà così tortuosa, la verità non più vissuta produrrà menzogna, la vita si cambierà in morte,
Disponiamoci dunque a vivere la Parola, a farla tessuto resistente in ogni nostro momento, per godere la pace che è libertà dalla schiavitù di noi stessi, perchè -è la verità che ti fa libero- (Gv 8,32), Cambiamo percorso, cambiamo vita!", (13)

24. IL TRASFERIMENTO A RONCA
L'attività del commercio di vitelli durò dal 1950 ai primi anni '60, quando fu trasferito come economo a Roncà.
Qui dovette limitare i suoi spostamenti anche per rispondere alle numerose persone che in continuazione venivano a trovarlo per chiedere consigli ed aiuti.
A Roncà rimase tre anni sotto la direzione di un Superiore con cui ebbe non facili rapporti. Questi ebbe problemi finanziari non indifferenti e Vittorino faticò non poco a risolverli. A sostenerlo interveniva sempre don Pedrollo con cui Vittorino trattava con la medesima confidenza avuta verso il fondatore.
Fare tutto nel nascondimento, il bene non fa rumore: questo era il motto di don Calabria e fu l'atteggiamento umile di Vittorino che riprendeva il motto del fondatore "buseta e taneta": tutto quello che si fa non farlo per pubblicizzarsi, ma per amore di Dio.
Il fratello era tanto contrario a mettersi in mostra che quando un giornalista venne ad intervistarlo lo portò in chiesa davanti al Tabernacolo e gli disse: "Sappia che io non mi oppongo, ma sono contrario ad andare sui giornali ... Se lei si prende la responsabilità ... Questo è il mio padrone e lei risponde di fronte a lui". Il giornalista cambiò idea.

***

Tra le persone conosciute da fratel Vittorino una menzione speciale spetta al celebre cantante Adriano Celentano che incontrò alle terme di Montegrotto il 17 ottobre 1963. Si scambiarono alcune considerazioni e subito tra i due vi nacque una reciproca simpatia. Il giorno dopo Celentano invitò il fratello a mangiare insieme con lui e la sua "band".
Ricorda Giorgio Grigolini, che era presente:
"Fratel Vittorino risponde con esattezza a tutte le domande, anche le più difficili. Di tutta la compagnia, però, solo Celentano e Febo Conti capiscono il suo parlare strano'".
La sera prima di partire, Celentano invito Vittorino a partecipare ad una sua serata. Naturalmente il fratello non accettò.

25.) L'ECONOMIA CRISTIANA
Per Vittorino il Vangelo aveva qualcosa da insegnare anche all'economia. Più tardi egli definirà il suo modo di entrare negli affari come "L'ECONOMIA CRISTIANA".
A Canedole di Mantova, per esempio, il fratello aiuto un imprenditore ad uscire da forti problemi economici e ad impostare l'impresa secondo i principi evangelici che Vittorino proclamava. Era un'azienda ricca con 10 mila suini all'ingrasso, 8 mila tori, galline ovaiole. Venne scelto il personale, ad ognuno fu data una casa ed un incarico. Oltre allo stipendio, alla fine dell'anno il proprietario chiamava ciascun dipendente e valutando l'andamento del suo settore, consegnava ad ognuno una parte degli utili.
Vittorino non disdegno di tuffarsi in prima persona nella gestione di attività economiche.
Nel 1957 insieme ad un gruppo di amici, e con l'autorizzazione e l'incoraggiamento di don Pedrollo, fonda una società che aveva lo scopo di raccogliere uova, metterle nelle incubatrici e allevare i pulcini per venderli poi come galline o polli. Di seguito fondò una società d'appoggio che doveva garantire finanziariamente. Contribuì alla nascita di numerosi allevamenti, uniti in un Consorzio.
Ad ultimo si venne alla fondazione di un mangimificio che, in collegamento con le altre società, curava l'aspetto commerciale degli alimenti per animali.
In un discorso ai membri coinvolti in queste attività di mercato, Vittorino così spiega la nascita delle società:
" ... A chi crede tutto e possibile ... può dare vita a qualunque attività, mettendosi in un equilibrio evangelico. Cosi combatterà l'economia immorale facendo fiorire un'economia morale.
Ecco la spiegazione che io sia in mezzo a voi, come anima per animare lo spirito dei primi cristiani, inculcare l'amore fraterno fra amici di ogni categoria e di ogni posizione sociale. Per promuovere l'entusiasmo dell'individuo all'amore reciproco, in particolare nella famiglia e cosi avremo maggiormente un entusiasmo reciproco di amore fra soci; creando cosi una catena di amici che si godrà di sacrificarsi uno per l'altro, e sarà chiamata la "catena dell'amore", fondata su basi di reciproca onesta.
Solo cosi si può capire perché io sono in mezzo a voi. Io dovrò essere totalmente disinteressato e sarò per voi parola viva di Gesù, che vi anima all'amore, all'unione, alla conquista di un commercio sano.
Il mondo di oggi sembra dire che non ci sia più posto per gli onesti, che non si possa vivere senza imbrogliare, che la sincerità commerciale sia pericolosa ... Queste frasi in un paese come l'Italia cristiana fanno veramente paura, perché, diventando detti comuni entrano nella mentalità della gente. In questa modo, dove si andrà a finire? Ecco il perché e necessario creare la "catena dell'amore", anche per combattere questo linguaggio.
A chi crede, ho detto, tutto è possibile. Se io individuo mi creo delle convinzioni veramente sane e le vivo, saranno di esempio, e come l'esempio trascina sia nel male che nel bene, tanto più se vivo nella grazia di Dio, il mio esempio ha maggior ragione di essere imitato per il bene.
Ecco, cari amici, la grande missione del tempo attuale. Oggi, come non mai, è il tempo più opportuno per unirci e combattere. Con questa fede non può venire meno l'aiuto di Dio. Per questo mi sento che è una missione affidatami dalla divina volontà di Dio. Per la missione che avete, godo di essere il vostro vero amico. Così godo di aiutarvi, sostenervi, spingervi a creare società con questi sani principi.
Quante perplessità per ogni nuova società e quante incertezze! Ma quante meraviglie, interventi e aiuti particolari: è proprio cosi! ...
E qui una riflessione quanto mai opportuna: siete stati voi a fare tutto questo o è stata la Provvidenza?
Se dall'amore e dalla vostra unione avete avuto tali meraviglie, questa ci dimostra che è caparra di altre più grandi meraviglie ...
Facciamo un po' di storia della prima società. Non vi sembra che sia nata da un atto di amore? Non e stata la carità che vi ha spinto a creare questa società?
Per Antonio (il primo presidente) la gioia era grande di far partecipare i suoi amici ai suoi sentimenti di fede ricevuti dall'Opera e vissuti avvicinando il padre (don Luigi Peelrollo), godendo dei frutti della fede e di quello che la fede ha operato.
Godette poi Antonio di far conoscere il padre ad Arrigo. Caro Arrigo, che bel felice incontro col padre don Luigi. Anche Arrigo godette le meraviglie della fede.
A questo punto la preoccupazione di Antonio per suo fratello Giorgio era grande. Allora, con la benedizione di padre don Luigi, ecco Arrigo e Antonio unirsi in società per dare a Giorgio un lavoro.
In questi soci il desiderio di far del bene aumenta, si continua a sognare per far del bene agli amici, dopo ogni conquista se ne desidera un'altra. Si va in gara per far del bene.
Ecco Antonio preoccupato di un altro amico: Tommaso. Intanto l'azienda, avendo bisogno di un allevamento bandiera, vede in Tommaso l'amico adatto per dare il via a questa nuovo lavoro.
Tommaso, spinto anche lui a legare rapporti di amore coi suoi cugini, si mette d'accordo con Arrigo e Antonio ed insieme danno vita al Consorzio ...
Quanto è buono il Signore! Ogni prova sopportata per amore e una sorpresa di disegni sempre più belli e grandi".

26. TESTIMONIANZA DEL 1963
Dei primi anni '60 abbiamo un'eccezionale testimonianza sulla vita condotta da fratel Vittorino grazie ad una pagina del diario di Giorgio Grigolini che qui riportiamo integralmente:
"Montegrotto, 31 ottobre 1963. Devo confessare che il soggiorno a Montegrotto con fratel Vittorino è stato veramente un avvenimento importante per me personalmente e per la mia famiglia. Una villeggiatura, se così si può chiamare, intensa di discussione, di avvenimenti strani e di perplessità. Sono stati giorni di grazia, di contatto con Dio, con quel Dio di cui spesso se ne parla senza averne un concetto chiaro ed esatto ... Sentivo incombere su di me una grave responsabilità. Sentivo che il Signore mi voleva parlare attraverso il suo "burattino", mi voleva far capire l'essenza del Vangelo, il codice per eccellenza. Altre volte ho sentito parlare del Vangelo, ma non avevo mai pensato che per viverlo sarebbe stato facile, perché mi trovavo davanti ad un uomo che lo sentiva e lo viveva con un entusiasmo ed una coerenza tale da far sbalordire e inorridire chi non lo pratica. Facevamo le nostre pratiche di pietà regolarmente, senza misticismo. I temi delle nostre discussioni erano l'amore, la giustizia, la carità e l'unione.
Dopo qualche giorno mi sono chiesto il motivo per cui fratel Vittorino ha voluto soggiornare con me a Montegrotto durante tutti quei giorni. Era la domanda che mi ponevo più di frequente e a cui allora non ero in grado di rispondere ...
In verità questa periodo doveva segnare la fine del passato e l'inizio di una condotta nuova, meglio delineata, per la gestione della società economica di cui anch'io ero un componente. Per capire a fondo il nuovo corso era necessario che uno di noi potesse conoscere, almeno in parte, l'ideale e la missione del fratello, capire la sua umanità e da Quale spirito è mosso. Questo era in sintesi lo scopo del nostro stare insieme. Ho vissuto esattamente dal 14 al 19 e dal 21 al 26 ottobre 1963 con Vittorino a Montegrotto ...
Ho avuto l'onore e la possibilità di capirlo un poco, poiché la profondità della sua conoscenza di Dio e tale che per capirlo molto bisogna avere una preparazione particolare ed una buona dose di aiuto divino. E un uomo senza cultura, si può dire quasi analfabeta, vissuto fra due colossi quali don Calabria e don Pedrollo.
Un uomo che ha capito e assorbito il Vangelo alla lettera.
La sua vita è imbevuta di atti di fede e di continui colloqui con Dio. E' un uomo che superficialmente si può classificare tra gli ignoranti, ma che con l'aiuto della SS. Trinità, di cui lui è un pazzo ed un innamorato, fa sbalordire i più sapienti...
Mi ha narrato un po' della sua vita ed ho capito che il suo carattere è irruento,  impulsivo e fortissimo. E' entrato in convento dopo uno scatto di rabbia, dopo aver sfasciato una bicicletta nuova (a quei tempi ... ). .. Si è dedicato ai suoi umili lavori di fratello con entusiasmo, con amore e con una grande fede in San Zeno in Monte ...
In quel tempo nella casa Buoni Fanciulli si mangiava poco e male. Dopo una serie di fatti straordinari ha capito che la Provvidenza non si lascia vincere in generosità. Infatti un giorno, dopo aver parlato a lungo con don Pedrollo, gli ha detto:
"Padre, se noi siamo i Poveri Servi di Dio, i ragazzi saranno i suoi principi, perché allora non li trattiamo come tali? Perché noi Servi mangiamo meglio di loro? Perché non chiediamo alla Provvidenza quello che ci necessita?".
Il Padre con gesto benevolo gli rispose: "Vittorino, tu sei l'uomo per il quale io ho pregato il Signore per tanti anni, affinché lo mandasse; da questo momento fa quello che vuoi, il Signore è con te". Cosi fratel Vittorino, con la sua fede semplice ma profonda, è riuscito in poco tempo a portare sulla mensa dei Buoni Fanciulli un cibo sano, buono e abbondante, nonostante la carestia del periodo. Per lui non c'erano ostacoli, Gesù era con lui. Il Tabernacolo, l'Eucarestia, per lui erano tutto. I miracoli erano frequenti e sbalorditivi.
Ad un determinato momento ha sentito che il Signore lo chiamava per un'altra strada sempre inerente al bene dei suoi ragazzi. Sentiva che il mondo aveva sete della Parola di Dio, che bisognava immedesimarsi nelle disgrazie altrui...
L'occasione gli fu presentata dallo zio Giuseppe che mantenne una vitellina per conto della Casa. Le vitelline divennero in breve tempo due, tre e centinaia, poiché tanti altri agricoltori, spinti dallo zio, seguirono l'esempio.
Le vitelline per lui erano il motivo per cui poteva avvicinare tante persone e far loro sentire la parola evangelica e portare il conforto.
Fratel Vittorino intanto venne trasferito a Roncà. In Casa si temeva che mescolare il sacro con il profano fosse impossibile. Pensavano che diventasse un semplice commerciante, non avevano capito il suo spirito, la sua missione.  Infatti lui era spinto dallo spasimo di far del bene ai mediatori, ai commercianti, agli agricoltori, ecc.
A Roncà si senti solo, abbandonato dal suo stesso amatissimo padre. Le tentazioni si susseguivano, il diavolo voleva distruggerlo, ucciderlo. Vedeva il suo piano svanire, ma ha capito che il Signore lo metteva ancora su un'altra strada di apostolato.  Infatti dopo qualche serie di prove e di torture morali ha intuito che per salvare il mondo c'era bisogno di apostoli laici.  Iniziava cosi la sua nuova missione inserendosi ufficialmente nella società, dopo essere stato delegato nostro consigliere dallo stesso superiore Padre don Luigi.  La sua missione, quindi, era quella di tenerci uniti e di animare nuove attività creando così una catena di società, denominata "la catena dell'amore". Conoscevo Vittorino cosi, come lo possono conoscere molti altri, ma non potevo penetrare in lui in quanto era necessario che vivessi un po' insieme. Credo tuttavia che non sarebbe stato sufficiente se io non avessi avuto la fortuna di incontrare in quei giorni suo fratello Benito. Ho visto in quell'uomo la fotocopia del carattere di fratel Vittorino. Ho visto un uomo violento e impulsivo. Non è un praticante, ma un uomo di una rettitudine commerciale da far arrossire i cristiani più convinti. Parlando con quest'uomo ho potuto capire un po' di più Vittorino. Le sue virtù eccezionali, in perfetto contrasto col suo carattere, colla sua natura, sono veramente un capolavoro della Provvidenza.
Non si può capire Vittorino se non si conosce il suo temperamento e la sua umanità. E' sensibilissimo, tanto da farsi sue le disgrazie altrui. In quei giorni ho visto gli alti e bassi, i momenti di entusiasmo, di debolezza, di sofferenza, momenti che si addicono soltanto ad un uomo di grande fede.
Dopo queste esperienze e tante riflessioni, ho capito che non avevo a che fare con un "santone",  ma con un uomo retto e giusto che ha nel cuore amore e nelle vene carità.".

27.)  ECONOMO A SAN GIACOMO
Nel 1963 fratel Vittorino, dopo 5 anni di economato a Roncà, fu inviato alla comunità di San Giacomo.
Qui la profezia, ripetuta più volte da don Calabria e confermata da don Pedrollo "Tu hai una missione da compiere, il Signore vuole affidarti una missione", cominciò a manifestarsi.
Infatti le persone che prima si rivolgevano a lui per un consiglio a San Zeno in Monte e a Roncà, lo seguirono anche a San Giacomo e a queste si unirono tante altre anime ...
Ben presto dovette organizzare dei gruppi a seconda della categoria sociale di appartenenza, accogliendoli sotto le piante di San Giacomo fino a notte tarda e, prima di recarsi al lavoro, si ritrovavano per la Messa mattutina.
Fr. Vittorino, seguendo l'insegnamento di don Calabria, li invitava a portare il Vangelo nel loro ambiente di lavoro per salvare l'Italia secondo l'aspetto religioso ed economico.
Era infatti un desiderio del padre che Verona diventasse un giardino del Signore per contribuire alla rinascita del Paese ...
Però quel continuo movimento di persone turbava la comunità: "Come? Una persona senza cultura che riceve tutta quella gente? Ma chi si crede di essere questo Vittorino?".
D'altra parte il fratello non poteva allontanare quelle anime. Come don Calabria era l'uomo dell'accoglienza, così lui aveva il dovere di riceverle perché questa era la sua missione.
Sentendo riportate le accuse nei suoi confronti, fratel Vittorino si aspettava da un momento all'altro il trasferimento in un altro posto, e lui avrebbe obbedito a qualunque disposizione, ma non accadde nulla ...
Il Superiore, invece, decise di costruire un'altra abitazione all'inizio della strada che sale sul colle, come portineria (proprio dove don Calabria nel1954 aveva profetizzato: "Qui sorgeranno incontri d'anime!"), in modo da regolare e controllare l'afflusso delle persone.
A finanziare l'opera intervennero due anziani fratelli, Virginia e Silvio Campi, come ci racconta Giuseppe Todeschini :
"Fra tutte le persone che si rivolgevano a Vittorino, c'erano due sorelle ed un fratello dal paese di San Vittore, tutti da sposare, che vivevano con il lavoro di alcuni campi. Una delle sorelle aveva avuto un tumore, ma non voleva essere guarita perché diceva di voler donare le sofferenze ed il suo dolore per aiutare don Calabria. Il Padre le aveva detto: "due di voi fratelli verranno accolti nell' Opera e lì moriranno". Dopo alcuni anni dalla morte della sorella Teresa, Silvio e Virginia espressero a fratel Vittorino il desiderio di vendere i loro campi donandoli alla Congregazione e di poter vivere nell'Opera, a San Giacomo.
Erano però dubbiosi perché avevano ricevuto una analoga proposta: il parroco di una vicina parrocchia aveva promesso di dar loro una conveniente sistemazione se, con la vendita dei campi lo avessero sostenuto nella costruzione di opere parrocchiali.
Fratel Vittorino propose loro di chiedere un segno. "Non avete niente da chiedere al Signore?" disse loro il fratello. Silvio e Virginia gli parlarono del loro asinello, che da qualche giorno giaceva gravemente ammalato. Lo avevano appena venduto e se fosse morto non avrebbero ottenuto il denaro necessario per continuare a vivere. Vittorino visito la bestia nella stalla e gli diede un calcio. L'asinello si alzò apparentemente guarito e la vendita poté realizzarsi senza problemi. Con i soldi ricavati ne acquistarono un altro, ma anche questo aveva una gamba ammalata. Chiamarono nuovamente il religioso che con un altro calcio rimise in sesto l'animale. I fratelli, avuti questi segni, da allora si consigliarono con lui e quando decisero di ritirarsi dal lavoro per mettersi in pensione, pensarono di regalare ogni loro avere all'Opera.
Con il ricavato della vendita dei campi Vittorino fece costruire nel 1963 una nuova casa vicino alla portineria in San Giacomo e vi sistema gli anziani fratelli ricordando la promessa fatta a don Calabria. Per risolvere il problema del disturbo creato dall'afflusso della gente, anch'egli si trasferì nella nuova casa. Qui comincia con più libertà a tenere incontri serali con 12-13 persone, tra cui c'ero anch'io. Dopo le ore 21 ci mettevamo tutti attorno alla tavola in cerchio, e cominciava con una preghiera e la frase: "Quando siete riuniti tutti insieme nel mio nome io sono in mezzo a voi ..". Poi esponeva il suo pensiero riguardo ai più svariati argomenti di fede o di vita vissuta. Allora non era un oratore come poi divenne, si esprimeva molto semplicemente, non aveva un ricco vocabolario e cercava aiuto da parte dei presenti per esprimere meglio il proprio pensiero e sviluppandolo. I vent'anni successivi lo videro ogni sera impegnato in questi incontri senza mai stancarsi di ripetere il suo amore per Gesù misericordioso".

28.) SOGNO DI GESU' MISERICORDIOSO
In questo luogo santo, chiamato da don Calabria "Casa del Signore e Porta del Cielo", fratel Vittorino la notte del 26 ottobre 1964 ebbe un sogno rivelatore: sogna di svegliarsi all'improvviso perché c'era nella sua camera un signore che gli stava di spalle. Questi aprì la prima porta della sua stanza e poi la seconda, facendo passare una moltitudine di persone.
Solo allora il fratello lo vide in volto, ma non lo riconobbe ...
Il personaggio misterioso aveva uno sguardo particolare per ognuno, con una sfumatura diversa negli occhi a seconda della persona: guardava alcuni con dolcezza, altri con forza o severità, sempre con amore misericordioso.
Fratel Vittorino osservava con gioia quelle sfumature, ma si arrabbiò per quel movimento di persone e ad un certo momento chiese: "Chi sei? Dimmi chi sei, perché parli con tutta questa gente qui in camera mia? Come hai fatto ad entrare qui? Chi ti ha dato il permesso?".
Lui si volta e lo guarda, ma non disse niente. "Chi sei?" insistette Vittorino con tono incuriosito. "Indovina.."
Vittorino gli parve che fosse Gesù Misericordioso e rispose:
"Vorrei dire che sei Gesù ... Ma sei Gesù?".
"Lo sono!".
Allora fratel Vittorino chiese confidenzialmente per tre volte: "Me voto tanto ben?".
"Si, ti voglio bene".
"Ma me voto ben davvero?". "Si, ti voglio bene".
"Ma me voto ben sul serio?". "Ti ho detto di si".
"Posso chiederti un favore?"
E a questa punto del sogno il Fratello non riuscì ad esprimere il suo desiderio, balbettò e si sveglio.
Eppure lui era convinto di essere già sveglio. Guardo fuori dalla finestra. Dopo il terribile temporale di quella notte, le case sembravano illuminate da un chiarore insolito. Il fratello si rammaricò di non aver saputo chiedere il consiglio che gli stava a cuore: infatti non sapeva come accogliere tutte quelle persone che accorrevano a lui a San Giacomo ...
Pochi giorni dopo si trovo a dover aiutare una famiglia che era stata coinvolta in un fallimento.
S'incontro con l'avvocato Candiani di Borgo Trento che era in affari con Gaetano Marzotto e li portò a Calendole (Mantova) dove trovò per loro un nuovo impiego.
Dopo due ore di discussione, mentre stava per salutarli, recitò una preghiera ed il suo sguardo cadde su un quadro. Senza dire nulla penso tra se: "Toh, ma tu sei il Gesù che ho visto quella notte. Bene se sei tu, allora ti aspetto tra 15 giorni".
Vivendo accanto ad un santo come don Calabria, anche Vittorino come suo figlio spirituale aveva imparato a chiedere dei segni per comprendere la volontà di Dio.
Con la semplicità di un bambino, egli aveva provato il Signore ... Dopo 15 giorni il quadro gli fu regalato come segno di riconoscenza per l'aiuto ricevuto.

29.)  LA VOCE DI MARIA
Giunse il 4 dicembre, decimo anniversario della morte di don Calabria, e fratel Vittorino stava camminando verso il capitello dell'Immacolata (che si trova all'inizio della salita di San Giacomo), quando all'improvviso senti una voce che diceva: "Incontri d'anime, incontri d'anime come vuole tuo padre!".
Si guardo attorno per vedere chi avesse parlato e cercò anche dietro ai cespugli, ma non c'era nessuno.
Dopo dieci minuti di ricerca il suo sguardo cadde sull'Immacolata e chiese: "Madonnina, sito stà ti a parlar? Alora dame un segno!".
Il segno che fratel Vittorino aveva chiesto arrivo quattro giorni dopo, l'8 dicembre 1964, durante la Messa solenne.
Il fratello stava porgendo al sacerdote la patena quando ebbe la netta sensazione di essere misteriosamente raggiunto da due raggi: il primo colpi la sua mente illuminandola, mentre una voce dentro di se diceva: "Intelligenza, intelligenza!".
Il secondo raggio colpi il cuore infiammandolo, mentre la stessa voce diceva: "Volontà, volontà ... Come San Francesco d'Assisi abbagliava il mondo di allora, ora bisogna abbagliare il mondo di oggi!".
Al momento della consacrazione, cioè quando avviene la transustanziazione, la voce disse:
"Questa sostanza!".
Venne immerso in quel mistero d'amore in cui il pane ed il vino con le parole del sacerdote diventano la realtà del Verbo di Dio e la presenza del Figlio del Padre.
Sarà l'Eucarestia il libro della vita di fratel Vittorino.
Finita la Messa, annoto il fatto su un Foglio di carta gialla e lo consegnò al superiore, ma questi non gli attribuì un gran valore.
Il fratello lo mostrò al signor Battiato, il quale lo lesse e con tono ispirato soggiunse:
"Vittorino, ma non sai che questo e un segno del cielo?". "Davvero? Ma vuoi che il Signore parli ad un ignorante come me?".
Solo nel 1974 il dottor Vantini ed il dottor Parolari confermarono le parole di Maria ed i segni ricevuti da fratel Vittorino ricordando la profezia fatta da don Calabria sulla Casa d'Incontri nel 1954.

***

Il nostro fratello aveva una predilezione per la Madonna. In occasione della recita dei misteri gloriosi del Santo Rosario gli piaceva soffermarsi sull'assunzione di Maria. Diceva che certamente la Vergine era stata portata in cielo dagli angeli, non poteva il suo corpo immacolato restare sulla terra. Difatti vediamo ancora oggi come sale e scende dal Cielo alla terra nelle continue apparizioni in tutto il mondo. Vittorino seguiva con attenzione e particolare interesse ogni informazione sull' argomento.
Riguardo ai gruppi di preghiera che nascevano attorno a questi fenomeni rispondeva: "Come nei monti ci sono e crescono tanti funghi, ci sono quelli buoni e quelli cattivi, bisogna raccogliere quelli buoni e coltivarli".
Nelle sue conversazioni sul giornale "L'Amico", il fratello accennava spesso all'esempio offertoci dalla Madre Celeste:
"Guardando un'immagine di Maria mentre riceve il saluto dell'angelo, penso a lei come ad una donna dall'equilibrio perfetto, perché in perfetta unità con Dio e quindi con se stessa. Per la particolare e personalissima missione alla quale e chiamata, lo Spirito Santo l'avvolge con il suo manto. Viene inondata dall'Amore. La sua intelligenza riceve quella luce di cui non dubiterà mai e attraverso la quale stabilisce un rapporto d'intesa perfetta con il Padre. Pronuncia naturalmente il suo SI e lo Spirito Santo prende dimora nella sua anima e ne diventa così il vero animatore.
Ora dunque la sua volontà guida e dirige ogni suo sentimento, in sintonia con i battiti del cuore di Colui che porta nel grembo. Eccola perciò in sintonia anche con il Figlio. Questa armonia di unione alla volontà del Padre e all'amore per il Figlio con il consenso dato allo Spirito Santo, e garanzia per Maria di perfetto equilibrio.
Vorrei ora suggerire a quelli che sono alla ricerca di un forte equilibrio nella fede, che fondamentale è raggiungere questa unione con le Tre Persone Divine ... e poi c'è Maria. Se ameremo, il suo cuore immacolato ci condurrà piano piano, per mano, come fa una mamma con il suo bambino, verso la conquista della nostra vera personalità. Con Maria e come Maria accoglieremo la volontà del Padre; con Maria saremo inondati dalla luce dello Spirito Santo ... ". 
E in un'altra occasione aggiunge:
"Noi, uomini e donne in cammino nel tempo verso la vita vera, dobbiamo sentire la necessità di imparare a camminare, di conoscere cioè il valore dei passi che ogni giorno compiamo in quella direzione.
La vergine Maria può, in questa ricerca, esserci d'aiuto perché Maria è da sempre donna in cammino. La vediamo ancora adolescente, ben formata naturalmente, perché istruita nella tradizione e conoscenza della storia dei profeti, mettersi in cammino a servizio del Tempio. Per questa sua grande disponibilità e maturità verso le cose del Cielo, il Cielo accoglie il profumo di santità che nasce dal suo cuore. E' un fiore che sboccia mentre ascolta un po' turbata le parole del messaggero di Dio.
Questo angelo del Signore è disceso per volontà dell'Amore mentre Maria, a servizio della volontà di Dio, è nella contemplazione. Noi dunque, come cristiani, siamo chiamati a dirigere bene i nostri passi per non imboccare un cammino sbagliato.
Maria, dopo di aver detto "SI" all'angelo si mette in fretta in cammino per andare a visitare la cugina Elisabetta. Lei porta in seno il figlio di Dio, ne è cosciente, ma oserei dire in modo ancora oscuro, proprio come una mamma in attesa nei primissimi giorni dal concepimento. Per la sua fede aveva creduto alle parole dell'angelo, ma la conferma e in quella sensazione meravigliosa che prova quando Elisabetta le va incontro per salutarla ... e da qui nasce il Magnificat, il ringraziamento umano per l'intervento divino ... ". (15) 

30.) LA CRISI SUPERATA
Quando arrivò il nuovo Superiore a San Giacomo, questi volle rifare tutto il cortile esterno ed alla fine presentò il conto all'economo Vittorino: 15 milioni, una cifra considerevole all'epoca. Egli fece le rimostranze per la difficoltà di trovare tanti soldi in breve tempo ed il Superiore si senti turbato dal comportamento dell'economo tanto che convoco tutti i collaboratori laici di San Giacomo il mattino seguente.
La sera precedente fratel Vittorino radunò di nascosto tutti gli amici e disse: "Domani davanti al Superiore non contradditelo e non difendetemi ... Rispettatelo perché lui è pur sempre il Superiore".
In effetti la mattina dopo lo stesso Superiore tenne una omelia con toni preoccupati. Nessuno parlò, lo stesso Vittorino subì qualche rimprovero con rassegnazione e senza alcuna replica.
Nei giorni seguenti gli sorse in cuore il desiderio di abbandonare l'Opera, ma non era la volontà della Provvidenza.
Questa tentazione veniva dal nemico che desiderava allontanarlo dalla sua missione.
Provvidenzialmente don Pedrollo gli era sempre vicino e conosciuto il suo cruccio lo aiutò a trovare la forza per superare anche questa crisi. Nello stesso periodo un altro soccorso gli venne da Padre Pio.
Fratel Vittorino lo conobbe in occasione di una malattia subita da don Pedrollo.  Sembrava che il successore di don Calabria avesse una forma maligna di tumore, e cosi il fratello decise di rivolgersi a Padre Pio.
"Cosa vuoi?" gli chiese questi al primo colloquio.
"Il mio superiore da sei mesi sta male, sembra che abbia un tumore, ho paura che muoia e se lui muore nessuno più mi difenderà e mi cacceranno dalla Congregazione".
"Non temere -fece Padre Pio- tu hai la provvidenza sulle spalle ... Va e guariscilo da solo".
Egli allora tornò da don Pedrollo e gli disse: "Superiore, mi ha detto Padre Pio che devo guarirla. Nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. Si alzi che sta bene" e in effetti don Pedrollo da quel momento migliorò fino a guarire completamente.
Il fatto è confermato da Giorgio Grigolini che nel suo diario scrive:
"Negrar 16-4-1962. Andiamo a guarire il Padre. Il Padre don Luigi sta molto male. E stato operato, sembrava guarito ed è ricaduto.
Vittorino m'invita ad accompagnarlo fino a Negrar. Durante il viaggio Vittorino parla poco ed e preoccupato, piange. Arrivati alla stanza del Padre, Vittorino cambia espressione, entra con slancio, esce dopo pochi minuti trasfigurato, rosso in faccia e molto stanco. Ho capito che e accaduto qualche cosa d'insolito. Il Padre guarirà perfettamente ... Infatti il Padre è guarito".

***

Fratel Vittorino era anche un manager, sapeva investire i denari nel migliore dei modi consigliando tutti.
an Giacomo divenne perciò la meta di imprenditori, uomini di cultura, disoccupati, ammalati che si recavano a trovarlo per averne una parola di conforto, un segno. Ed egli che aveva conosciuto le campagne di tutto il nordest e visto i contadini trasformarsi in imprenditori accompagnandone i primi passi, era assai prodigo di consiglio Abituato a contribuire con la provvidenza al sostentamento delle case dei Buoni Fanciulli, sapeva far di conto, provvedere a prevedere, maneggiare i meccanismi delle entrate e delle uscite. Ci vedeva dentro negli affari ed i suoi consigli, spontanei, ma validi, tra una caramella e l'altra, arricchiti di fine spiritualità, erano assai preziosi. Si formava una specie di catena di Sant'Antonio perché, se uno aveva bisogno di un esperto, ecco che il fratello era subito capace di coglierlo dalla lunga fila delle sue conoscenze.
Così accadeva per i problemi dei disoccupati e per le aziende in cerca di lavoratori in quel periodo di grande trasformazione tra la meta degli anni sessanta e gli anni ottanta.
In tanto giro di gente e di denaro, il fratello non ebbe mai ad usare una lira per il proprio conto. A tutto ciò di cui aveva bisogno (cibo, vestiti, auto) provvedevano i suoi amici e confratelli che crescevano intorno all'Oasi di San Giacomo.
Quel che gli stava più a cuore era la promessa di un futuro migliore per i giovani, per i disoccupati, per le famiglie disagiate, per i nomadi che godevano di una sua speciale predilezione.
Le sue doti non passarono inosservate nel Consiglio Generale dell' Opera che decise nel 1988 di nominarlo Superiore dell'Oasi di San Giacomo. Così, ancora una volta nella storia della Congregazione, un laico diventava Superiore di una Casa avendo alle sue dipendenze alcuni sacerdoti, un paio di suore e un numero vario di fratelli. Mantenne la carica fino al 1997.

31.) LA COPPIA E LA FAMIGLIA
Numerosi sono i suggerimenti che fratel Vittorino da sui problemi di coppia e sul rapporto genitori-figli.
Vogliamo riportarne alcuni tratti dai suoi scritti:
"... Il cammino a due, lo sappiamo, non sempre è piano, direi che lo è fintanto che voi ancora sognate. Ma un brusco risveglio, la prima delusione, fanno subito inciampare, camminare meno spediti.
In sostanza più che sogni le vostre sono illusioni che vi lasciano a terra quando l'amore tra di voi non è profondo.
Ma come il vino porta allegria, così lo Spirito Divino porta l'amore che supera lo scoraggiamento di una unione difficile. Quando però vi accorgete che questo amore se n'è andato e vi ha lasciati nella tristezza, vi prego, cercatelo, invocatelo con tutte le vostre forze, con fiducia, proprio come ha fatto Maria nel Cenacolo...".
"Occorre ben riflettere perché prima di gustare la poesia, bisogna imparare a vivere la prosa e studiare il modo di trasformarla in poesia. Ora invece il ragazzo e la ragazza si lasciano condurre subito dalla poesia dell'amore e non da una preparazione alla poesia d'amore che io chiamo prosa. E questo e un grande errore.
Nel matrimonio, infatti, la poesia oggi non esiste quasi più.
Non si e capito ancora che nel fidanzamento dev'esserci prima la prosa che comprende la conoscenza di se stessi e dell'altro, l'accettazione del sacrificio. Tutto questo poi nell'unione matrimoniale viene sublimato e prende il sapore della poesia. Per un dono dello spirito tutto si trasforma così in ordine, armonia, luce, calore, il ghiaccio che avvolge il nostro cuore si scioglie e l'anima si innalza.
Com'e bello pensare all'amore! ...
Com'e bello essere innamorati. Mi domandavo durante la S.Messa: cos'e l'innamoramento? Da che cosa nasce?
E improvvisamente si e accesa in me come una lampadina.
L'amore è poesia e la poesia e canto armonioso.
Ma ecco una voce: Vittorino, svegliati, non capisci? Questo è amore umano che il Signore ha voluto come primo passo per condurre due persone ad unirsi in un sacramento di grazia e benedizione.
Ma allora se anche l'amore umano è estasi, guai se il ragazzo e la ragazza non riflettono e non attingono luce prima di mettersi a conoscere questo canto, questa armonia, questo incanto!". 
"Che tristezza smarrire il Signore! ...
Se lo sposo è vero sposo e la sposa è vera sposa, cioè tutti e due maturi e consapevoli (maturati alla scuola di Cristo), anche il loro reciproco sguardo non può donare altro che amore, non può creare che armonia. Perché quando umiltà e desiderio di unità procedono in armonia, insieme danno come risultato la sintonia perfetta. Infatti lo sguardo che ama ha incontrato la verità e la giustizia e dalla porta aperta del suo cuore è entrata la luce ....
Occorre però, per poter arrivare a questa disponibilità, che ben sorvegliamo i sentimenti del nostro cuore. Sappiamo infatti che nel cuore può si abitare l'amore, ma purtroppo anche l'indifferenza e addirittura l'odio. La mancanza di disponibilità e attenzione verso l'altro, può facilmente farci cadere in uno di questi sentimenti, mentre tenerezza e sensibilità possono evitarci conseguenza anche disastrose.
Un piccolo segnale di questo pericolo si può avvertire quando ad esempio pensando allo sposo o alla sposa si comincia ... a non sentire più niente.
Questo potrebbe essere il principio di una prova, uno stato d'animo che non riusciamo a controllare, proprio come accade nella natura: in un cielo sereno improvvisamente appare una nuvola e poi arrivano il brutto tempo e la nebbia. Come ripararvi?
Andiamo col pensiero a Maria e Giuseppe, al momento in cui si sono accorti che il Bambino non era più con loro. Che tristezza! Però si amavano e tutti e due amavano Gesù. Ansia, inquietudine, ma alla fine ecco il Bambino ritrovato.
Così pure nell'amore tra sposi dev'esserci Gesù, cioè la fede. Questa garantisce l'unione, allontana la divisione, il contrasto. Maria e Giuseppe infatti non si sono scoraggiati ma subito si sono incamminati alla ricerca del loro bene più prezioso ...
L'amore, dunque, non è sempre sentire entusiasmo, ma è soprattutto la volontà di mantenersi nella pace e nell'unione, mettendo a fondamento del proprio rapporto il Signore". (18)

"Il contrasto all'interno della coppia. Esso nasce dal fatto che vi possono essere opinioni diverse sui più svariati argomenti, anche d'importanza vitale. In tal caso la prudenza insegna che quando uno dei due parla, ad esempio la ragazza, tu ragazzo non devi interromperla, lasciala parlare fino in fondo. Lo stesso vale se a parlare è il ragazzo. Questo è rispetto. Alla fine tu potrai dire: io ho un altro modo di pensare, però ti ho ascoltato, adesso permetti che io ti esponga la mia tesi. La tua l'ho capita.
Forse, a conti fatti, non c'è molta differenza tra le due opinioni, oppure il contrasto può essere notevole. Ma se il matrimonio e costruito "sulla roccia", non c'è da temere, il Signore aiuterà a superare gli ostacoli.
A questo punto quello o quella di voi due che e più maturo (vorrei dire quasi più intelligente), evita di causare ulteriore divisione e, come un bravo giardiniere, cerca un po' alla volta di curare la piantina della personalità che e in se stesso e nell'altro.
Come? Con la preghiera, che e l'acqua per irrigare, e col calore del sole, cioè con l'amore, quello vero che e dono dall'alto. Allora non siete due "soli", ciascuno chiuso nel suo orgoglio, ma un unico "sole". Un amore umile e fiducioso aiuta ad accettare la diversità dell'altro e a far si che il contrasto non sia irreparabile.
Oltre all'acqua ed al sole occorre anche l'aria: infatti senza ossigeno si muore. L'aria è la vostra volontà, la vostra risposta al dono di Dio. Non si tratta soltanto di volontà umana, ma di quella facoltà dell'anima che scaturisse dall'intelligenza rischiarata dalla fede ... ".

Terminiamo con un ultimo suggerimento alquanto singolare:
" ... Penso che anche nella vita matrimoniale ci sia bisogno di trovare il tempo per vivere momenti di silenzio. E' bello allora incontrarsi, stare insieme a volte senza sentire il bisogno di parlare per godere la poesia del silenzio.
A questo punto mi viene da pensare all'agricoltore. Dopo il riposo, dopo il silenzio dell'inverno, grande è l'attesa, la speranza di vedere una buona fioritura. Allo stesso modo, per gli sposi è importante prepararsi (certamente non nel frastuono o nella confusione), possibilmente nel silenzio e nella riflessione, ad accogliere il dono dell'inizio, della primavera della loro nuova vita. Solo così è possibile iniziare bene la celebrazione di questa vostra stagione. Osserviamo alcuni momenti di una giornata volta alla ricerca della sintonia, dell'armonia.
Al mattino un bel saluto: buon lavoro, a stasera!
E' bello il dialogo fra persone che si amano. La sposa, soprattutto al mattino, deve mettere in atto la sua sensibilità e semplicità. Iniziare bene non sempre è facile. Non è bello lasciarsi per andare al lavoro senza salutarsi, perché primavera è anche incontrarsi con uno sguardo, stringersi la mano.
Occorre però chiedere aiuto al cielo perché tenga stretto quel filo sottile che vi unisce. Allora ne temporale ne brina potranno spezzarlo, anzi, passata la tempesta, l'estate porterà quella pace e armonia che serviranno a rendere il dialogo più sereno e amorevole. Sarà dunque facile parlare con dolcezza, senza alzare la voce ...
Ecco il Signore vi aiuterà a comprendere il valore del silenzio, della confidenza e comunione di vita tra di voi.
Arriva l'autunno, non roviniamo il raccolto. Preparatevi a raccogliere in sintonia le gioie e anche i dolori della giornata. Cercate sempre l'armonia, l'unità nella buona e nella cattiva sorte, nel bene e nel male. Sarete in grado di accogliere il tramonto che è preannuncio dell'inverno.
Questa è la stagione dell'aridità, del non sentire trasporto dell'uno verso l'altro. Facciamo però memoria della bella stagione passata, che certamente con un po' di pazienza ritornerà, ricordiamo che sempre c'è una primavera che dà la sua fioritura.
Siamo dunque certi che ogni stagione può dare il suo raccolto.
Impariamo ad ogni stagione a metterlo nel granaio del nostro cuore per poterlo usare quando il sentimento non palpita, diventa freddo ... Allora non diamogli ascolto, ma ricordiamo che il cielo è sempre lì che aspetta, che desidera tenere unito quel filo sottile che unisce le nostre vite". 

32.) IL SANTISSIMO SACRAMENTO A SAN GIACOMO
Il Vescovo di Verona, Mons. Carraro, condizionato dalle voci maligne che circondavano l'attività frenetica di Vittorino, era prevenuto nei suoi confronti cosicché quando il fratello gli chiese un colloquio per alcuni chiarimenti, il Presule trovò mille scuse per non riceverlo. Vittorino, tramite alcuni amici, fu tanto insistente che alla fine il Monsignore cedette.
Allora Vittorino con semplicità infantile inizio: "Eccellenza, lei non può non ricevermi. Lei è il mio papà.  Io sono una pegoretta ed ho bisogno dell'erbetta ... Se sbaglio el me lo diga, ma se fasso ben, el me incoraggia".
Commosso Mons. Carraro si rese conto della trasparenza e bontà d'animo di Vittorino e gli concesse di tenere il Santissimo Sacramento a San Giacomo.
Da quell'occasione il fratello decise di portare sempre una lunga tonaca bianca, l'abito dell'accolito, ministro dell'Eucarestia, un segno di rispetto per il nuovo arrivato e come indicazione del maggior impegno alla purezza che il privilegio di avere vicino Gesù Eucarestia richiedeva.

***

Senza il contatto con il Santissimo Sacramento sarebbe stato difficile per Vittorino condurre la sua vita seguendo le orme evangeliche. Lui stesso lo ammette più volte negli scritti apparsi sul giornale della Congregazione:
" ... Il vero gusto della conoscenza delle cose di Dio -dice- l'ho provato guardando a lungo e adorando Gesù nel sacramento dell'Eucarestia, per cui posso dire che il libro per eccellenza per me è proprio l'Eucarestia ... Infatti quando noi ci comunichiamo riceviamo il suo nutrimento che è vero aumento di grazia. Più mi nutro perciò di questo cibo, più conosco, mi vedo e sono contento di essere ciò che il Signore vuole che io sia. Inoltre in questo libro ho letto ed incontrato la SS. Trinità, le tre persone divine ... ". (21)
E ancora: " ... Quando lo riceviamo con fede, lui si dona a noi e noi a lui. In questo scambio di amore reciproco la nostra intelligenza si trasforma per diventare una casa nuova, ristrutturata, dove lui può abitare. Lei dunque è presente e da questa sua presenza scaturisce un'energia formidabile e nuova: la volontà. Queste due facoltà in armonia, intelligenza e volontà, sono in questo modo in grado di guidare la nostra mente...
Quando lui era in questa nostra nuova casa dove regna la liberta e l'amore, lui volentieri vi rimane. Lui mi guarda, io lo guardo, anzi gli dico: -Ecco, la sorgente dei sentimenti che zampilla in questo mio cuore l'affido a te, prendila in mano e poiché ti amo pure con tutta la mente, ti affido questa mio computer, guidalo!
Avviene, cosi, un matrimonio d'amore fra l'intelligenza e la volontà da cui scaturisce il frutto che è la libertà...". (22)
"Don Giovanni Calabria e don Luigi Pedrollo stavano delle ore in raccoglimento prima e dopo la celebrazione dell'Eucarestia. Ed è per questo che dopo la Santa Messa porto tutti in cappelletta della Madonna e incenso l'immagine di Gesù. Con questo rito cerco di evitare che succeda quello che spesso accade e cioè che appena ricevuta la Santa Comunione si scappi fuori dal tempio. Mentre questo è il momento più bello e propizio per ascoltare, se facciamo silenzio dentro di noi, la sua voce. E' proprio qui che trovi un momento di Paradiso che da la pace, che ti da la gioia d'amare anche se hai il mal di testa o qualche altro disturbo ... ". 
La fede di Vittorino nella presenza viva di Gesù all'interno dell'Eucarestia è uno stimolo per noi tutti ad aumentare la nostra. Ascoltiamo ancora le sue riflessioni:
"Spesso mi chiedo: perché Gesù ha voluto essere presente in un pezzo di pane? Perché ha voluto che noi lo assumessimo come cibo? Vuol dire che l'anima nostra, per nutrirsi, ha bisogno di questa cibo e solamente di questo.
Perciò Gesù è dentro di me insieme con il Padre e con lo Spirito Santo, ma una volta che lui e in me, piccolissimo cosmo, io sono ripieno di lui, ecco che forte sento in me il desiderio di entrare in lui, infinito amore, macrocosmo. Perché prepotente sento il desiderio di essere preso per mano, di essere aiutato come fa la mamma con il figlio ... ". 
"Per chi crede l'Eucarestia è Gesù vivo e in lui c'è racchiusa tutta la storia dell'umanità, storia di schiavitù e di liberazione, storia di morte e di resurrezione. E in particolare è presente la mia storia, la storia di ognuno di noi, con le proprie debolezze e gli interventi liberatori del Signore della storia ...
Il segreto che ci fa scoprire questa presenza anche nel silenzio più profondo o nel buio più completo è la carità ...
Quando cioè noi siamo in grazia di Dio, dentro di noi viene ad abitare Gesù, è lui stesso l'amore, la carità. Questa presenza ha la sua fioritura che sono i buoni desideri. Se questi vengono accolti e coltivati con amore, lo Spirito Santo li trasforma in frutti, cioè in azioni di carità ... e la forza e l'energia per poter coltivare questi desideri buoni possiamo trovarla solo nell'Eucarestia, perché qui, e ve lo dico per esperienza, si acquisisce la volontà per esprimerli ed il coraggio per combattere tutto ciò che è stonatura e disordine ... ". 
E per concludere un ultimo pensiero:
" ... Proviamo ora a trasportarci col pensiero in una cappella o in una chiesa dove si celebra la Santa Messa e ascoltiamo il sacerdote. Quelle che pronuncia sono parole misteriose quando alzando la patena la benedice. "Questo è il mio corpo!" e alzando il calice: "Questo è il mio sangue!".
E' l'Eucarestia, miracolo e mistero di morte e resurrezione.
Immerso, sprofondato in questo mistero mi unisco a Gesù e per questa sintonia con il Figlio vengo trasportato a contemplare il Padre.
Questa è unità, comunione dove la nostra mente trova nu­trimento, dove riceviamo la vita che ci anima, ci scuote e solleva dalle depressioni e dallo scoraggiamento. Com'e bella la fede! Solo così sapremo superare dolori e prove, sapremo come accettarli perchè in questo atteggiamento di offerta al Padre ci sentiremo da Lui amati, guardati perchè uniti al Figlio nel mistero del dolore.
Andiamo dunque a ricevere con fede l'Eucarestia, dove Gesù è presente con la sua passione, morte e resurrezione affinchè la nostra vita ne diventi un riflesso". (26)

33.) LO SPAZIO FIORITO MARIANO
Il gruppo "Spazio Fiorito" e le Case di San Mauro nacquero con Vittorino e don Adelio (ora Vescovo in Brasile) nel 1978 all'interno del gruppo giovani già esistente nell'Oasi di San Giacomo. Il fratello aveva sempre avuto un debole per i giovani. Teneva gli incontri settimanali a San Giacomo differenziandoli per età: dai preadolescenti ai giovani di 25 anni.
Dalla fine degli anni '70 cominciò a chiamarli gruppi dello "Spazio Fiorito Mariano" per dare l'idea della speranza e della bellezza insite nella gioventù correttamente educata ad amare il Signore e la Madonna.
Egli era con loro un fanciullo fra i fanciulli. Appassionatamente curioso della modernità, sfogava con essi la sua straordinaria passione per l'elettronica. Li coinvolgeva dietro quel armamentare tra fili e spine per fare in modo che la voce predicante dalla chiesa si spandesse per tutta la casa e venisse registrata nel suo studio. Oggi rimangono migliaia di cassette con la sua voce e pagine e pagine scritte al computer. Aveva anche un' agenda elettronica e un computer portatile su cui scriveva anche in automobile, quando all'improvviso gli veniva un pensiero, una massima, un riflessione.
Per mantenere stretti i collegamenti con i giovani decise anche di iniziare, sul giornale mensile della Congregazione "L'amico", la pubblicazione di una rubrica riservata ai giovani, pure chiamata "Spazio Fiorito".

***

Dal giornale riportiamo come Vittorino considerava lo scorrere della nostra vita e come, di conseguenza, nello "Spazio fiorito mariano" cercava di educare i giovani a vedere i segni del Cielo nel vissuto quotidiano:
"Apriamo l'incontro di stasera con questo pensiero:  Oggi, Signore, ti offro questa pagina della mia vita. Vorrei che tu, e solo tu, ci scrivessi sopra in modo che io, leggendola, potessi capire ciò che tu vuoi da me ed io, cosi, diventassi strumento della tua volontà e della tua parola.
Pensiamo ora a questo foglio bianco della nostra anima.
Consegniamolo al Signore, scriva pure tutto ciò che vuole. Sara il nostro documento, firmato dal Verbo, che noi un giorno, l'ultimo, presenteremo al Padre celeste. E sarà il nostro lascia passare ...
Ma e veramente possibile che avvenga tutto questo?  Si, ascoltate.  Non è già come se ci trovassimo in un bel parco e gustassimo tutti i colori ed i profumi della terra e dei fiori?  Signore rimani! Desideriamo ancora per un po' godere questa spirito, questa presenza!  Ed ora scusa se ti parlo con confidenza: ma tu Signore, stai scrivendo sul nostro foglio bianco?
-Si -mi dice- se pensi a me, se fai silenzio dentro di te ed ascolti. Sappi che solo in questo atteggiamento puoi incontrare il Consolatore: solo quando accogli volentieri i suoi doni, che lui e pronto a versare in abbondanza su chi lo cerca, trasformando e sublimando limiti e povertà di ogni cuore umile di bambino- ...
-Bene amico, ora ho già riempito questa tua pagina bianca, adesso dammi il tuo spirito, il tuo corpo, perché attraverso il mistero celebrato nell'ultima Cena desidero entrare nel profondo del tuo essere per donarti l'amore del Padre.
Ed ora che stai diventando strumento docile, per lo spirito di lode e ringraziamento che è in te e nei presenti, posso far sentire al cielo le meraviglie di un'anima capace di comunicare la pace, l'unità, la gioia e l'allegria ricevute in dono. Custodisci bene questo tuo foglio, non sciuparlo. E' mio e tuo insieme. Se vuoi ti aiuto a leggerlo ogni giorno, semplicemente. In cambio desidero la tua fiduciosa perseveranza-". 
In un'altra occasione paragona la vita alla crescita del grano ricordando la parabola evangelica:
" ... il regno di Dio e come un uomo che getta il seme nella terra; dorma o vegli, di notte o di giorno, il seme germoglia e cresce ... Osserviamo i vari momenti.
- ... Poiché la terra  produce spontaneamente prima lo stelo ... -.
E' la primavera del fiore, dell'uomo. Siamo appena agli inizi di un'esistenza. Il freddo, la brina sono un grosso pericolo. Allo stesso modo la mancanza d'affetto, d'attenzione può provocare dei traumi. Il bambino che è ancora immaturo comincia col dire subito: NO! Ma noi che non siamo più bambini, stiamo attenti a non dire "NO" alla volontà del Padre, ma cerchiamo di favorirla in piena maturità.
- ... Poiché la terra produce spontaneamente prima lo stelo e poi la spiga ... -. Ecco il flore, il giovane, il ragazzo, ma anche questo tempo ha la sua sofferenza, la sua prova. Per il giovane questa è l'età del risveglio, del piacere. Benedici Signore i giovani di questa età, ma anche chi, pur non essendo più giovane, non ha ancora superato tali desideri. Don Calabria diceva: Non c'è età, non c'è dignità, non c'è santità ... Questo perché è la nostra natura, benché riscattata dal battesimo, che porta in se le conseguenze del peccato originale.
- ... Poi il chicco pieno nella spiga ... -. Ecco il frutto. Un chicco, più chicchi.  La gioia di aver superato la crisi ed essere frutto che da lode al Padre. Come il tralcio quando è legato alla vite da frutto, pure noi, arrivati alla maturazione, godiamo del risultato a gloria di Dio ed a bene delle anime. Noi siamo tutti chiamati a questa maturazione, a questa santità
- ... Quando il frutto è pronto, si mette subito mano alla falce, perché è venuta l'ora della mietitura ... -. E' l'età tra i 18 ed i 20 anni. il periodo della prova della fede. Che sofferenza, che dolore, povera pianta, che lamento! A questo punto siamo chiamati a maturarci, a fare un ulteriore passo. Domandiamo al Signore fede matura, fedeltà, abbandono nelle sue mani. Oh grande, immenso dono!
- ... Ma dopo la mietitura ecco il momento della macina ... -.
Macina è il matrimonio, la comunità, la società, il vivere insieme. Qui occorre essere disposti a rinunciare, anzi ad essere felici di trovarsi nella sofferenza che unisce. Infatti ogni sofferenza accettata porta in se la gioia, come il chicco pieno quando diventa farina. Siamo noi disposti a trasformarci da grano in farina? Questo è già cammino verso la santità. Nella vita di un uomo ci sono tanti stadi, tanti piani ed ogni piano presenta la sua difficoltà, la sua sofferenza, ma anche la sua gioia, se questa e vissuta alla luce della fede, della speranza, della carità.
- ... Con la buona farina si fa poi un buon impasto ... -. E' l'unione, la comunione. Noi tutti siamo chiamati a diventare una cosa sola con il Padre, il Figlio, lo Spirito Santo, mistero di unità e trinità.
- ... Il buon impasto poi da un buon pane ... -. L'unità che costa sacrificio acquista un valore immenso. Che sofferenza però essere passati al forno per cuocere! Noi pure dobbiamo diventare un buon pane per il nostro prossimo, ben cotto per essere digerito. Lasciamoci dunque cuocere dal fuoco dell'amore di Dio, per lodarlo, ringraziarlo, assomigliare a Gesù che, nell'Eucarestia, ha voluto farsi pane per essere mangiato ...” (28)

34.) LE CASE DI SAN MAURO
Col tempo crebbe il bisogno di un ulteriore spazio per radunare, almeno una volta al mese, tutti i gruppi giovanili per un fine settimana di preghiera e discussione collettiva. Durante l'estate, inoltre, per ogni gruppo si organizzavano campi scuola della durata di una settimana. D'estate ci sono ragazzi che possono andare in vacanza ed altri no, i quali restano preda di avventure occasionali.
Nelle parrocchie è difficile creare un ambiente per loro. La Congregazione metteva a disposizione i giovani studenti della Casa di Nazareth per aiutare fratel Vittorino a gestire i campi scuola, ma serviva uno spazio apposito.
Ecco come si arriva alla costruzione delle case di San Mauro secondo le parole di Giuseppe Todeschini:
"Eravamo un gruppetto di amici molto vicini a Vittorino. Un giorno gli proponemmo di fare una casetta in montagna per stare insieme in compagnia. Due del gruppo avevano un appezzamento in montagna, lo cedettero volentieri per costruirvi sopra 4 villette. Alla fine furono tutte cedute gratuitamente all' Opera don Calabria che le usa non solo per il nostro gruppo, ma per tutte le esigenze della Congregazione. La prima casetta chiamata "Don Calabria" e riservata ai Superiori, la seconda chiamata "Santa Chiara" è per il ritrovo delle ragazze, la terza "San Francesco" per i ragazzi, è la quarta per le famiglie".
Data la devozione di Vittorino per la Madonna, in occasione della festa dell'Assunta a San Mauro la Congregazione organizzava una grande festa.
Vittorino precedeva la Santa Messa con un Rosario meditato ed una piccola processione. Di seguito invitava tutti ad un rinfresco allietato dal lancio delle caramelle ("Benedette dalla Madonna e salutari" diceva il fratello).
Tutti coloro che incontrava nel periodo precedente li invitava a partecipare alla festa dell'Assunta soprattutto se si trovavano in difficoltà, perché era convinto che in quell'occasione la Madonna avrebbe esaudito la fede e la preghiera dei partecipanti all'incontro.”

***

Dall'impegno profuso nello "Spazio Fiorito" e nella realizzazione delle case di San Mauro, si deduce l'importanza attribuita da fratel Vittorino alla formazione dei giovani. Ecco chiaramente il suo pensiero scritto sul giornale della Congregazione:
"Guardando alla TV gli esercizi di alcuni acrobati cinesi del circo, c'era da rimanere a bocca aperta e da domandarsi: Com'e possibile?
Ebbene se vogliamo meditare assieme sulla nostra formazione cristiana e, in particolare, sulla necessità di coltivare le virtù per diventare cristiani autentici, può essere utile considerare lo sforzo che deve fare l'atleta per poter dare i suoi meravigliosi spettacoli acrobatici.
Si capisce allora l'importanza di esercitarci ogni giorno, con perseveranza, altrimenti campioni non si diventa. Analogamente lo scopo per cui si frequenta questo o altri gruppi, dev'essere quello d'imparare a dare vitalità al nostro spirito per renderlo sempre pronto e disponibile ad ogni situazione, sia nel bene che nel male.
Il nostro cammino interiore mi fa anche pensare al concepimento di una creatura. Quell'atto d'amore viene come sigillato dal Creatore. L'anima della persona umana viene deposta nella materia del corpo per poi, insieme, svilupparsi come uomo o donna, il cui fine è quello di entrare nell'eternità beata.
La durata della nostra vita la paragono al concepimento ed allo sviluppo della persona che verrà partorita, con la morte, alla vita eterna.
La formazione spirituale ha una sua gradualità, molto simile a ciò che avviene in natura. Osserviamo la primavera, quando ha inizio la fioritura. E' una stagione piena di desideri, nella quale avvengono incontri meravigliosi che sono causa di fecondazione e di maturazione con i relativi frutti. Poi l'estate porterà la gioia del raccolto.
Non molto diversamente accade per lo spirito. In questo cammino di formazione, pieno di luci e ombre, ci sostiene la grazia del Signore e la cura materna della Vergine. E accanto ad essi, non dimentichiamolo, c'è l'aiuto efficace del nostro angelo custode. Dovremmo sentircelo sempre al nostro fianco, soprattutto nel momento della prova, la quale può arrivare in qualunque stagione. Ma ogni stagione può dare anche frutti gustosi e sarà proprio a lui che affideremo il buon raccolto delle nostre azioni.
La formazione deve portarmi ad essere proprietà dell'Amore ed a raggiungere la pienezza della libertà. Lo Spirito Santo e l'animatore della mia anima. Devo cercarlo, invocarlo, amarlo. Appena entrato nell'Opera io invocavo continuamente: Vieni Spirito Santo, vieni su questo povero ignorante che non capisce niente!
Questa preghiera non era solo riflessione, ma anche orazione profonda, che mi portava alla contemplazione. E il Signore mi assecondava con ogni tipo di grazia, perché quando pregavo, lo Spirito era in me, mi animava nell'orazione. Così lui godeva che io godessi, perché mi voleva sempre più libero e sempre più amante della Verità e della Giustizia ... ".

35.) INIZIA UNA NUOVA VITA
Quando nel settembre del 1997 venne sostituito come Superiore dell'Oasi di San Giacomo, fratel Vittorino non la visse come una decisione contro di lui, ma come un cambiamento dei piani di Dio sulla sua vita. In ogni modo è scritto nello Statuto della Congregazione che un superiore non possa mantenere la carica più di sei anni.
Inoltre, superata l'età degli 80 anni, era prevedibile che la dirigenza fosse affidata ad un altro più giovane, don Fabio Santambrogio, con cui instauro e mantenne sempre ottimi rapporti.
Abbandonata l'attività più impegnativa della direzione, poté dedicarsi interamente agli incontri personali.
Aveva tirato la carretta per tanti anni. Ora era giunto il momento di fare la parte dell'asino in liberta. Perciò ebbe a scrivere:
" ... Non avendo più la responsabilità diretta delle Case che dipendono da questo centro, libero perciò da preoccupazioni e distrazioni materiali e vivendo con letizia la parte dell'asino, la missione dell'accoglienza specifica di questa casa prende ora un sapore nuovo, tanta e la gioia che questa nuova esperienza trasmette. La serenità che ne risulta mi rende ancor più disponibile verso gli ospiti di questa casa e verso tutta la comunità".
Il fratello si alzava all' alba e verso le sette era già in chiesa a preparare l'altare per la Messa e ad esporre il Santissimo. Con la comunità religiosa recitava le lodi mattutine e assisteva alla prima Messa della giornata. Poi veniva la colazione con caffelatte, panbiscotto e magari un po' di quella frutta che a lui piaceva molto.
Alle nove iniziavano i suoi incontri con le persone. Il fratello riceveva in uno studio a pochi passi dalla chiesa. Sulle pareti troneggiavano i ritratti dei suoi grandi esempi di vita e di misericordia: don Giovanni Calabria, padre Leopoldo da Padova e padre Pio da Pietralcina.  Sul tavolo di legno spiccava l'immancabile vassoio di caramelle.
Ad evitare che nascessero inutili polemiche, venivano distribuiti dei biglietti numerati e così ognuno -ed erano cinquanta e a volte più- attendeva con pazienza il suo turno nell'ampio salone accanto o nel corridoio davanti alla porta del suo studio.
Chi avesse voluto ingannare il tempo in maniera da non sprecarlo, poteva giocare al gioco della Sapienza. Cera e c'è  ancora -ed e diffusa in tutte le case dei Poveri Servi- una tabella appesa al muro, con novanta pensieri denominati "Gocce di Sapienza" e sottostante una cassettina con i numeri della tombola. Si pesca un numero e si va a leggere il pensiero corrispondente.
Poniamo che si peschi il n. 40. Il pensiero dice: "Il contadino sotterra ai piedi dell'albero: frutti marci, foglie caduche ... così ciò che era sterile contribuisce ad una nuova fecondità".
Il n. 60: "Il Signore predilige i bambini e chi loro assomiglia."
Il n. 82: "Niente è più dolce che pensare sempre bene del nostro prossimo".
Il n. 88: "Diffondete il santo contagio del bene".
Sono massime di don Calabria, porticine di servizio attraverso cui si può dare un'occhiata allo spirito dell'Opera.
A mezzogiorno il fratello concludeva gli incontri del mattino e si concedeva una pausa per il pranzo, assaporando ciò che passava il convento.  Nel pomeriggio, dopo una breve pausa in cui si riposava, riprendeva gli incontri con una Messa alle 15,30.
Caricava su di se i problemi di tutti, anche fisicamente talvolta, come un povero Cristo nell'orto degli ulivi sopportando forti emicranie e riempiendosi di fastidiosi foruncoli.
Non predicava la penitenza, ma il dovere di "custodire i sensi".
Alle costrizioni, alle flagellazioni, alle restrizioni corporali preferiva un digiuno particolare: "il digiuno del peccato".
Ai giovani che si apprestavano a far qualche scelta diceva: "Il papa, la mamma, sono d'accordo?".
E agli sposi: "Tuo marito, tua moglie, sono d'accordo?".  Era fermamente convinto che "in un matrimonio ben riuscito i due sposi vivessero l'uno per l'altro, prevenendo ciascuno i desideri e le necessita del partner".
Sentiamo come lui stesso descrive il suo metodo di aiuto:
"Sono moltissime le persone che si accostano ogni giorno alla casa di Incontri di San Giacomo. I problemi che presentano sono i più diversi, spaziando dal campo fisico a quello psichico, spirituale e morale ...
Il primo problema e quello di cercare di approfondire la loro conoscenza. Più si conosce una persona, più si comprende quanto sia difficile definire in modo assoluto e soddisfacente la conoscenza stessa.
In secondo luogo, se si desidera veramente aiutare il prossimo con tutti i suoi problemi quotidiani, occorre partire spogliandosi di se stessi e chiedendo allo Spirito il dono della sapienza e di una grande pazienza. Solo così è possibile instaurare un rapporto di amicizia, di fiducia e di stima reciproca, anche se spesso dall'altra parte si riscontra molta inesperienza o sfiducia.
Con tutto questo voglio dire che la cosa più importante, nei confronti del nostro prossimo bisognoso di aiuto, e quella di metterci in atteggiamento di ascolto e di massimo rispetto e non pretendere subito di risolvere ogni problema.
Questo sforzo di pazienza e di attenzione all'altro ci permette di mantenerci in un atteggiamento di chiarezza, buonsenso e comprensione, e ciò vale molto più che dare subito ai vari problemi delle risposte affrettate e senza fondamento.
Occorre invece dare la speranza dove mancasse, ma soprattutto occorre condurre la persona che domanda un consiglio o un aiuto ad avere una fede di adorazione al divino volere.
Colui che si trova ad operare dunque come strumento, deve una volta che e chiamato a svolgere questa missione (perché di missione si tratta) deve, ripeto, anzitutto pregare. Direi che ha questo obbligo di coscienza di pregare per la persona che intende aiutare, proprio come il nostro Padre don Calabria faceva insistentemente.
Pertanto più che intervenire subito e direttamente, è meglio programmare diversi incontri, finché, piano piano, tutto si pacifica o si risolve, ma prima di tutto è sapiente intercedere perché intervenga lo Spirito Santo e Colei che ne è la sposa, affinché portino luce sul problema.
In conclusione, per aiutare il prossimo occorre rispetto verso la libertà della persona che ci chiede aiuto, e solamente quando questa è  entrata nella fiducia e chiede una risposta precisa, solo allora, dopo aver pregato, si può dare un parere, un consiglio, un indirizzo, mai pero un comando. Nessuno infatti può delegare ad altri la responsabilità delle proprie scelte".

36.) LA GIOIA DELLA SPERANZA
Vittorino, nonostante le preoccupazioni personali ed il coinvolgimento in quelle altrui, aveva un animo "bambino", era giocondo e giubilava cantando: "Me godo parchè son contento e son contento parchè me godo", concludendo: "Ah, quanto l'e bon el Signor!".
Così diceva: "Ai bambini, ai poveri e a tutti coloro che soffrono nella carne e nello spirito, offri sempre un sorriso gioioso parlando al loro cuore della speranza e con infinita nostalgia di Dio". Era bambino e si divertiva a giocare con gli usignoli, che aveva ammaestrato a volare sui suoi ospiti, in testa, tra i capelli, e a saltare sulle statue della Madonna e dei Santi e a dare bacini a quell'altro Bambino che era Gesù.
Giocava con Dio e con le espressioni del dolore di don Giovanni Calabria: "Io sono zero e miseria, però se davanti a me ci metto Gesù che fa 1, allora divento 10. Ma Gesù è più di 1, e 10, e allora io divento 100. E se Gesù è 100, io allora divento 1.000 ... ".
Amava i frutti, i fiori dei campi, gli uccelli dell'aria, i colombi che gli andavano incontro per cogliere un pezzetto di biscotto e lo facevano sorridere.
Terminata la Messa era solito portare gli ospiti giù in cappella e incensare le immagini di Gesù Bambino, del crocifisso, della Madonna e poi le persone esclamando: " ... e adesso me godo ancora di più, perché, appena fatta la Comunione, siete immagini vive!" e colloquiando con la Madonna e con il Signore:
"Mammina -diceva-, me raccomando, ghe quela persona che ga proprio bisogno e quel'altra che ga una bruta malatia ... Signor non bisogna che te me abandoni, aiutemo quele persone la ... ".
Al termine della giornata, dopo cena, il giullare di Dio partiva per le famiglie e gli ospedali.
Ritornato verso la mezzanotte, aveva l'eroico coraggio di ripartire immediatamente quando fosse di nuovo chiamato per altri incontri, altri fardelli da portarsi a casa e da caricare sulla spalle misericordiose di Dio.
Durante il giorno raramente guardava la televisione. Era molto interessato, invece, ai discorsi del Papa e se li faceva registrare. Poi, con qualche giovane accanto, se li risentiva chiedendo spiegazioni. Non sappiamo se ne avesse effettivamente bisogno oppure se lo facesse per approfondirli assieme all'interlocutore.
Non leggeva quasi mai i giornali. Un quotidiano è fatto più di cattive notizie che di buone e per la sua vita, che era una costante processione di sofferenze, non avrebbe avuto molto senso leggerli.
Tre anni prima di morire aveva visitato le missioni dell'Opera in Brasile, in Argentina, in Paraguay ed in Umguay. Voleva andare anche in Angola, ma non ne ebbe il tempo.
Ai preti ed alle sorelle di quei luoghi, che parlavano un'altra lingua, lui si espresse nel suo dialetto, facendosi comprendere grazie a quella capacita di comunicazione che andava direttamente al cuore.
I missionari di ritorno in Italia o di passaggio a San Zeno, non mancavano di sostare dalle parti di San Giacomo per ascoltare le novità del fratello intraprendente e anche per appoggiare una causa sulle spalle del vecchio economo, che non si risparmiava nella ricerca di soluzioni adeguate e soprattutto di intelligente Provvidenza.

***

Considero utile riportare la spiegazione che fratel Vittorino stesso dava del rito dell'incenso dopo la Santa Messa:
"Anche oggi, come sempre, dopo aver ricevuto Gesù Eucarestia nella Santa Comunione, durante la Santa Messa o la funzione, scendiamo in cappella dalla Mamma. Scendiamo per dirle ancora grazie di averci dato Gesù e per incensare, dopo il SS. Sacramento, anche le immagini sacre che ci accompagnano nella vita quotidiana.
Forse vi fa impressione che lasci il turibolo davanti al Signore, sentite che profumo!
Questo è un incenso speciale, viene dalla Terra Santa, chissà come lo gradisce Gesù!
Sono certo però che molto più del profumo dell'incenso il Signore sia contento di cogliere il nostro profumo.
Infatti spesso io vorrei essere quell'incenso profumato che sale, sale in alto. Allora mi dico: come faccio a donarti il mio profumo?
E semplice, il profumo che noi possiamo donare a lui e l'ubbidienza alla sua volontà, le buone azioni, le virtù che lo Spirito Santo ci aiuta a coltivare dentro di noi.
Io paragono queste opere a fiori diversi dai mille colori e mille profumi. Ogni virtù un fiore, ogni azione di carità un profumo.
Faccio un esempio: il profumo soave della sua umiltà ha fatto si che Maria diventasse grembo e Madre di Gesù; il profumo soave dell'accettazione del dolore immenso della croce, ha fatto si che lei diventasse Madre nostra. Allo stesso modo noi, attraverso le azioni della carità e l'accettazione della volontà del Padre, facciamo fiorire tutte le virtù le quali, a loro volta, oltre a salire come profumo al cospetto di Dio, fecondano il nostro cuore rendendo Gesù presente nel nostro essere e facendoci strumenti di benedizione.
Si, perché se ogni fiore da un profumo diverso, incontrandosi due fiori danno un buon frutto. Questi frutti maturi e saporiti non sono opera dell'uomo, ma doni squisiti di Dio, che riceviamo da lui in proporzione alla nostra fede.
Tutto è dono suo, le nostre facoltà, la nostra mente, il nostro cuore: sono regali del suo amore che dobbiamo trasformare in profumo soave per dare gloria a lui, in segno di riconoscenza e adorazione.
Pensate ai grandi santi, come Francesco, Antonio, S. Rita, don Calabria: il profumo delle loro virtù non si è spento con la loro morte perché continua a salire al cospetto di Dio ed a trasformarsi in grazia su grazia.
Perchè non ci impegniamo anche noi a vivere come i santi per offrire il nostro profumo al Cielo?".

37.) LA NUOVA CHIESA
Nel 1996 un temporale danneggiò il campanile della chiesa più alta di San Giacomo. Nello stesso periodo venne a visitare il complesso il Sovrintendete ai Beni Culturali della Provincia di Verona, prof. Fontana, che tra l'altro era un vecchio amico dell'Opera.
Promise aiuti per la ricostruzione del campanile, alla condizione che venisse rifatto, fra l'altro, anche il tetto della chiesa più bassa (che a quei tempi era ancora in lamiera, come un capannone).
Entrata in vigore, nel frattempo, la nuova legge sull'infortunistica, si era reso necessario anche l'adeguamento della Casa Incontri per poterla rendere agibile a norma di legge.  Qualche tempo prima un noto architetto di Verona aveva ricevuto un beneficio da fratel Vittorino e quando tornò per ringraziare, il fratello gli fece una battuta: "Ma lei che è architetto, come vedrebbe questo luogo? Dobbiamo adeguarlo". L'architetto andò sull'ambone e senza impegno fece un disegno, rimanendo a fianco dell'Eucarestia che, come tutti i giorni, era esposta in chiesa; poi uscì e mostro un progetto per la chiesa della Casa Incontri e ... a sorpresa anche un disegno per portare a termine l'incompiuta chiesa di san Giacomo alto. La Provvidenza rese subito disponibili anche un ingegnere ed un maestro restauratore per quest'opera che il fratello ripeteva insistentemente essere di Gesù: "Io non sarei mai riuscito ad immaginare un'opera di questo genere; mi sono abbandonato a Dio ed ho lasciato che il Divino Architetto facesse tutto!" .
Nel gennaio del 1997 iniziarono le operazioni che dovevano riguardare solo l'esterno. Invece l'architetto decise di modificare anche l'interno.
Vittorino era perplesso perché pensava alla spesa finale e alle critiche che potevano nascere di aver sperperato soldi per un' opera troppo grandiosa.
Tuttavia accettò le numerose varianti sia estetiche che funzionali.
Le spese furono pagate tutte un'ora prima della morte di fratel Vittorino grazie a provvidenziali contributi arrivati da numerosi amici.
Conferma l'ingegnere: "Il fratello voleva un tempio dedicato all'Eucarestia per esaudire le richieste del Signore. Ed ecco il significato dei disegni interni, opera del pittore Osvaldo Trombini.
Il giardino terrestre: come qui l'uomo era in contatto con Dio, così nell'Eucarestia si ripristina il clima di confidenza e di vicinanza che i primi uomini ebbero con la divinità. Dalla luce delle finestre entra un verde fogliame che dipinge le pareti come un paradiso terrestre. I tronchi d'albero slanciati verso l'alto rappresentano l'uomo che s'innalza verso Dio, il cielo e stato dipinto con quella balconata per dare un effetto di curva naturale accentuata dal brillare delle stelle. In definitiva si è voluto ricreare l'ambiente del paradiso terrestre dove viveva l'uomo prima del peccato originale. Dalla croce dell'altare viene Dio, vivo nell'Eucarestia e qui l'uomo può riconciliarsi ed incontrarsi con Dio. Questo pensiero si è sviluppato insieme tra fratel Vittorino, l'architetto e il pittore".

***

Fratel Vittorino, però, non dimenticava anche la parrocchia in cui viveva ed era inserita l'Oasi di San Giacomo: Vago di Lavagno.
In particolare aiutò economicamente la costruzione della nuova chiesa parrocchiale e le regalò il bassorilievo in bronzo che è posto davanti all'altare maggiore.
Esso descrive il Paradiso come Gerusalemme Celeste. S'ispira al capitolo V dell'Apocalisse in cui San Giovanni Apostolo, nella visione profetica che Dio gli ha rivelato, contempla l'Agnello immolato (Cristo), ritto sul trono davanti al Libro aperto che porta incise le lettere greche "alfa ed omega" (l'inizio e la fine) e attorno a lui angeli e santi che gli fanno corona proclamano in eterno: "L'agnello che è stato ucciso è degno di ricevere la potenza, la ricchezza, la sapienza e la forza, l'onore, la gloria e la lode per sempre!".
Fra i santi si può notare la Madonna, la più alta delle creature. Poi un martire che simboleggia tutti coloro che hanno dato il sangue per amore di Cristo. E alcuni santi del terzo mondo per esprimere l'universalità della Chiesa. Un gruppo famiglia per esprimere che la famiglia e chiamata a vivere nel suo intimo i misteri del regno. Infine i Santi legati alla comunità parrocchiale di Vago: San Zeno, patrono di Verona, San Francesco, patrono di Vago, il beato Giovanni Calabria, per la comunità religiosa che e presente nella parrocchia, e don Giobatta Tessari, il primo parroco di Vago (dal 1900 al 1945) che tutti coloro che hanno conosciuto considerano un santo.
Don Roberto, l'attuale parroco di Vago, così spiega la scelta dell'opera:
"Perché abbiamo messo il bassorilievo del paradiso nel pagliotto dell'altare maggiore? In molte chiese c'e l'ultima cena o altre raffigurazioni o solo dei fregi ornamentali. Secondo noi un'immagine sacra posta in chiesa deve contenere un messaggio che diventa vivo nel momento della celebrazione. L'immagine dell'ultima cena è un doppione tra quello che essa dice e quello che si celebra sopra l'altare, per cui risulta inutile. L'immagine del paradiso, che io e fratel Vittorino abbiamo scelto, ha invece un significato profondo. Mentre noi celebriamo la liturgia di oggi, anticipiamo, pregustiamo e prepariamo la liturgia celeste. Celebriamo la Santa Messa come pegno per l'eternità. Veniamo redenti oggi un po' alla volta per essere redenti per sempre (beati) in Cielo. Noi oggi poniamo sull'altare le realtà terrene perché, trasformate da Cristo, diventino un annuncio di quelle eterne. Noi siamo il popolo non ancora salvato, nel Paradiso ci sono i santi che sono definitivamente salvati. Noi siamo il "non ancora", loro sono il "già". Nella liturgia con riti, con canti spirituali, con vesti bianchi, lodiamo il Signore per creare qui in terra un po' di Paradiso, per far si che tutta la terra venga trasformata, spiritualizzata. Siamo in cammino verso il Cielo, verso il Paradiso".

38.) L'ULTIMO GIORNO
All'interno del suo computer, Vittorino teneva un diario nel quale troviamo un passo che a noi sembra opportuno ricordare nuovamente al lettore:
"Ognuno di noi più o meno consapevolmente è autore, scrittore del libro della propria vita, dalla nascita fino all'ultimo respiro. Giorno dopo giorno, le parole di questo libro si riempiono delle nostre storie: azioni buone e meno buone, sentimenti diversi, incontri, scontri. .. quante parole. Se con l'immaginazione scorro le pagine dove c'è il mio passato, scopro che saper scrivere bene il proprio libro non è questione ne di culture, ne di sapienza o di furbizia, ma è una questione di amore e di disponibilità.
Infatti dove il mio cuore e tutto me stesso sono stati servizio e servizio verso il povero (inteso materialmente che spiritualmente) allora la scrittura, l'inchiostro si fa più luminoso. Allora penso: che sia stato il mio angelo custode in persona a scrivere quelle righe? Ricordo d'averlo tanto invocato, pensavo anzi d'averlo al mio fianco quel dato giorno, in quella situazione! ... e avanti cosi, pagina dopo pagina. A voi dico perciò che se al mattino offriamo la nostra giornata al Signore e la concludiamo con un esame di coscienza ed un ringraziamento, alla fine del giorno il nostro angelo sarà felice di scrivere a caratteri luminosi la nostra storia!".
Scrisse l'ultima pagina la mattina del 20 dicembre 1997. La dedico agli incontri consueti con il popolo dei disperati e dei sofferenti.
Era un po' più stanco del solito, ma disponibile come sempre ad altri incontri.
"I miei mi chiamano. Ho chiesto al Signore che mi prenda in Cielo" aveva scritto ed era partito poco dopo mezzogiorno dalla sua Oasi di Vago.
Alle ore 10,30 Vittorino aveva ricevuto la visita di un nipote, Emanuele, che gli suggerì di andare a trovare il fratello Paolo a Zevio, dato che era molto tempo che non si vedevano.
Vittorino chiamò allora sua nipote Daniela, che egli amava chiamare la sua "butina", per guidare la macchina. Lei lo trovo triste e abbattuto.
"Come stai zio?" chiese.
"Ah, butina, son proprio stanco, non ghe la fasso più ... Ho tanti dispiaceri. .. ".
Furono le sue ultime parole.
Verso le ore 13, mentre la FIAT Uno guidata da Daniela procedeva regolarmente sulla strada tra Vago di Lavagno e San Martino Buon Albergo, ad una curva la Renault, condotta dal ventottenne Marco Bragantini di Verona, urtando la FIAT la manda a sbattere violentemente contro un autocarro guidato da Moreno Vineo, 25 anni, di San Martino.
Solo fratel Vittorino e la ragazza riportarono conseguenze fisiche. Daniela venne ricoverata al reparto di stomatologia dell'ospedale  Maggiore per fratture multiple con prognosi riservata.
Lo scontro frontale, invece, aveva fatto sbattere lo sterno di fratel Vittorino, senza cintura di sicurezza, contro la parete anteriore della macchina provocandogli ferite che non sembravano così gravi come poi si rivelarono.
Quando venne portato all'ospedale di Borgo Roma era perfettamente cosciente, nonostante il dolore. Parlava con i  medici durante i controlli.
"Ha sofferto con dignità -ricordano i sanitari- pregando e chiedendo scusa addirittura per il disturbo arrecato".
Ai dottori diceva: "Non seguite me ma la mia butina". Invece aveva una brutta emorragia interna causata dalla rottura dell'aorta.
Negli ultimi momenti di fratel Vittorino gli furono vicine alcune persone tra cui la signora Floriana che asciugo il sangue uscente da sotto il mento del moribondo.
Vittorino prese per mano la donna, che per tanti anni lo aveva aiutato, dicendo: "Rimani vicino a me e ricordati che questa sofferenza va offerta per i nostri fratelli ammalati, per l'Opera e per la Chiesa".
Gli amici ricordavano che aveva parlato di incidenti nelle sue riflessioni di due sere prima, quasi un presentimento.
Dopo le 16 di quello stesso giorno si aggravò ed emise l'ultimo respiro.

***

Sul giornale mensile dell' Opera don Calabria, dove per tanti anni Vittorino aveva uno spazio assai apprezzato, qualche mese dopo così Romolo Lodetti lo ricordò:
"Dotato di una natura esuberante e forte e di un qualcosa di imprevedibile negli slanci della sua fede, ci ha lasciati improvvisamente come rapito su un carro di fuoco.
Solo una forza esterna poteva rapirci quella quercia di vigore umano e spirituale.
La Divina Provvidenza, che si serve delle cause seconde, gli ha dato il tempo di rioffrirgli il suo irrefrenabile amore a Dio ed agli uomini.
Qualcuno può essere rimasto sorpreso dal suo comportamento atipico, talora strano, fuori di ogni convenienza e privo talora di quel tatto psicologico e "savoir faire" di un politico o di un astuto intellettuale.
Ma veniamo ad un piccolo ricordo: un giorno, a pranzo a casa mia, espande la sua esuberanza e gioia dicendo: -Bisogna gridare a gran voce la nostra fede - e così di colpo si alza, esclama alcune parole col suo vocione con un tono così alto che fece vibrare, lo udimmo tutti, il nostro lampadario di vetro in mezzo alla tavola ... ridemmo insieme.
Ma questa sua voce divenne, con gli anni, sempre più dolce: egli aveva trasformato il dono della sua forza in un delicato e sommesso dialogo di amore con ogni persona.
Quale immenso lavoro nella sua anima, che subiva, oltre a critiche ed incomprensioni, anche sofferenze fisiche e tentazioni di ogni genere.
Il suo maestro era don Giovanni, il suo santo, cui restò fedele come un fanciullo, vivendo il senso della Provvidenza ad un punto tale che rasentava la follia di una fede totale nella paternità divina del Cristo. Egli sconcertava chi non lo conosceva bene.
Il Vangelo che viveva era "sine glossa", ma questa radicalità non era invasiva, se la teneva tutta e solo per se, legata al fine della fede e dell'amore paterno di Dio.
Con lui è morto qualche cosa di esperienza unica, vicino a don Giovanni e poi a don Luigi Pedrollo.
Non c'è nulla da fare, oggi le troppe prudenze turbano la fede. Sapeva con don Giovanni che oggi occorrevano santi e lui si era gettato a capofitto nella più grande avventura che un uomo sulla terra può affrontare, quella della santità, costi quello che costi.
Non era certo suo modello quello della testa storta, tutt'altro egli sconcertava per la sua forte personalità espansiva e per la sua varianza di atteggiamenti psicologici che riusciva ad adattare alle più diverse condizioni di vita con i poveri ed i ricchi, gli ammalati ed i dotati di forze imprenditoriali, i dotti ed i semplici.
Siamo soliti fermarci alle valutazioni superficiali dei comportamenti, ma il "noli iudicare" del Vangelo lo impersonava ed il suo giudizio cercava solo il buono delle persone e delle cose, come aveva imparato dal suo Casante.
Egli era ben a conoscenza dei limiti umani e dell'ignoranza culturale. Per questo venne un giorno apposta a Folgaria, dove mi trovavo in ferie estive, strinse penna e quaderno e con pazienza volle spiegazioni da medico sull'uomo, sul corpo umano. Mi meravigliavo mentre prendeva appunti e mi domandava ragione della scienza, anzi mi avrebbe voluto con lui a San Giacomo per aiutarlo nella parte medica.
Egli non si spaventava dinanzi a qualsiasi richiesta che fosse una obbedienza di amore. Allora pur con forti mal di testa cerca di far anche di conto per l'Opera, dovette cioè fare per un certo periodo anche una specie di economo e si dovette far aiutare da un fratello competente, ma ce la spunta.
Era poi geloso delle sue anime, perché le seguiva e voleva sapere. Un giorno molti anni fa lo chiamai per il mio cuore che se ne andava in aritmia fuori dei limiti. Mentre ero sul divano mi strinse al petto per alcuni minuti fortemente con le sue mani sul cuore. Poi se ne andò con parole di fiducia. Mi dimenticai di ringraziarlo e con mia sorpresa mi fece sapere a distanza di tempo che aspettava di sapere qualcosa ... così corsi a ringraziarlo. I troppi impegni medico-scolastici mi aveva distratto.
Seguiva, partecipava di ogni persona che curava a modo suo, voleva sapere non per curiosità, ma per amore di aver fatto tutto il possibile per quell'anima.
Conoscendo quanti segreti di amore tenesse nel cuore dell'amato don Giovanni Calabria, lo invitai a riferirmi qualcosa del padre. Venne a Pacengo, nella casa dove don Giovanni aveva celebrato circa trecento messe e la mi aiuta a ricordare alcune sue testimonianze dirette e riservate della vita del padre, episodi sconcertanti che ho ripreso ne "I fioretti di don Calabria". Ciò che mi colpì era il fatto della sua semplicità infantile nel narrare cose incredibili, mentre chiedeva un cenno di assenso al sacerdote che lo accompagnava, se poteva o meno dire un certo fatto.
Eccoci allora nell'altra dimensione in cui l'amore ci fa vivere, ma ciò che fu di esempio in lui fu l'obbedienza letterale alle sfumature delle parole di chi lo dirigeva. E di lavate di capo ne prese tante, comprese quelle del suo amato don Luigi Pedrollo, che non gli perdonò certe eccessive confidenze ... il Tabernacolo, dove egli ardiva bussare per aiutare il suo amatissimo padre don Calabria.
La Chiesa ci dirà col tempo il suo giudizio, molto si narrerà ancora di lui e della intensità di varie esperienze, ma già oggi tutti possiamo dire: abbiamo scoperto come si può amare con sapienza anche nella povertà culturale e nell'obbedienza, quando il cuore trabocca da tutto l'umano in tutto il divino mistero di amore.
Egli si attardava nella notte, la nel silenzio, quando la preghiera formale addirittura si sospende, per divenire con il cuore diretta contemplazione d'amore e dove l'anima si alimenta del dono ineffabile promesso: Io, Gesù, ho mandato il mio angelo per testimoniare a voi queste cose ... Lo Spirito e la sposa dicono: -Vieni! -. Chi ha sete venga, chi vuole attingere gratuitamente l'acqua della vita (Ap.17).
E lui ci ha trasmesso qualcosa del Sublime, di commovente ed inenarrabile".

39.) TESTIMONIANZE DI RELIGIOSI
Don Alfonso Trettene, parroco di S. Zenone in Palù (Verona): Dicembre 1969. Ricoverato per una grave emorragia all'ospedale di Villafranca, vivo momenti di grande paura ed apprensione perché sento la vita spegnersi poco a poco. I miei familiari sono molto preoccupati e non sanno più cosa fare. Informato fratel Vittorino, che conosco da circa tre anni, viene a trovarmi a tarda notte. Nella luce soffusa si accosta al mio letto e, informato della mia grave situazione, tenendomi la mano si autoinvita a mangiare il risotto a casa mia quando sarò dimesso.
Infine mi dice: -Il Signore ha un segno su di te, ti vuole suo sacerdote- .
Abbiamo pregato insieme con la sua benedizione come faceva sempre alla sua maniera. Lì per lì non ho badato a quello che diceva, mi sembravano cose senza senso. Sta di fatto che, dopo due mesi, uscito dall'ospedale debole ma ristabilito, i miei genitori hanno mantenuto la promessa e l'hanno invitato a venire a mangiare il risotto a casa mia.
Da questa serata partì un incontro quindicinale, il mercoledì sera, frequentato da una cinquantina di persone della zona.
Quando fratel Vittorino riportò gli incontri solo a San Giacomo, io li frequentavo il sabato sera e la domenica.
E' stato un tempo d'intense esperienze accanto al fratello. Sono stato aiutato in altri momenti di difficoltà che lui capiva e nei quali sapeva orientarmi. Fino al 1977, quando, dopo un pellegrinaggio in Terra Santa, dopo aver parlato col padre spirituale del Seminario, che mi presentò anche al vescovo mons. Carraro, gli ho comunicato che sarei entrato in Seminario.
Allora Vittorino mi disse: -Ecco, è arrivato il momento!-, quasi a spiegare che la profezia aveva avuto bisogno di tempo per diventare realtà secondo la volontà del Signore.
Quale gioia fu per lui vedere il suo "fioleto" diventare prete e chiedermi la benedizione del Signore.
Mercoledì 17 dicembre 1997, dopo un bel po' di tempo che non ci vedevamo (e lui mi aveva cercato molte volte o mandato a salutare) mi ha accolto con grande gioia, mostrandomi la casa rinnovata e ricordandomi che tre volte aveva rischiato di morire, ma don Giovanni gli aveva detto che non era ancora pronto. Poi aggiungeva di aver offerto la vita, davanti a Gesù Eucarestia, per le anime, per i preti e per l'Opera.
Abbiamo concordato un incontro di preghiera mensile a Palù, nella mia parrocchia, com'era suo grande desiderio, perché questa zona gli ricordava i primi anni della sua vita nell'Opera.
Invece, dopo tre giorni ci ha lasciato. Nella mia parrocchia l'incontro lo abbiamo tenuto ugualmente e lui ci è parso presente a pregare con noi e per noi, perché anche qui si accenda e viva quel "fogheto" che scalda le persone nella carità. Grazie, fratello!

P. Giovanni Semenzin di Bussolengo (il suo confessore dopo don Pedrollo): ho conosciuto fratel Vittorino tramite un amico comune che abbiamo aiutato a costruire un'azienda. Io ero il padre spiriruale e fratel Vittorino era il procuratore, l'ispiratore dell'azienda grazie alla sua capacità di prevedere i buoni affari ed al suo intuito nel mondo dell'economia.
Tra me e lui non ci furono mai incontri conviviali come cene o inviti al bar, ma solo incontri per scambi spirituali. Qualche volta ho partecipato alle grandi liturgie che lui teneva a Vago aiutandolo nella confessione.
Quando cinque anni fa sono diventato suo direttore spirituale, gli ho detto di smetterla con gli affari materiali e di pensare di più allo spirito e lui mi ha obbedito docilmente.
Era un adoratore dell'Eucarestia tant'è vero che, quando seguiva un caso straordinario, in ginocchio mi chiedeva l'autorizzazione di portare con se l'Eucarestia all'interno di una piccola teca nascosta tra i vestiti per affrontare meglio queste situazioni difficili. Pensava che la presenza reale del Cristo potesse risolvere qualsiasi situazione disastrosa. Il suo animo da bambino lo rendeva innamorato dell'Eucarestia. Alla scuola di don Calabria, poi, aveva imparato ad avere fede.
In altre occasioni mi chiedeva il permesso di portare il Santissimo nella sua camera da letto per passare la notte in ginocchio davanti al Signore a pregare.
Non viveva secondo schemi ordinari, ma quasi ispirato da Dio faceva quello che Lui gl'ispirava di fare. Per questo non era un confratello comodo ne per i religiosi dell' Opera ne per la gerarchia ecclesiale. Eppure era un uomo di una umiltà e di un'obbedienza estreme. Quando io gli dicevo "no", non insisteva, non tornava sullo stesso discorso, anzi mi baciava la mano e diceva: "Grazie!".
L'ultima volta che è venuto da me per la confessione mi ha salutato baciandomi tre volte ed aveva le lacrime agli occhi: non l'aveva mai fatto. Forse si sentiva che era proprio l'ultima volta.
Durante il funerale quando la bara è uscita di chiesa all'improvviso un raggio di sole è spuntato tra le nuvole grigie ed ha baciato il legno dov'era inserito fratel Vittorino. Poi il cielo si è nuovamente chiuso e la giornata e tornata ad essere uggiosa e fredda come prima.

Suor Paola Faccia (sorella di Fratel Vittorino), Superiora delle Suore Carmelitane del Convento di Clausura di Gravina in Puglia: ... Avevo 10 anni quando mio fratello Vittorino è andato religioso "Povero Servo della Divina Provvidenza" dell'Opera Padre Calabria e non ho avuto la possibilità di rendermi conto dell'eccezionalità della sua personalità se non quando sono venuta al Carmelo di Gravina.
Da quel tempo, ossia dal '71 in poi, fratel Vittorino è venuto quasi ogni anno a trovarci e la sua presenza tra noi era sempre una vera festa dello Spirito.
Semplice, spontaneo, ma profondo e ispirato aveva il dono di dire sempre le cose che erano necessarie per ciascuna e per le situazioni immediate anche se lui non ne era a conoscenza.
Alcune consorelle hanno sperimentato a più riprese i benefici dei suoi doni carismatici sia nel fisico come nello spirito, doni che egli offriva, molto spesso, spontaneamente, senza che gli si fosse detto che c'era una malattia e un dispiacere. Si vedeva chiaramente che intuiva e si restava stupite quando faceva il gesto di imporre le mani sulla parte dolorante senza che gliene fosse stato fatto il minimo accenno. Sempre lo abbiamo visto portatore di una fede semplice e potente che trascinava e convinceva senza sforzo.
L'ultima volta che è venuto a trovarci, il 7 settembre 1997, lo abbiamo visto per pochi attimi alla grata della chiesa e non ha parlato quasi per niente, ma nel salutare una consorella anziana molto inferma, cieca e paralizzata, le si è inginocchiato davanti e le ha dato il suo crocifisso dicendo: -Questo lo tieni in mio ricordo, ora che vado in Paradiso-. Al che tutte abbiamo sorriso pensando: è la sorella che va prima in Paradiso, cosa dice il fratello?
Ma poi i fatti gli hanno dato ragione .. , certamente sapeva!".

Suor Maria celeste Candeliere. Fratel Vittorino è per me il gancio tra la terra ed il cielo, il tramite tra l'uomo e Dio, a cui con semplicità ed umiltà parlava davanti al tabernacolo esprimendo di ciascuno i bisogni, le pene, i problemi, le malattie ...
Con semplicità si rivolgeva a Gesù ed a Maria e al Padre don Giovanni Calabria per noi.
Per me è stato il fratello maggiore, l'amico, l'aiuto, il sostegno, l'intercessore: ha pregato ed ha ottenuto la mia guarigione dal cancro nel '90.
Lo incontravo a Gravina (Bari) quando veniva al Carmelo da Suor Maria Paola (sua sorella) e io sono stata più volte a San Giacomo.
Ora continuo a pregarlo come se fosse vivo, ma mi manca tanto la sua voce, il suo conforto, la sua consolazione. Ora dalla Gerusalemme celeste possa proteggerci come in vita tutti e ancora di più.

Don Roberto Lonardoni (parroco di Vago): "Fratel Vittorino era un' anima semplice, tanto semplice che poteva confondere le persone che volevano "sapere" più di lui.
Le persone che chiedevano un incontro con lui erano di tutte le categorie: gente del popolo, sofferenti ed anche persone importanti. Lui trattava tutti allo stesso modo, con la semplicità che gli ispirava il Signore. Trasmetteva fiducia nel Signore e nella Sua Provvidenza. Questo affidarsi al Signore creava in lui e negli altri una serenità spirituale che talvolta poteva favorire addirittura il "miracolo".
Quando gli dissi che intendevo costruire la chiesa nuova a Vago, mi ha incoraggiato, affidandomi alla Divina Provvidenza. Era tanta la gioia che provava quando gli facevo vedere i primi passi ed i progetti della chiesa che la sentiva come un'opera sua.
Quando gli ho proposto di aiutarmi nell'affrontare la spesa del "paliotto" dell'altare, un bassorilievo in bronzo raffigurante il Paradiso, ha aderito con entusiasmo. Avevo infatti pensato di mettere fra i santi attorno all'Agnello divino anche il Beato Giovanni Calabria.
"Lei me lo porti qua -mi disse-, lo mettiamo in vista nella nostra cappella ... e ci pensiamo noi!".
Lo faceva vedere alle persone che visitavano l'Oasi di San Giacomo e in poco tempo raccolse i soldi per pagare tutta la spesa ..
L'anno scorso abbiamo pensato di collocare nella chiesa di Vago una grande icona raffigurante lo Spirito Santo che guida la chiesa veronese sulle vie della santità.
-Quanto è bella questa chiesa -mi diceva spesso-. Vorrei tanto venire qui a fare qualche riunione di preghiera con tanta gente! Vorrei prendermela sulle spalle e portarmela dovunque vado. Qui si prega vera mente bene!-.
La sua sensibilità, lo spirito di preghiera, la semplicità del suo cuore che creava un dialogo immediato e spontaneo, l'hanno aiutato a fare tanto bene non solo presso la Casa Incontri di San Giacomo, ma anche alla parrocchia di Vago.
Con tanta gioia e riconoscenza la parrocchia di Vago ha ospitato la celebrazione delle sue esequie. Tutto ispirava serenità e ringraziamento a Dio per la testimonianza fedele e buona che fratel Vittorino ci ha lasciato. Quasi è stata una festa, una festa di Cielo, l'incontro con l'amico Gesù, che lui aveva tanto amato, lo Sposo Divino che lo attendeva, nell'abbraccio del Padre, per iniziare da quel giorno la festa del Paradiso. Una festa che durerà per sempre nel cuore del Signore. Grazie fratel Vittorino".

Don Giovanni d'Ercole, Capo Ufficio della Segreteria di Stato delta Città del Vaticano: "La notizia della morte di fratel Vittorino ha colto di sorpresa tutti. Improvvisa ed inaspettata, violenta e inesorabile si e abbattuta su quanti conoscevano ed amavano questo "piccolo" uomo di Dio, dalla sapienza del cuore penetrante e dal tatto umano ricco di premure e di finezze. Si è chiusa in poche ore la sua vicenda terrena ed è rimasto in tutti un senso di rassegnata tristezza, illuminata dalla speranza cristiana.
La sua morte ha reso testimonianza alla sua vita: è avvenuta mentre egli era in servizio sulla strada per portare, come aveva fatto per lunghi decenni, il conforto e la luce del Vangelo a persona bisognose. E se n'e andato in punta di piedi, chiedendo scusa per il disturbo ed invitando i medici a preoccuparsi più che di lui, delle altre persone coinvolte nel funesto incidente che ha segnato il traguardo finale della sua esistenza terrena.
E' morto sulla strada. Quanta strada ha percorso questo uomo saggio ed umile, di giorno e di notte, per correre da chi aveva fame di Dio, sete di umana comprensione, per rispondere all'appello di chi domandava spesso un aiuto non di rado immediato e faticoso!
L'ho conosciuto anch'io in una di queste sue frequentissime missioni. Era una sera d'agosto ed il nostro Fratello aveva percorso centinaia di chilometri per incontrare delle persone. Mi ha impressionato la freschezza del suo tatto ed il garbo con cui ascoltava e parlava. Per me, abituato ad incontrare gente, è stata una lezione di come si accolgono le persone a cuore aperto.
Egli mi confidò che vedeva in ognuno Gesù ed era felice di poter dedicare tempo e passione per servirlo. Fu per me una lezione di vita pratica ed una non preventivata esperienza apostolica, di quelle che ti lasciano il segno perché le vedi scaturire da un'esistenza fatta di servizio d'amore a Dio ed al prossimo. I suoi maestri erano stati maestri d'eccezione: don Giovanni Calabria, fondatore della sua famiglia religiosa, e don Luigi Pedrollo, primo collaboratore e poi successore del suo padre spirituale.
Parlava con entusiasmo di loro e della Congregazione a cui apparteneva. Mi fece scoprire la ricchezza spirituale e mistica di questi fedeli apostoli del Vangelo della carità.
Sono rimasto legato a lui come un amico ed un fratello. L'ho rivisto più volte, è venuto a trovarmi in diverse occasioni, abbiamo parlato a lungo di Dio e del prossimo, di temi spirituali e di problemi materiali, della Chiesa e del mondo, dell'Italia e delle missioni per le quali voleva fare sempre di più.
Ho potuto conoscere un po' il suo animo e ne sono rimasto edificato, mi sono sentito compreso ed ho rimpianto di non aver fatto tutto quello che potevo per venire incontro alle sue discrete e cordiali richieste di collaborazione. Anch'io, come molti, avrei episodi e racconti da riferire che fondamentalmente vanno a confermare quell'immagine abbastanza consolidata della sua semplicità di spirito e di immediatezza d'equilibrio umano che lo rendevano ad un tempo concreto nelle decisioni e geniale nelle intuizioni.
Ricordo ad esempio il suo fanciullesco trasporto per l'Eucarestia che rendeva evidente un amore rivestito di fede ed una fiducia senza ombra di dubbi. Come quella volta che lo vidi quasi riposare il suo capo sul tabernacolo e parlare a Gesù come si parla ad un amico fidato, con confidenza, chiedendo con la certezza di aver già ricevuto quanto si domanda.
Mi tornano alla mente i dialoghi serali, anzi notturni, al suo rientro dalle visite alle famiglie, quando ho avuto la fortuna d'imparare da lui il tatto pastorale per i cosiddetti "lontani" e la disponibilità a tutte le ore per i fratelli, poiché la carità non ha ore.
Come si fa, poi, a non ricordare il suo tenero amore per la Madonna, che leggevi nei suoi comportamenti ed in ogni sua parola? E come non sottolineare la devozione per il Papa che l'animava con l'entusiasmo di un giovane? Credo sia morto offrendo la vita per il Santo Padre. Mi ha ripetuto più volte, sapendo che lavoro in Segreteria di Stato fra i collaboratori del suo ministero apostolico universale: "Vorrei incontrare il Papa per dirgli che la mia vita la offro per lui, anzi -aggiungeva- diglielo tu che io prego il Signore perché accetti in sacrificio la mia vita e doni salute e vita a lui che sta facendo un bene indescrivibile alla nostra umanità". Sono questi aspetti della personalità del nostro Fratello che meritano d'essere posti in evidenza.
Fratel Vittorino trasmetteva a tutti una illimitata fiducia nella Provvidenza divina di cui e stato, a mio avviso, un testimone tra i più significativi del nostro tempo. La sua vita e piena di "fioretti" che nulla hanno da invidiare a quelli dei primi seguaci di Francesco o di altri santi dei quali leggiamo nella corrente agiografia.
Ubbidienza e fiducia, semplicità e tenacia, abbandono totale in Dio e fatica fisica, sacrificio: ecco gli ingredienti di quotidiani miracoli avvenuti alla luce del sole, molti dei quali sono sulla bocca dei suoi confratelli e di chi l'ha conosciuto senza che essi meraviglino più di tanto.
Per lui si trattava di cose ordinarie: semplicità dei santi che trovano normale che il sole si fermi o la montagna si sposti quando viene domandato al Signore con la confidenza dei piccoli. Non lo dice il Vangelo? Nulla e impossibile a Dio e tutto diventa fattibile quando si poggia sulla onnipotenza divina. Più siamo fragili e più sorprendente si manifesta l'intervento del Cielo.
E proprio vero: i miracoli esistono ancora, sono i nostri occhi che non sono in grado di riconoscerli perché poco illuminati dalla fede.
Fratel Vittorino è un maestro in questa campo, perché con la sua fanciullesca fiducia riesce ad ottenere prodigi e nulla lo ferma, nulla lo spaventa poiché e sicuro che Dio gli è Padre e lo ama come il più piccolo dei suoi figli. Ci vuole soltanto una francescana e disponibile accondiscendenza.
Quando si ripensa a certi episodi della vita di questa fratello, torna alla mente il brano evangelico di Luca: -Io ti rendo lode, Padre, Signore del Cielo e della terra, che hai nascosto queste cose ai dotti ed ai sapienti e le hai rivelate ai piccoli. Si, Padre, perché così a Te è piaciuto!-.
Ecco la realtà vera che capiscono quanti cercano innanzitutto il regno di Dio, sapendo che tutto il resto viene dato in aggiunta. L'essenziale è Dio. Non è superfluo ricordarlo a questa nostra umanità, assetata di contatto e comunione e sempre pili incapace di trovare strade che conducano effettivamente alla realizzazione di se.
Fratel Vittorino è un discepolo che si fa maestro su questo cammino di "semplificazione" dell'esistenza. Cerca Iddio, trovalo e mantieniti suo amico ... tutto il resto vena da se. Questa filosofia di vita, il Fratello più che predicarla la trasmetteva esistenzialmente, in modo immediato e facilmente percepibile. E tutto ciò con grande serenità, con il volto ilare d'un fanciullo. Mi torna alla mente una nota espressione di Sant'Agostino: -Il più delle volte -egli scrive- noi spezziamo il pane ai poveri con un volto triste e brontolando, perché lo facciamo per toglierci d'attorno la seccatura di chi domanda, non per rianimare le viscere di chi ha bisogno- (Enarr. in ps.42,8).
Non era cosi per fratel Vittorino, anzi era esattamente l'opposto e la gente se ne accorgeva e veniva a lui come ad una fresca fontana di serenità.
Non e forse vero che attraverso di lui veniva veicolato un messaggio di speranza per tutti? Iddio, sembrava dire con il suo modo di essere e di agire, è nostro buon papa perciò parliamogli con confidenza di figli affezionati e riconoscenti. Non c'è difficoltà nella vita che non abbia una risposta dal Cielo e, se qualche volta non arriva quel che aspettiamo, vuol dire che per noi e bene così. E' la santità del quotidiano proposta a tutti, grandi e piccoli, giovani ed anziani.

40.) VITTORINO, INSEGNACI A PREGARE
Per concludere il viaggio alla scoperta di una delle personalità più affascinanti e misteriose dell' Opera don Calabria, facciamoci insegnare dal fratello come pregare.
Vittorino definì la preghiera "come l'acqua amica che spinge il fiume a scorrere lentamente attraverso percorsi non sempre piani, a volte tormentosi, su e giù, uno slargo, una strettoia e poi ancora un respiro ... Questo fiume silenzioso è pieno di contrasti e di armonia è la fede che ha bisogno di essere continuamente alimentata da nuova acqua: la preghiera umile e semplice ... Allora il fiume scorrerà con potenza sempre cre­scente, perché spinto dal desiderio e dalla volontà di raggiungere il mare, lo spazio infinito che ha sempre sognato ... "
Spesso cominciava i suoi interventi pubblici con la frase:
"Mandaci il tuo Spirito per insegnarci a pregare, e rinnoverai la faccia della terra".
Ed ecco a San Mauro, in una notte d'agosto, un gruppo d'incontro guidato da Vittorino come pregava:


"PADRE NOSTRO...
Io sono tuo figlio, oh Signore Gesù!
Padre, sono tuo figlio,
perché redento dal tuo figlio Gesù.
Ti ringrazio di averci offerto il Consolatore
E di averci dato questa certezza,
certezza ricevuta nel battesimo.

CHE SEI NEI CIELI ...
Io sono quaggiù e tu sei lassù.
Ma noi siamo chiamati ad entrare in quella realtà,
non siamo fatti per la terra, ma per il cielo.

SIA SANTIFICATO II TUO NOME...
Come santificare il tuo nome? Attraverso l'orazione,
in sintonia con la tua presenza riflessa in noi,
con il tuo nome sulle labbra e nel cuore.
Così entriamo in contemplazione!

VENGA IL TUO REGNO...
Noi dobbiamo vivere per questo Regno
E siamo chiamati a dare la nostra adesione:
"Non possiamo servire due padroni...".

SIA FATTA LA TUA VOLONTA'...
Grazie, o Gesù, che con questa preghiera,
che ci hai insegnato, sei stato coerente;
infatti hai detto:
"Non la mia volontà, ma la tua, o Padre".
Non c'è preghiera più bella!
Essa è profumo e armonia.

COME IN CIELO, COSI' IN TERRA ...
Non è facile realizzare quanto dice questa preghiera:
sarà più facile domani in Cielo
compiere la volontà di Dio.
Nel "Padre nostro" l'espressione "sia fatta la tua volontà"
Spinge la nostra intelligenza
ad inserirci nella volontà del Padre,
mediante la fede che il Battesimo ci ha donato,
esso infatti ci ha consacrati figli di Dio.
Grazie o Gesù, perché oltre ad averci insegnato
Questa prima parte del Padre nostro,
con la Resurrezione ci hai mostrato che cos'e la fede.
La fede è partecipazione al mistero della tua vita immortale.
Una volta concepita nel battesimo,
dobbiamo nutrire la nostra fede.
Col Padre nostro pregato, meditato e vissuto,
noi riceviamo la forza di esercitarla
e quindi di maturarla.

DACCI OGGI IL NOSTRO PANE QU0TIDIANO...
Come gli uccelli dell'aria
che non seminano e non raccolgono, ma vivono ...
don Calabria
ha attuato in pieno il programma del "Padre nostro",
Ripeto, "dacci oggi il nostro pane quotidiano",
La Provvidenza ci offre davvero gli aiuti quotidiani:
per la missione dell'Opera
e per l'alimento della nostra fede.

RIMETTI A NOI I NOSTRI DEBITI COME NOI LI RIMETTIAMO AD I NOSTRI DEBITORI...
Cioè noi non meritiamo nulla, ma Dio ci perdona,
Mettere in pratica questa riflessione
Significa che
anche noi dobbiamo rimettere i debiti ai fratelli.
Ecco la luce che lo Spirito ci dona.
Dalla riflessione alla contemplazione,
alla rivelazione della grande misericordia di Dio.

NON CINDURRE IN TENTAZIONE, MA LIBERACI DAL MALE...
Se comprendiamo che il male...è la mancanza di bene, l'espressione significa:
liberaci da tutto il male, anche quello fisico.
Per chi ama il Padre ed il Figlio nulla e impossibile,
Gesù ha detto: "Ti sono rimessi i tuoi peccati, prendi il tuo lettuccio e va in pace".
E ancora Gesù chiede agli apostoli:
"Quanti pane avete? Quanti pesci?".
Ed è la Provvidenza, con la P maiuscola che provvede.

AMEN...
L'ultima domanda del "Padre nostro"
Ci da la garanzia che potremo ricevere tanti miracoli sia materiali che spirituali.
O Gesù, questa sera te ne chiedo tanti: io so che ti do un grande lavoro.
Ma sai anche che sono convinto che sono il tuo "zero".
Ti costa molto ascoltare quest'anima che piange?
Perchè vorrei consolare l'anima che chiede aiuto".


BIBLIOGRAFIA

RAFFAELLO CANTERI, "Fratel Vittorino Faccia ", Il miracolo dell'accoglienza e della parola,
I.E.T. Edizioni, Verona, 1998

IRENE MENEGHINI, "Don Giovanni Calabria: un profeta per la Chiesa ", Esercitazione scritta per il conseguimento del Diploma di Magistero in Scienze Religiose, Verona, Anno Accademico 1996/97,

"L'AMICO", il mensile della Congregazione Opera don Calabria.

Ringrazio vivamente mons Fausto Rossi che, dopo averci donato la biografia dell'amato padre don Luigi Pedrollo, accettò l'incarico di stendere la vita di fratel Vittorino Faccia e ne uscì un'opera documentata, scritta con intelligenza e brillante esposizione
Fratel Vittorino, chiamato con intuito dall'Autore"profeta della speranza", imitò vivamente il suo maestro don Calabria e seguendone lo stile ed il carisma, fece dell'accoglienza la sua missione, dimostrando, con la generosa e fattiva esistenza a tanti fratelli e sorelle mendicanti di speranza, che il loro sguardo, senza essere distolto dalla terra, deve quotidianamente essere rivolto al Cielo.

P.Waldemar J.Longo
Superiore Generale
Poveri Servi della Divina Provvidenza

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