martedì 27 agosto 2013

L´ARENA DI VERONA IN LUTTO. DOPO IL GRAVE INCIDENTE DEL 16 AGOSTO È MORTO «SPIKE» COSTANTINO FADDA,
UN PEZZO DI GIORNALISMO



Costantino Fadda (1928-2013) con la sua inseparabile macchina fotografica


Lutto nel mondo del giornalismo. È morto a Verona dopo alcuni giorni di agonia Costantino Fadda, storico fotoreporter de L´Arena. Originario di Alghero, aveva 84 anni. Il 16 agosto era rimasto vittima di un infortunio mentre realizzava un servizio fotografico per il nostro giornale. Ricoverato a Borgo Trento in condizioni gravi, non aveva mai ripreso conoscenza.


SI È SPENTO FADDA. CI LASCIA 
DOPO 50 ANNI DI FOTOGRAFIE



LUTTO. A otto giorni dall'infortunio sul lavoro, ha ceduto il grande cuore del nostro reporter

Avrebbe compiuto 85 anni il prossimo 12 ottobre, ma non amava festeggiare il compleanno né che qualcuno svelasse la sua età

Se n'è andato così come aveva sempre desiderato. Se proprio era «necessario» morire allora doveva avvenire sul lavoro.  
Non avrebbe mai sopportato di finire su una carrozzella, o di dover dipendere da altri. «Piuttosto mi dò una revolverata», diceva quando si toccava l'argomento, «finito me, finito tutto». È riuscito a decidere anche come morire. Anche quello, nella sua vita, lui che di decisioni altrui ne aveva subite poche, se non quelle che il destino gli aveva riservato. E che nemmeno lui sarebbe riuscito a modificare.
Sono stati otto giorni di attesa, ma senza possibilità di avere speranza, fino all'epilogo ieri alle 19.45. I funerali non sono ancora stati fissati.  
Il 16 agosto come al solito era arrivato in redazione da Montecchio Maggiore, sua residenza, verso le 9.30. Il primo passaggio necessario per lui, era quello nella sua casa veronese, in via Gaspare del Carretto, per aprire le finestre. Quindi c'era il giornale. Un'occhiata ai quotidiani in attesa di uscire per servizio. Quella mattina alle 10.30 c'era la conferenza stampa dai carabinieri. Costantino era elegante come sempre, raccontava di come aveva trascorso il Ferragosto.  Perchè per lui quello, come per tutti i giornalisti, non era un giorno lavorativo, ma nel caso fosse accaduto qualcosa sarebbe corso sul posto, come aveva sempre fatto.
Dopo la conferenza era tornato in redazione. E di nuovo fuori per il sopralluogo al Saval, dietro al supermercato di via Marin Faliero, per fotografare i luoghi che si credevano teatro di un'aggressione. Invece era stato un infortunio. Esattamente come quello che è capitato a lui.
Costantino è scivolato sui gradoni che portano al seminterrato del Migross. Ha battuto la nuca. E l'impatto con il cemento gli ha procurato un trauma cranico devastante. E in ospedale in questi giorni è stata una processione continua di parenti, amici, colleghi, rappresentanti istituzionali, che hanno voluto mostrare così il loro affetto e stima verso Costantino, ma anche alla moglie Livia, per testimoniare quando Tino avesse rappresentato per tutti.
Livia è sempre stata un punto fermo nella vita di Costantino. Anche se il tempo che passava fuori dalla loro casa di Montecchio Maggiore è sempre stato più di quello che stava con lei. Ma c'era il lavoro. E per Costantino esso è sempre stato sinonimo di vita.  
Avrebbe compiuto 85 anni, il 12 ottobre. Ma non amava nè festeggiarlo, se non con pochi amici che gli facevano credere che a pranzo si usciva per altre ragioni. E lui fingeva di crederci. «Fisicamente e uselmente (era un termine suo)», diceva, «non mi cambio con nessuno»: si sentiva una roccia e sfotteva i colleghi tutti ben più giovani di lui.
Mai un acciacco, Costantino, se non quando il primo di aprile del 2006, sempre durante il lavoro scivolò da un mezzo dirupo a Grezzana e si fratturò tibia e perone. Quando l'infermiera gli chiese che farmaci assumeva, quasi si offese e da buon sardo rispose: pecorino e cannonau. L'intervento chirurgico, e poi lui, che dal suo letto di ospedale faceva i «giri di nera», le telefonate a mezzo mondo, ai suoi informatori, per sapere se fosse accaduto qualcosa. In reparto furono costretti a dargli una stanza singola. Era un «disturbatore». Con l'auricolare attaccato all'orecchio anche quando dormiva. E di mettere in silenzioso il cellulare non era capace.
«Quando comprava una camicia nuova subito faceva il buco nel taschino per far passare il filo dell'auricolare», ricorda Livia.  Doveva sapere sempre, Costantino. Mal sopportava che qualcuno potesse arrivare prima di lui o venire a conoscenza di qualcosa prima di lui. La sua parola d'ordine era sapere. Doveva essere informato, essere sul posto. Perchè è sul posto che si va.  
«I giornalai (chiamava così ì colleghi che secondo lui non sono bravi), non alzano il culo dalla sedia. Il cronista di nera va sul posto». E lui sul posto c'era sempre. Ci sono state tante volte in cui è arrivato prima lui delle forze dell'ordine. Con la sua super car, addobbata con adesivi con il suo logo «Spike Fadda», che di recente aveva risistemato con aggiunte. «È importante che vedano che è la mia macchina», diceva, «così si passa. Con me si va ovunque». Ed era vero, tra il serio e il faceto, mandando magari a dar via i piedi chi si metteva di traverso, lui passava e scattava. Macchina fotografica al collo, macchinetta «spia» in tasca quando non bisognava dare nell'occhio. È morto stringendola in mano la sua macchina fotografica. Non l'ha mollata, mentre la vita stava mollando lui. (Alessandra Vaccari)



COSTANTINO FADDA ERA NATO IL 12 OTTOBRE 1928. LA CARTA D´IDENTITÀ DICEVA SASSARI MA LUI PRECISA



SPIKE

Costantino Fadda era nato il 12 ottobre 1928. La carta d´identità diceva Sassari ma lui precisava di essere di Alghero, e vantava origini catalane.
A soli 15 anni, durante la seconda guerra mondiale, era stato praticamente adottato dalle truppe americane che stavano risalendo la Penisola. Sotto la bandiera a stelle e strisce era stato prima a Livorno, poi a Trieste, a Villa Opicina, dove era stato inquadrato nel reggimento dei Rangers.  È lì che aveva cominciato a fare fotografie. Lo staff Usa lo aveva iniziato alla foto di boxe, foto di movimento in cui la prontezza nel cogliere l´attimo fa la differenza fra un´immagine utilizzabile e una sbagliata. E aveva continuato a far foto anche dopo, a Vicenza, quando gli venne l´idea di spedire negli Stati Uniti i fotoritratti dei soldati americani. Era bravo e svelto. Il passaggio alla professione di fotoreporter fu naturale. Esordì a La Notte, poi al Corriere Lombardo. Si fece conoscere. Negli anni Settanta approdò al Giornale di Vicenza. Poi il direttore Formenti lo chiamò a «L´Arena».


LA LUNGA GALOPPATA
DEL CAVALIERE, AL POSTO GIUSTO
NEL MOMENTO GIUSTO



È stato un privilegio per tutti noi avere avuto l´occasione di lavorare con Costantino Fadda. Fotoreporter a tutto tondo secondo una concezione che non è più di questi tempi ma che risale a quando il giornalismo si faceva consumando la suola delle scarpe, le foto con la pellicola in bianco e nero comperata a metri, lo sviluppo in casa dove una stanza veniva adibita a laboratorio con le vaschette con gli acidi, i giornali si stampavano con il piombo e l´inchiostro sporcava ancora le mani.

Fadda, il Cavaliere, era riuscito a superare tutte le rivoluzioni industriali ed elettroniche che hanno attraversato l´editoria e il fotogiornalismo restando sempre in sella, macinando una dopo l´altra millanta generazioni di editori, cronisti di nera, fotografi, prefetti, questori e comandanti di carabinieri e finanza grazie alla sua principale caratteristica: essere sempre operativo con l´entusiasmo di un bimbo. 

Tutti i giorni, festivi compresi, fossero anche Natale o Capodanno o il Primo Maggio, a tutte le ore del giorno, quando la cronaca nera chiamava e metteva in allarme il suo proverbiale fiuto della notizia.

Telefonava a qualunque ora della notte per avvisare che c´era stato un incidente mortale o un delitto: «Ho già tutto!» era il suo urlo.

Ma soprattutto l´inimitabile e inarrivabile vita professionale di Costantino Fadda si è potuta realizzare grazie a un unico, semplice segreto che dovrebbe essere il primo comandamento di ogni fotoreporter: essere l´uomo giusto nel posto giusto al momento giusto. 

A quel punto la foto esclusiva era assicurata. E farà il giro del mondo. Come, per citarne solo una, la foto della liberazione del generale statunitense James Lee Dozier rapito dalle Brigate rosse.

Per ottenere questo, non serve la fortuna. Servono il senso della notizia, l´entusiasmo e la capacità di crearsi una fitta rete di informatori, di amici, di collaboratori, che ti avvisano chiamandoti anche nel cuore della notte. 

Costantino se li coccolava, ricordandosi i compleanni, regalando fotografie, portando un panettone a Natale, offrendo caffè, ascoltando i problemi personali, con un lavoro di pubbliche relazioni da far impallidire i pr di oggi. 

E lui però doveva essere sempre pronto a partire, magari anche con i vestiti sopra il pigiama che non era riuscito a togliersi uscendo dal letto. Con la macchina fotografica sempre pronta, quella macchina fotografica che Tino cadendo ha voluto proteggere fino in fondo. Il suo mondo, la sua vita. Un insegnamento. (Maurizio Battista)



«GENTILUOMO DELLA STRADA» 
ENCOMIO CHE VALEVA PIÙ DI 100 MEDAGLIE



Costantino Fadda premiato dal sindaco Carlo Delaini

C'era una cosa a cui teneva molto ed era il riconoscimento che gli era stato dato conferito nel lontano 1972: «Gentiluomo della strada» recita il diploma. La firma in calce è quella di un grande giornalista: Nino Nutrizio, storico direttore del quotidiano "La Notte" e inventore di una nuova forma di giornalismo d'attualità. E anche quella volta «Spike» Fadda si era ritrovato dentro la notizia.
Cos'era accaduto? Basta sfogliare le pagine de L'Arena per ritrovare l'episodio che poi fu premiato. «A lampi di flash blocca il traffico», titola il nostro quotidiano. E infatti Costantino, dimostrando coraggio e sangue freddo aveva evitato il ripetersi della catena di incidenti che si erano verificati sull'autostrada per Milano, nei pressi di Peschiera. Nella nebbia, Fadda accortosi del pericolo incombente, aveva cominciato a scattare flash a ripetizione. Per oltre mezz'ora era rimasto sulla carreggiata, intirizzito (era il 16 di dicembre) per il freddo pungente, con il rischio di essere a sua volta travolto dalle auto che sopraggiungevano a forte velocità.
Poco prima infatti un'auto, dopo aver sbandato paurosamente si era capovolta, strisciando sul tetto e arrestandosi di traverso fra la corsia di marcia e quella di sorpasso. All'arrivo, la polizia aveva anche trovato un bel fuoco, che era stato acceso da alcuni volonterosi. I feriti erano stati portati tutti all'ospedale di Soave.
«Lei ha concretamente dimostrato di essere nello spirito della nostra iniziativa», gli ha lasciato scritto il direttore Nutrizio, «volta a incoraggiare un costume di puntuale civismo e solidarietà sulle strade». Il distintivo, insieme con gli altri più appariscenti, ha sempre viaggiato sul parabrezza che Costantino ha usato negli anni. Altri tempi...
Una soddisfazione gli era arrivata anche dal conferimento della medaglia al valor civile. La ricevette dalle mani dell'allora sindaco Carlo Delaini. Si scherzava poi sulla sua carriera...istituzionale partendo dal Cavalierato, per finire con la Gran Croce.
Il suo vero rimpianto però era un altro. «Se avessi un po' di cultura», diceva, «vi manderei tutti ...» e via con gli improperi. Ma la verità è che da Costantino imparavi.
Stando prima in macchina con lui alla guida e poi negli anni facendogli da autista apprendevi sul campo, in diretta, come si fa questo mestiere. O forse come si faceva, visto che allora non c'erano telefonini, tablet e altra infernale tecnologia, che ci ha fatto perdere il contatto con il marciapiede.
Il battesimo di fuoco «il contadino», come affettuosamente mi chiamava provenendo io dai vigneti di Soave, lo ebbi nel lontano 1984 nelle campagne di Zevio, davanti a un triplice delitto. Fortuna aveva voluto che in quell'estate il «maestro» Cantù fosse in ferie e così era toccato al corrispondente da Soave occuparsi della cronaca «nera». Fu una iniezione di adrenalina pura. Allora non c'era la scena del crimine. Con i carabinieri, c'era l'amico Ciuffetti, si potevano toccare i cadaveri. E allora vedevi «il sardo» dirigere le operazioni. «Vai di qua, vai di là, senti tizio, senti Caio...» Uno spettacolo impagabile. Una lezione universitaria di quelle che non si vedono più. (F.P.)


PERDIAMO UNA FIGURA DI SPICCO
UOMO DI VALORI E MAESTRO PER I GIOVANI




Costantino Fadda, storico fotoreporter de «L'Arena»


«Oltre a essere un valido professionista e una figura storica del giornalismo, era un uomo che rappresentava tutti i valori del nostro gruppo editoriale, cioè la professionalità, l´onestà intellettuale e l´attaccamento a Verona». L´ingegner Alessandro Zelger, consigliere delegato di Athesis, nell´esprimere il più profondo dolore per la perdita di un professionista delle doti di Fadda, ricorda anche il suo attaccamento alla professione e alla città.

Anche per il direttore de L´Arena, Maurizio Cattaneo, «Verona perde un professionista e un amico che voleva molto bene al giornale». Cattaneo sottolinea come con Fadda ci si trovasse di fronte a un professionista di caratura internazionale. «Sono lì a dimostrarlo», ha detto Cattaneo, «tutti gli scoop che ha realizzato in mezzo secolo di professione. Al giornale -ha aggiunto- mancherà una figura di spicco, sia per le sue conoscenze, che per la sua grande umanità. Il nostro Fadda ha insegnato il mestiere a generazioni di giovani, trasmettendo a tutti l´amore per la notizia, ma contemporaneamente il rispetto per le persone e per le regole di una professione difficile»



ADDIO A COSTANTINO FADDA
 UNA VITA DA FOTOREPORTER



Il ragazzino sardo «allevato» dagli americani negli anni della guerra mondiale era diventato un fotoreporter di valore assoluto. Nelle sue immagini la storia «nera» della Verona dagli anni Sessanta in poi: i sequestri, i delitti e le piccole tragedie quotidiane. Un incidente lo ha fermato nel suo ultimo servizio.


                




VERONA. Non ce l’ha fatta Costantino Fadda. Il trauma al capo subito il 16 agosto, mentre con la collega Alessandra Vaccari  scendeva le scale sotto il supermercato Mion al Saval per un sopralluogo con la Polizia, non gli ha dato scampo. Era caduto, l’impatto con il cemento era stato devastante. Troppo gravi i danni, anche per un uomo dal fisico che non rivelava l’età: classe 1928. Anni spesi avventurosamente, di cui praticamente l’ultimo mezzo secolo a raccontare come fotoreporter de «L’Arena» il volto oscuro e tragico della città. Sequestri, omicidi, incidenti gravi o meno. Un «palmares» il suo, costellato di abbondanti «scoop», che copre decenni di storia veronese. Immagini, allora rigorosamente in bianco e nero, che vanno dal «caso Maso» all’assassinio dei poliziotti Massimiliano e Davide Turazza e Giuseppe Cimarrusti; dai rapimenti di Garonzi e Comper a quello che fu uno spartiacque degli anni di piombo: la lunga prigionia di James Lee Dozier (a lieto fine) nelle mani delle Brigate Rosse. Lui «Spike» (letteralmente in inglese «chiodo», e ciò già la dice lunga) non mollava mai: era sempre dove c’era la notizia. Ne stava seguendo un’altra, il destino gli ha fatto uno sgambetto beffardo. Uno come lui poteva essere sopreso solo alle spalle, del resto.





IL FOTOGRAFO. Aveva cominciato con gli americani, nell’Italia che veniva liberata. Prima a Livorno, poi a Trieste e Villa Opicina. Lo staff Usa lo aveva iniziato alla foto di boxe: guarda caso, foto di movimento, in cui la prontezza nel cogliere l’attimo fa la differenza tra un’immagine utilizzabile e una sbagliata. Non aveva più smesso di fotografare: la fotocamera (prima Pentax e poi definitivamente Canon anche quando il digitale, accettato a malincuore, era ormai divenuto una necessità) era divenuta la sua compagna inseparabile. Aveva lavorato a «La Notte», al «Corriere Lombardo» e infine a «L’Arena».
Il suo stile, la sua «firma», somiglia per molti aspetti a quello di uno dei grandi della fotografia del XX secolo, Arthur Fellig, meglio noto come Weegee, il reporter che descrisse sangue miserie della New York degli anni Trenta - Quaranta. Immagini illuminate dal flash, crude e dure, la fama di essere uno che arriva sul posto talvolta prima della polizia. «Tino» era così: aveva l’istinto per il «dove» e «quando» esserci. E portava casa, in redazione, lo scatto capace di raccontare. «Il crimine è il mio campo d’affari» è la frase - attribuita - che si portava dietro Weegee. Entro certi limiti valeva anche per «Spike», il quale cinico non era: gli intimi sapevano che certe foto gli avevano fatto male. Ma le aveva scattate comunque perché la notizia, per un giornalista, è un dogma, una religione. Guai, per questo, a dimenticarsi il «credit» su una sua foto: era come togliergli il sangue.





L’UOMO. «Tino - Spike», ovvero un sardo americano. Incrocio non consueto. Costantino era sardo a tutto tondo - inclusa la bandiera regionale sull’auto - e nel senso migliore: leale, duro a volte, orgoglioso, amico fino alla fine. Una sola cosa non perdonava infatti: il tradimento. Era anche un americano: la sua era stata una giovinezza stelle strisce, negli anni della guerra, dei Kennedy fino agli auguri della Casa Bianca abitata Obama orgogliosamente appesi nella sua mostra permanente nella sala capiredattori de «L’Arena». L’America dei sogni e delle contraddizioni, complessa come lui e per questo amata. Motteggiatore salace senza pari, capace di scherzare anche su ciò di cui di solito non si scherza, di mandarti a quel paese e offrire caffè a ripetizione, schietto al limite di ogni convenzione con chiunque, in divisa o in borghese. E questo gli è valso la stima, indiscussa e generale. E il cordoglio che ora non è solo di noi de «L’Arena» ma di una città che ha perso uno dei suoi testimoni. (Paolo Mozzo)


DA GARONZI A STEVANIN
TRA SCOOP E SCATTI CHOC

LA VITA DIETRO L´OBIETTIVO. Dalla stagione dei rapimenti agli anni della droga e Tangentopoli. Fu il primo e unico a fotografare il «Commenda» nel suo salotto subito dopo il rilascio e per il caso «Ludwig» andò fino a Monaco.





«Il tandem si chiamò, per quasi vent'anni, Cantù-Fadda». Lo ricorda lo stesso cronista di nera Gianni Cantù nel volume «Giornalisti di provincia» (Gemma Edicto), una raccolta di racconti in prima persona scritti dalle firme storiche de L'Arena. E a sfogliarlo, tra le testimonianze di Giuseppe Brugnoli, Michelangelo Bellinetti, Antonio Felice, Giulio Nascimbeni e J.Pierre Jouvet - tanto per citarne alcuni - quel che salta subito agli occhi è che il denominatore comune, quello che lega storie, persone e immagini, è Costantino «Spike» Fadda.

Marzo 1977, rapina e sparatoria in piazza Nogara: muore un bandito

I TEMPI DELLA MALA. «Erano i tempi delle rapine. La mala, allora andava a rapine. La "bomba" della droga era stata appena innescata; sarebbe scoppiata di lì a poco. Intanto, la nera si faceva con le rapine e le sciagure. E gli omicidi. Furti e incidenti stradali, anche piccoli, facevano sempre notizia», racconta Cantù definendo il fotoreporter «Spike» la sua «ombra, sui selciati e sui viottoli di montagna e della Bassa».  Una vita di strada, sempre in prima linea sui fatti di sangue e soprattutto sui sequestri che, negli anni Settanta, sconquassarono anche il cuore della «bella Verona». L'epicentro di quel fenomeno, racconta Cantù, fu proprio la nostra città «con il rapimento della studentessa Ilaria Melloni, compiuto il 24 novembre 1974 da due giovani bresciani». E scrive: «Con il fotoreporter Fadda passai le prime notti di veglia, all'addiaccio, in attesa di notizie sugli sviluppi della vicenda, che fortunatamente si concluse nel giro di tre giorni».  

Febbraio 1975: Saverio Garonzi a casa subito dopo la liberazione: era stato rapito una settimana prima

I SEQUESTRI. Ma fu il sequestro Garonzi, il «Commenda» (del 29 gennaio 1975), a dare una delle tante grandi prove della passione di Fadda per la notizia: «Con Augusto Caneva (giornalista del Gazzettino - ndr), tenendoci in contatto con la radio (un lusso allora) vivemmo il dramma di "don Saverio" dall'interno, battendo ogni concorrenza», ricorda Cantù con l'orgoglio di un lavoro ben fatto. «Tanto che, quando il commendator Garonzi, che Costantino Fadda potè fotografare sul letto prima che la casa venisse interdetta alla stampa (e la sua drammatica foto fece il giro del mondo) fu liberato, chi scrive era ad attenderlo dentro il suo garage. Sulla nostra spalla Garonzi sfogò le prime lacrime, il 4 febbraio».  Dalle lacrime di Garonzi, Fadda scivolò, scatto dopo scatto, da un rapimento a un omicidio, senza mai fermarsi un giorno, immortalando con la sua macchina fotografica ogni evento drammatico della città. Non si era infatti ancora placata l'eco del sequestro Garonzi, che l'accoppiata Cantù-Fadda era già sull'omicidio nella casa di riposo di Tregnago, dove il maresciallo dell'esercito, Guerrino Ziviani, aveva ucciso per gelosia, con cinque colpi di pistola, l'amante Giuseppina Fraccaroli, impiegata del Comune a San Martino Buon Albergo. E poi, ancora, di corsa sulle tracce di Ivo Antonini, l'industriale calzaturiero rapito e poi rilasciato nel maggio dello stesso anno dopo un riscatto di 800 milioni di lire. E in piena estate, il 13 agosto, i due riportarono fatti e immagini del riscatto, pagato inutilmente nelle sale della Sip di via Leoncino, dalla famiglia dell'imprenditore Gianfranco Lovati Cottini (marito della contessa veronese Carla Colleoni), poi trovato morto nel bagagliaio di una Alfetta data alle fiamme a Peschiera.

Ottobre 1984, il commerciante Giovanni Comper viene liberato

I DETTAGLI. L'obiettivo di Fadda era sempre lì, pronto a «congelare» su pellicola ogni dettaglio: la Mercedes abbandonata a Palazzina dopo essere stata usata per sequestrare l'industriale Diego Rossi; il «covo» della «banda dei giostrai» che aveva rapito l'imprenditore agricolo Marco Aurelio Pasti; e le varie tappe del sequestro di James Lee Dozier, a opera delle Brigate Rosse il 17 dicembre 1981. Le foto di Fadda vanno dalle ricerche in città dell'alto ufficiale americano alla scoperta del covo dei terroristi, a Padova, fino alla liberazione del generale della Ftase il 28 gennaio 1982, in quella che è tuttora una delle operazioni più brillanti della questura scaligera. Costantino sigillò con i suoi scatti anche la fine della stagione dei sequestri veronesi con il rapimento nel 1982 del ragioniere Marco Padovani poi suicida nell'anniversario del rilascio per il trauma psicologico patito durante la lunga segregazione; del sequestro dell'allevatore Gianni Comper, di Salizzole, dal 9 ottobre del 1984 al 25 gennaio del 1985; fino al rapimento e alla liberazione della piccola Patrizia Tacchella che tenne tutta Verona con il fiato sospeso.

Luglio 1985, triplice omicidio a Zevio

GLI OMICIDI. Sono sempre di Fadda le immagini dell'assassinio di Luciano Ochs, giovane commerciante di Borgo Venezia, legato mani e piedi con filo di ferro e ucciso con un rituale mafioso a colpi di pistola e poi finito sotto le griglie della centrale di San Giovanni Lupatoto nel settembre del 1979. E sono firmate Fadda pure quelle di Mustafà Atif, presunto assassino slavo, freddato con cinque colpi di pistola in un campo di Sommacampagna. Sempre quell'anno, il 21 dicembre, a Costantino toccò immortalare la morte di Fabio Maritati, figlio dell'amico ispettore di polizia Antonio, vero obiettivo dell'agguato, ucciso da una raffica di colpi d'arma da fuoco mentre portava come d'abitudine l'auto del padre in garage. Negli anni successivi, quando Verona divenne la «Bangkok d'Italia», la città dove i ragazzi morivano per eroina e le esecuzioni per il controllo del commercio di stupefacenti erano all'ordine del giorno, «Spike» era lì, senza mai perdere uno scatto prezioso quanto atroce e significativo. Come, ad esempio, il volto beffardo di Pietro Maso, immortalato dopo la confessione dell'omicidio dei genitori o il ritratto dietro le sbarre del serial killer di Terrazzo, Gianfranco Stevanin.


GLI ANNI NOVANTA. Seguirono gli anni di Tangentopoli e delle «camicie verdi», con lunghe attese fuori dal tribunale. E mentre i giornalisti andavano in pensione, lui dava dritte ai nuovi arrivati e continuava a scattare le istantanee dei momenti oscuri di questa città. Lui c'era sempre, come c'era per il famigerato caso di Marco Furlan e Wolfgang Abel. «Veniamo a conoscere tanto minutamente la storia di Ludwig, andando con Fadda anche a Monaco di Baviera, che qualche magistrato ci confessa "Aspetto il giornale, ogni mattina, per saperne di più"», racconta Cantù.  Ora che non c'è più, però, non basta il lungo elenco dei fatti di nera seguiti e immortalati, per rendere il merito di quello è stato, per generazioni di cronisti, il lavoro e l'esempio di Costantino «Spike» Fadda. (G.COZ.)   



L´ULTIMO FOTOREPORTER CON UNA VITA DA FILM


Costantino Fadda nel 2012 con il generale Dozier e il procuratore Guido Papalia

IL RICORD 1 . «Spike» ha immortalato la cronaca nera di decenni: autore di scoop, giornalista di razza, personaggio carismatico. Sempre con la passione degli inizi.
Aveva il tocco unico di chi con uno scatto dipinge un´epoca. Era uno «yankee» di Sardegna, legato alla sua terra. Inesauribile miniera di aneddoti

È morto come tutti noi, in fondo, avremmo voluto. Ci auguravamo il più tardi possibile, ovviamente, ma questo non si può scegliere. Decide un Altro. È morto con la macchina fotografica a tracolla, inseguendo uno scatto di cronaca dopo essere andato «sul posto», come secondo lui si doveva fare sempre per capire. E come davvero si dovrebbe fare sempre, solo che a volte noi giornalisti siamo un po´ troppo pigri, preferiamo il telefono e sul posto mandiamo il fotografo.  Lo volevamo fotoreporter fino all´ultimo, lui che è stato l´ultimo dei fotoreporter del Novecento, convinti di interpretare anche una sua volontà. Ora il cuore è gonfio di dolore e ricordi, ma così è stato. Un Fadda seduto in poltrona con il plaid sulle ginocchia era quanto di più improponibile potesse immaginare chiunque lo conosceva.
 Non passava giorno senza che Fadda venisse in redazione a L´Arena. Era la sua seconda casa. «Vacanza» era una voce non contemplata dal suo vocabolario.
Autostrada da Vicenza e prima delle 9 di mattina era qui, caldo, freddo, gelo, nebbia o neve non importa. A meno che le notizie di cronaca nera non lo avessero già portato in giro per la provincia. Era uno che per il mestiere non distingueva giorno e notte, come i reporter di una volta. E come i veri reporter sapeva come farsi voler bene dalle sue fonti riservate, con quelle piccole blandizie che gli garantivano la soffiata giusta per la notizia - spesso uno scoop - a qualsiasi ora.
Fadda era celebre per essere quello che arrivava sempre prima di tutti sul luogo dell´incidente, o dell´omicidio. Tanto prima da precedere chi doveva arrivare prima di lui, l´ambulanza e perfino la polizia. Con altri se la sarebbero presa, con Fadda sapevano come funzionava.

Aveva nel suo curriculum scatti di cronaca passati alla storia: il sequestro Dozier, Ludwig, Maso, Stevanin, il rapimento Garonzi, Tangentopoli. Aveva ceduto le sue foto in tutto il mondo, all´estero lo conoscevano come corrispondente dell´Associated Press.
Aveva viaggiato ovunque, incontrato personalità e frequentato il jet set. La lunga consuetudine con il mestiere, le esperienze di vita e una prorompente attitudine alle relazioni sociali si erano concretizzate in uno speciale carisma per cui Fadda era Fadda e nessuno poteva negargli il lasciapassare per andare oltre i confini di convenzioni e conformismi, e permettersi con chiunque una spontaneità da yankee sardo.
Era infatti l´originale sintesi di due tipi umani: il sardo e l´americano. Era sardo nel vigore fisico senza età e nell´attaccamento a una terra aspra e generosa come lui, nel senso viscerale del vincolo d´amicizia che onorava con piccoli gesti quotidiani e dimostrazioni di affetto che non avevano bisogno di parole; era americano nell´ottimismo da eterno ragazzo, nell´orgoglio da self-made man, nella limpida separazione fra buoni e cattivi.

In tutto questo, aveva conservato la passione e l´umiltà per partire ogni giorno entusiasta anche per una semplice conferenza stampa da poche righe e una foto in taglio basso, e guai a dimenticarsi la sua firma in fondo alla didascalia. Era il suo modo di lavorare.


Gennaio 1975: l´angoscia in casa Garonzi dopo il rapimento del commendator Saverio

È stata fino all´ultimo giorno la sua lezione per noi giornalisti: rispettare anche le notizie piccole per diventare grandi. Lui aveva fatto così. I suoi reportage hanno il «tocco» unico di chi con uno scatto dipinge un´epoca. Il servizio sulla sparatoria di piazza Nogara - anno 1977, un bandito ucciso, terrore in centro storico - è il ritratto della Verona anni Settanta e delle angosce in bianco e nero degli anni di piombo; il salotto di casa Garonzi, con la moglie disperata circondata dai parenti, è un quadro della piccola borghesia di provincia, i mobili in stile e la carta da parati; i volti dei banditi raccontano una «mala» che non esiste più, quella delle periferie proletarie e qualche «gentiluomo» con il mitra in mano; i poliziotti hanno il bavero alzato e la sigaretta fra le labbra, come nei «noir» americani. E in fondo anche la vita di Fadda è stata un film a doppia trama: in una il protagonista era lui, nell´altra il racconto catturato dalla sua Canon.

Fadda ci mancherà, ci manca già. Ci manca arrivare al giornale e non vedere la sua auto parcheggiata fuori, con quell´incredibile mosaico di adesivi che la rendevano inconfondibile, i simboli della Sardegna e il marchio di fabbrica, «Spike», coniato dagli americani quand´era magro come un chiodo. Ci mancano i suoi aneddoti, i suoi racconti di una vita inimitabile, il buonumore che risollevava le giornate pesanti, la sua eleganza un po´ demodé quando si presentava «in passerella» prima di una cena di lavoro o un ricevimento in prefettura, i memorabilia americani che sfoggiava sotto forma di spille, coccarde e cinture clamorose, i moniti pescati da un galateo che in pochi - lui era fra quelli - mantengono in vita.



La foto scattata da Fadda nel giorno della liberazione di Dozier nel 1981


Fadda era diventato una leggenda anche per noi. Senza clamore, casomai potesse sospettare che qualcuno voleva confinarlo fra le vecchie glorie. Una parete della redazione era riservata alle sue foto: quelle che ha scattato e quelle che lo ritraggono. C´è lui alla Nasa, alla Casa Bianca, assieme a Dozier che lo volle incontrare al suo ritorno a Verona tanti anni dopo il sequestro, con l´ambasciatore Usa, con il cardinale Dziwicz, con il procuratore Papalia. E ci sono le pagine de L´Arena in bianco e nero, con i suoi scoop degli anni ruggenti: la famosa foto «rubata» di un Garonzi a letto appena liberato, Dozier al balcone di casa con la moglie dopo il sequestro delle Br.


Resteremo a guardare le foto. Lo facevamo anche prima. Ora di più. Fra cinquant´anni il generale James Lee Dozier sarà solo una fotografia. Di Costantino Fadda.  (Bonifacio Pignatti)


QUANDO SPIKE ARRIVÒ CON LA FOTO INSIEME A KENNEDY


Riusciva a avere foto nessuno ci voleva dare» Lavorò a sostegno della campagna di Bob Kennedy

IL RICORDO/2.  Giuseppe Brugnoli ripercorre i 50 anni di lavoro con Fadda, prima come direttore del Giornale di Vicenza e poi come direttore de L´Arena


Conoscendo da un cinquantennio Costantino Fadda, l´impressione, non verificabile, è che egli non sarebbe affatto scontento di finire così, colto dalla morte mentre sta esercitando il suo mestiere di fotografo: nel quale non era un esteta, alla ricerca di effetti artistici, ma un concreto, per il quale l´immagine valeva come documento inoppugnabile, soprattutto se scattata all´improvviso, quasi rubata, senza alcuna preparazione o studio.

Lo conoscemmo, noi del Giornale di Vicenza, in anni ormai assai lontani, poco dopo la metà del secolo scorso, quando cercavamo di documentare un grave incidente stradale nel quale era coinvolto un militare americano della Setaf. 

Come si usava allora, il comando statunitense, subito dopo la disgrazia, impacchettava il soldato e lo spediva di corsa negli USA, senza che mai si riuscisse a sapere chi fosse. Quella volta provammo a rivolgerci a Costantino Fadda, detto Spike, "Chiodo" in inglese per la sua magrezza, che dopo aver seguito un reggimento di marines, di cui era la mascotte, dalla Sardegna a Roma e quindi a Vicenza, aveva dovuto lasciare la Caserma Ederle nei cui pressi aveva impiantato un baracchino tutto suo nel quale faceva foto da mandare a casa ai militari americani. Difatti, egli aveva non solo la foto del soldato responsabile dell´incidente mortale, ma anche quella della sua macchina tedesca appena comperata.

Da qui la sua collaborazione, prima a Vicenza e poi a Verona con «L´Arena». Aveva un suo personale sistema informativo, che curava attraverso una vasta rete di amicizie, che andava dai prefetti e questori ai carabinieri e ai semplici agenti della questura e della stradale, ed era quasi sempre il primo ad arrivare sul luogo di un fattaccio. 

Una volta, quando una macchina con tre ragazzi era finita contro un albero in piena notte, uccidendo tutti, e al mattino non si riusciva a sapere niente, perchè i componenti della pattuglia della Stradale erano andati a dormire, verso mezzogiorno capitò al giornale Fadda: aveva le fototessera dei tre ragazzi, aveva le foto dell´incidente, voleva darci anche le foto delle tre bare allineate accanto ai corpi, ma gli dicemmo che ci bastavano le prime. 

Un´altra volta avemmo un solenne rabbuffo dal maggiore dei carabinieri che comandava Legnago, per la foto di un morto ammazzato coperto da un lenzuolo in mezzo ad un campo. 

Ci spiegò che il morto era stato portato via di prima mattina, e che nessuno l´aveva fotografato. Ma come? rispondemmo: la foto di Fadda che era in pagina? L´alto ufficiale ci spiegò che Fadda aveva convinto un carabiniere di guardia sul luogo del delitto a sdraiarsi a terra e farsi ricoprire dal lenzuolo per farsi fotografare, ma dal lenzuolo spuntavano le gambe del finto morto con le bande rosse della divisa dei carabinieri. 

Ma le sue relazioni non erano soltanto funzionali al suo mestiere. Teneva amicizie con ex prefetti ed ex questori da tempo partiti da Verona. Una volta venne a dirci che doveva andare in America, chiamato da amici sardi con cui ogni tanto si trovava. Non avendo contratti col giornale, non avendo mai preso vacanze, non si poteva dirgli di no. Tornò dopo un mese, e disse quasi per scusarsi che aveva lavorato presso i sardi di New York per sostenere la campagna elettorale di Bob Kennedy. A riprova, estrasse dalla borsa una grande foto di Bob Kennedy con la scritta in penna "al Caro Amico e prezioso collaboratore Spike Fadda" e la firma. (Giuseppe Brugnoli)


Fonte: Da L’Arena  di Verona di Verona del 25 agosto 2013; pag. 12,13, 14.
Link: http://www.larena.it/stories/dalla_home/553639_perdiamo_una_figura_di_spiccouomo_di_valori_e_maestro_per_i_giovani/





«FADDA, IL SIGNORE DELLA FOTOGRAFIA» 
I FUNERALI MERCOLEDÌ IN DUOMO

Costantino Fadda al recente Galà della lirica al Lapidario maffeiano per la prima di Aida in Arena

Molti rappresentanti istituzionali che in questi anni lo hanno conosciuto, lo ricordano con affetto e gratitudine per le grandi doti umane e professionali. «Era un uomo che se dava una parola la manteneva». «Rispettoso del lavoro degli altri e della privacy».  «Mai uno scatto scabroso, e sempre con il sorriso». Mercoledì in Duomo alle 10,30 i funerali, con numerosi celebranti. Un'ora prima, nelle celle mortuarie di Borgo Trento, la camera ardente

Una sola domanda, per una settimana, dall'altra parte del telefono. Con chiunque parlassi, chiunque incontrassi. Una sola domanda, la prima: «Fadda, come sta?». Era una presenza, Fadda. Lo conoscevano rappresentanti istituzionali, commercianti, ex galeotti. Lo conoscevano tutti. Amava circondarsi di gente. Sempre pronto a nuovi amici. Il dolore della perdita concretizza la sua assenza e la trasforma in presenza, attraverso le persone, le testimonianze, arrivate a decine.

Tutti vogliono sapere quando sarà il funerale perché nessuno vuole mancare all'ultimo saluto, ma si attende il nulla osta della magistratura.

«Spike era una persona sincera e non è poco. E poi vitale, nessuno credeva alla sua età. Ho avuto buoni rapporti con lui, e con tutta la comunità sarda, come lui», dice il sindaco Flavio Tosi.

«Costantino ci mancherà. mancheranno la sua vicinanza, il suo sorriso e la sua professionalità», dice il prefetto Perla Stancari, che nei giorni scorsi era stata anche in visita privata all'ospedale, «Costantino aveva rispetto delle persone, era il simbolo di una stampa rispettosa del lato umano di ciascuno. In prefettura era una persona familiare, da sempre con tutti i prefetti».

«La scomparsa di Costantino lascia un grande vuoto nelle persone che l'hanno conosciuto. Un pensiero va alla famiglia e alle persone che gli erano care giungano i più vivi sentimenti di vicinanza e partecipazione alla grande famiglia de L'Arena di cui egli, con orgoglio, ha fatto parte». ha detto Alfredo Santagata, segretario provinciale Osapp (Organizzazione sindacale autonoma polizia penitenziaria).

Commosso il comandante della Polizia municipale: «Appena rientrato al comando dopo l'ennesimo turno di lavoro, unitamente a tutto il corpo di polizia municipale di Verona, siamo vicini alla famiglia di Costantino e a tutta la redazione de L'Arena. La scomparsa di Spike mi commuove perché era un vero signore, un caro amico e una persona che mi e ci stimava non solo professionalmente. Ciao Costantino mi mancavi allo Stadio!»,

«È una perdita che sento molto», dice il procuratore Guido Papalia, adesso in pensione, «conobbi Fadda negli anni Ottanta, assieme al cronista di allora Cantù. Di Fadda posso dire che fu sempre leale e corretto. Erano gli anni del terrorismo e gli chiesi di non pubblicare le mie foto per ragioni di sicurezza. Mi diede la sua parola, parola di sardo, mi disse. Negli anni siamo diventati amici. È sempre stato corretto e leale».

«Ho conosciuto Fadda quattro anni fa e non mi sarei immaginato che avesse questa età. Era pieno di gioia di vivere, appassionato del suo lavoro. Poi c'era una parte che ci univa, lui era sardo, io ho lavorato anni a Sassari, una delle mie figlie è nata là. Mia moglie è di Cagliari, quindi spesso parlavamo della sua terra. Erano chiacchierate piacevoli. Di lui ho apprezzato anche la grande umanità», ricorda il comandante Paolo Edera, colonnello dei carabinieri.

Sul nostro sito sono state decine i messaggi di vicinanza, di cordoglio. A scrivere, persone qualsiasi, altri che lo avevano incontrato per lavoro, poliziotti e carabinieri. Un'opinione comune: un grande uomo, un professionista.

«Ho avuto più foto negli ultimi nove mesi che in 17 anni di polizia», dice Roberto Della Rocca, dirigente della Mobile, a Verona, appunto da nove mesi, «Costantino scattava e te le dava. Di recente con tutta la Mobile avevamo fatto una festicciola in sala stampa con tutti i prodotti sardi che lui aveva portato. Ecco quello è il suo ricordo. Una foto naturalmente. Fadda era una presenza. Una presenza e basta, impareggiabile, scavalcava tutti, avesse avuto anche il Papa davanti, cambiava niente, lui passava e basta».

E il direttore della scuola di polizia, Gianpaolo Trevisi: «Un ricordo? Ce ne sono mille! A qualsiasi ora ti chiamavano (è stato all'Immigrazione e alla Mobile), arrivavi e c'era lui che ti regalava un sorriso prima di immergerti nel dolore dei fatti di nera. Alle conferenze stampa arrivava per primo, faceva la foto di qualsiasi cosa avesse davanti e andava via. Poi senza di lui neanche sembrava una conferenza».

«Costantino era sempre presente nei nostri interventi, ma negli anni è sempre stato professionale, mai uno scatto raccapricciante, un particolare scabroso. Non cercava pruderie, ha rispettato tutti, le vittime e il nostro lavoro. E verso il corpo dei Vigili del fuoco ha sempre dimostrato una grande simpatia», dice Rodolfo Ridolfi, funzionario dei Vigili del fuoco. «Di Fadda ricordo signorilità e disponibilità», dice l'ex questore Michele Rosato, «è sempre stato vicino a tutta la questura». (Alessandra Vaccari)


Fonte: srs di Alessandra Vaccari, da L’Arena di Verona di lunedì 26 agosto  2013 CRONACA, pagina 8





CRONISTA DELLE IMMAGINI, HA RACCONTATO UN´EPOCA


LA TESTIMONIANZA. Il ricordo dell´ex caporedattore de L´Arena
Fino all´ultimo ha inseguito una notizia. Il suo obiettivo ha immortalato 50 anni di gioie, miserie e crudeltà

Se n´è andato inseguendo una notizia. Come tante altre volte, anche quella mattina, era corso sul posto. "Sul posto" è il modo di dire dei cronisti quando si va dove è capitato qualcosa. 

Ma la notizia, quella mattina, improvvisamente è diventata lui. Lui caduto, lui ferito, lui all´ospedale. E poi, infine, lui dentro un´attesa senza speranza. 

Costantino Fadda se n´è andato così.

Quando muore un cronista, è un pezzo di storia che si chiude. Fadda è stato il formidabile testimone di un pezzo della nostra storia comune. Per cinquant´anni tutti gli accadimenti, le vicende, le persone, i personaggi sono passati per il suo obiettivo. Una galleria di gioie, di miserie, di crudeltà, di vittorie, di sorrisi, di lacrime, di gioventù e di vecchiaie che oggi costituiscono la memoria condivisa della nostra identità.

Che uomo era Costantino Fadda?

Un generoso che amava Verona e il suo giornale, uno straordinario cronista che con le immagini sapeva raccontare i fatti.


PRILE 1991: Pietro Maso nel cortile di casa dopo il ritrovamento dei genitori morti ammazzati a Montecchia. Verrà arrestato poco dopo| 


Era arrivato a Verona nel 1945 con un reparto dell´esercito americano. I soldati lo avevano adottato a Napoli nei giorni della liberazione della città. Era talmente magro quel ragazzino che lo avevano chiamato "Spike", "chiodo". Un nome che Costantino orgogliosamente rivendicherà sempre tanto da farne una bandiera. 


DICEMBRE 1979: omicidio di Fabio Maritati, figlio del maresciallo Antonio, freddato da una raffica di mitra in via Pigafetta, Borgo Milano| 


Sapeva fare le fotografie e così incominciò a lavorare come e dove poteva. I giorni fervidi della ricostruzione offrivano sempre qualche occasione per sopravvivere. Si avvicinò così ai giornali. 

L´ambiente gli piaceva: un po´ anarchico, un po´ ribaldo, un po´ goliardico. Ci fu l´esperienza al «Corriere lombardo». Ma fu l´apertura della redazione di "Verona Notte", filiazione del quotidiano milanese "La Notte", diretto da Nino Nutrizio, a spalancargli le porte del giornalismo. Si fece presto conoscere: puntualità, precisione, immediatezza. Così avvenne che Costantino Fadda in breve tempo entrò a "L´Arena", allora diretta da Gilberto Formenti. Da quel giorno il binomio "L´Arena"-Fadda divenne inscindibile e dovunque riconoscibile.


APRILE 2013: a Veronetta i Vigili del fuoco si preparano per entrare in un appartamento dove è stato rinvenuto il cadavere di una donna


Alla scuola della cronaca, Fadda imparò presto a valutare rapidamente la notizia ed imparò anche quanto importante è conoscere ed essere conosciuti. La rete di relazioni di Costantino aveva dell´incredibile. Conosceva tutti e con tutti teneva rapporti di grande cordialità: dall´aristocratico al barbone di piazza Erbe, dal famoso medico dell´Università al carabiniere delle Gazzelle, dal prefetto all´impiegato delle Poste, dal professionista alla guardia carceraria, dal comandante della Stradale all´infermiere del Pronto soccorso, dal vigile urbano al sindaco della città, ai magistrati, ai banchieri.

Generoso è stato detto poco fa di Costantino Fadda. Sì, - è vero - generoso ma perché era forte di una grande umanità che, sotto l´ ostentata ruvidezza, custodiva pudicamente.

Ma ora che se ne è andato, si può dirgli finalmente, senza rischiare d´essere mandati a quel paese, quanta riconoscenza gli devono tanti, soprattutto coloro che lungo cinquant´anni hanno avuto la ventura di lavorare al suo fianco.


Fonte: srs di Michelangelo Bellinetti, da L’Arena di Verona di lunedì 26 agosto 2013 CRONACA, pagina 8




IL BAMBINO 
CHE AVEVA
 REALIZZATO
 IL SUO SOGNO



ALBUM STORICO. Da Alghero a Trieste, passando per Livorno. A 15 anni i genitori lo avevano lasciato partire con gli americani che risalivano l´Italia.  Aggregato al 351° fanteria aveva imparato a fare il fotografo




Aprire l´album dei ricordi di Costantino Fadda è come raccontare la storia dell´Italia contemporanea, quella che a scuola non si insegna, perchè con i programmi attuali non ci si riesce quasi mai ad arrivare. Lì dentro è raccontato il sogno di un bambino, che vede la sua terra martoriata e distrutta, ma che non si scoraggia. Anzi, ritiene che ogni novità sia portatrice di qualche opportunità. Questo era Fadda, uno che anche a ottant´anni, manteneva una giovanile freschezza e uno slancio inimmaginabile per uomini della sua età. «Non mi cambio con nessuno di voi», usava dire, riferendosi anche a talune performance.




Ma lui era uno che i sogni li inseguiva. E il suo sogno di bambino lo aveva realizzato nell´estate del 1967, quando aveva potuto finalmente raggiungere la sua America. Lui, sardo di Alghero, o catalano come preferiva definirsi con una punta di orgoglio, durante la seconda guerra mondiale, a soli 15 anni era stato praticamente adottato dalle truppe americane che nel 1944 stavano risalendo la Penisola. Sotto la bandiera a stelle e strisce era finito prima a Livorno e poi a Trieste, a Villa Opicina, come documentano le foto che pubblichiamo in questa pagina. 



E lì i suoi commilitoni avevano cominciato a rifornirlo di «bigliettoni verdi», che il giovane Tino aveva provveduto a custodire gelosamente in un maialino di terracotta che gli era stato regalato da un soldato americano. In quel maialino di terracotta erano finiti anche i contributi che dopo la fine della guerra gli giungevano ancora dall´America. Così nell´estate del 1967,con quasi 40 anni e oltre venti di risparmi, aveva rotto il maialino e con 500 dollari era partito alla volta degli States. Nella valigia aveva un grande ritratto di John Fitzgerald Kennedy. E con quello si era presentato alla Casa Bianca.



Lì aveva messo a frutto la sua esperienza maturata con gli americani. Una ventina di anni prima, durante lo sbarco in Italia, quel tredicenne un po´ scapestrato, lasciò la sua numerosa famiglia e la madre a cui era molto devoto (ogni 8 settembre tornava nell´isola per la messa al santuario algherese della Madonna di Valverde ndr), per aggregarsi alle truppe americane. Tino riuscì senza troppi problemi a convincere i suoi genitori a lasciarlo andare. Fu così che divenne la mascotte degli americani, che lo assegnarono al reparto sussistenza. Parlava sempre di quegli anni, della desolazione incontrata da Sud a Nord, delle macerie di Cassino, la famigerata Pineta del Tombolo dove c´era un insediamento per un grande campo militare americano. Proprio lì tra Pisa e Livorno fu girato da Alberto Lattuada uno dei famosi film del Neorealismo italiano. E sulla Military Police c´era tanto da raccontare, ma Spike adorava gli americani. Guai a toccarglieli. Per lui sono sempre stati i liberatori.




Con la fine della seconda Guerra mondiale gli americani non si dimenticarono di lui. «Spike» fu aggregato al «351° Fanteria» e spedito a Trieste, allora divisa tra zona A, occupata dagli Alleati e quella B in mano ai Titini. E´ lui stesso che descrive quel periodo «caldo» per la città e per l´Italia. Per un ragazzotto di 19-20 anni erano invece giorni felici. Passava le lunghe giornate ad ascoltare i programmi trasmessi dalla radio americana. Fu in quell´epoca che si entusiasmò per le musiche di Spike (guarda caso) Jones, un musicista, attore e comico statunitense che durante la guerra era stato anche «usato» come propagandista anti-nazista. Fu un tenente del magazzino vestiario, fanatico delle canzoni country ad affibiargli quel nomignolo di «Spike». A Trieste ci rimase fino a quando nel 1954, con il Memorandum di Londra non passò agli italiani. E allora per Fadda «l´americano» si aprì la strada per Verona, dove intanto si stava costituendo la Setaf, il Comando americano per le Forze del Sud Europa, che aveva la sua sede in Via Roma.




Smessa la divisa, da Trieste aveva portato la sua esperienza di giovane fotografo e aveva deciso che quello sarebbe stato il suo mestiere. Naturalmente sempre frequentando gli americani.




Negli States aveva voluto ritornarci anche nel 2010. Con il suo lasciapassare «aperto» per il Senato era tornato ancora una volta a rivedere qualche commilitone. Stupiva la sua voglia di ricominciare e stupiva quel suo ciuffo corvino che faceva tanto Bob Kennedy.  A proposito, vecchio, ho visto che sul lettino dell´ospedale ti sono spuntati dei capelli bianchi. Davanti a San Pietro non si bara. Firmato: il tuo contadino di Soave.( F.P. )


Da L’Arena di Verona di lunedì 26 agosto 2013 CRONACA, pagina 9





ARRIVAI PRESTISSIMO EPPURE LUI ERA GIÀ LÌ



Costantino Fadda sul tetto durante un servizio «spericolato» nei pressi dell'aeroporto di Villafranca


Sono trascorsi più di trent´anni da quel mio primo servizio di «nera» a Il Giornale di Vicenza: due uomini stavano scavando un profondo fossato, improvvisamente la terra cedette ed entrambi rimasero intrappolati in quell´abbraccio di fango. Era successo vicino a Montecchio, proprio dove abitava Fadda, che subito avvertì il giornale come sempre era solito fare.  Arrivai prestissimo sul posto, come si dice in gergo, ma non in tempo utile per evitarmi la prima sgridata.
«Dovevi essere qui prima», mi rimproverò Costantino. «Solo se vedi tutto, se ti fai spiegare da chi c´è come è andata, puoi scrivere un articolo che può interessare. Solo se arrivi subito puoi raccogliere quelle testimonianze che poi, con il passare del tempo, si affievoliscono o addirittura si riducono a un silenzio impenetrabile».

Una vera e propria lezione di giornalismo sul campo, che non ho mai dimenticato e della quale devo sempre ringraziarlo. Una lezione che, nel mio piccolo, ho poi cercato di trasmettere a tanti giovani colleghi invitandoli a uscire dalla redazione, a non restare inchiodati a tavolino se non per il minimo tempo necessario per la scrittura. Per il resto «fuori», come diceva sempre Fadda «a cercare notizie, a parlare con la gente». E devo francamente dire che il suo modo così diretto di parlare, le sue espressioni così colorite, le sue imprecazioni così imbarazzanti, spesso mi hanno messo in difficoltà, mi hanno indotto a giustificarmi e a giustificarlo rendendomi poi conto che il mio era solo un atteggiamento di facciata.

La sua spontaneità, la grande capacità di entrare subito in sintonia e quasi in confidenza con la persona che aveva davanti, fosse un prefetto, un primario, un grande avvocato o un semplice ladruncolo, in fondo sono sempre state per noi un lasciapassare che ci consentiva di superare l´ufficialità per poter creare un clima colloquiale e di reciproco rispetto.

Ma quante sgridate poi, ancora, nella mia lunga permanenza a «L´Arena». Le sue telefonate di primo mattino per dirmi cos´era successo durante la notte e invitarmi a predisporre i servizi «perchè intanto io ti ho già fatto le foto...» e, il giorno dopo, «non hai capito niente, si doveva fare così...». Insieme lungo tanti anni di cronaca di una città, di una provincia. Dai fatterelli della vita quotidiana, ai primi arresti e morti di droga, al rapimento Dozier, al sequestro Tacchella, alle tormentatissime giornate di Tangentopoli con le sue fotografie sul tavolo, i suoi messaggi carichi di entusiasmo, le sue battutacce che spesso stemperavano momenti di grande tensione.

Un uomo spavaldo e rude, ma con un cuore grande così. Come quella volta che era uscito con una pattuglia che avrebbe fatto dei controlli ai «vu cumprà»: Costantino era davanti con il pretesto di scattare le foto, ma in realtà li avvertiva dell´imminente arrivo dei vigili. «Che cavolo vuoi», mi disse «è povera gente che vuol guadagnare qualcosa per vivere. Io non li fotografo, non sono questi i delinquenti che devono andare sul giornale».


Fonte: srs di Bruno Panziera. Da L’Arena di Verona di martedì 27 agosto 2013, CRONACA, pagina 15



DOMANI IN DUOMO I FUNERALI DI FADDA


Costantino Fadda, fotoreporter,
era nato ad Alghero: avrebbe compiuto 85 anni il 12 ottobre.
L´ULTIMO SALUTO. La moglie Livia ha visitato la nostra redazione. I cronisti l´hanno accolta raccontandole di quanto importante sia stato il lavoro del marito
L´acqua di mare, la sabbia e i sassi della sua Sardegna saranno sepolti con lui nella tomba di famiglia a Montecchio Maggiore

L´acqua del suo mare, la sabbia della sua spiaggia, i sassi della sua terra. Saranno questi i compagni di viaggio, dell´ultimo viaggio di Spike.
Dalla Sardegna sono arrivate le persone cui Costantino Fadda era legato. Quei legami che lui amava tenere con madrine e figliocce. Spesso più forti di quelli di sangue.

E quelle donne hanno portato per lui questi compagni di viaggio. L´acqua in una bottiglietta, il resto in alcuni sacchettini che saranno messi domani, all´interno della bara di Costantino Fadda, prima della sua chiusura.
 Dalle 8.30 di domani aprono le celle mortuarie dell´ospedale di Borgo Trento, e chi lo desidera potrà andare a salutare il fotoreporter prima della celebrazione del funerale, che verrà celebrato in Duomo, alle 10.30.
La salma proseguirà quindi per il cimitero di Montecchio Maggiore, dove Costantino verrà sepolto nella tomba di famiglia della moglie, signora Livia.

E ieri Livia, assieme ai suoi fratelli e nipoti è stata in visita alla redazione del nostro giornale. La prima volta, in 42 anni di matrimonio.

È sempre stata una persona discreta, Livia. L´opposto del focoso Costantino.  Ma con la stessa determinazione.

È stato toccante vedere questa donna, fragile come un usignolo, attraversare le stanze in cui Costantino passava la giornata.
Ogni cronista ha voluto ricordare qualche aneddoto del marito. La redazione è colma di foto di Costantino, sue personali e del suo lavoro. Questa redazione, come tutte le altre prima di questa, sono state la sua casa.

Lo stesso direttore Maurizio Cattaneo, accogliendo Livia, ha spiegato quanto il marito fosse una presenza costante e importante per il nostro giornale.

«Grazie, grazie a tutti. Conforta vedere quanto mio marito sia stato amato da tutti voi. Mi dà forza, debbo essere forte», ha quasi sussurrato Livia, costretta a un improvviso tour de force in questa ultima settimana, lei che ha sempre preferito la tranquillità della loro casa. Quel luogo in cui Costantino amava circondarsi di amici la domenica, per mangiare insieme, per bere la grappa che gli regalavano gli amici di Prun.

In redazione continuano ad arrivare attestati di stima, condoglianze e testimonianze. Anche dall´Afghanistan. Il generale Giorgio Battisti, capo di Stato maggiore, che in questo momento è il comandante della missione Isaf a Kabul ha voluto inviare alla famiglia di Fadda il suo cordoglio.

Tante le testimonianze di vicinanza, dagli ex questori come Vincenzo Stingone e Michele Rosato, ai poliziotti della squadra mobile, ai carabinieri che tutt´ora sentono l´assenza di Costantino.

Qualche giorno fa, il luogotenente Marco del Ton aveva detto durante una conferenza al comando provinciale: «In trent´anni di lavoro questa è la prima conferenza stampa cui partecipo, senza Costantino».

«Venticinque anni fa ero al lavoro al pronto soccorso di Borgo Roma, un pullman di bambini era uscito di strada, per fortuna nessuno di grave. Venne in ospedale, fece le foto, se li coccolò. Faceva il suo lavoro con passione e cuore», dice il dirigente del 118 Alberto Schonsberg.

Lo ricordano, Fadda, alla caserma della guardia di Finanza: «Ero arrivato da poco nel vecchio ufficio a Veronetta. Sento qualcuno che impreca lungo le scale con un accento tra il veneto e il sardo. Era Costantino, che si lamentava che non l´avevano fatto parcheggiare nel cortile. E pioveva», dice il colonnello Bruno Biagi, del comando provinciale, «ci siamo bevuti il primo caffè di una lunga serie. Siamo diventati amici. E ho cambiato l´accesso dei giornalisti alla caserma».


Fonte: srs di Alessandra Vaccari, da L’arena di Verona di   martedì 27 agosto 2013 CRONACA, pagina 15







VERONA SALUTA SPIKE
«UN UOMO LIBERO»



L'arrivo del feretro di Costantino Spike Fadda in Duomo (PM)

Duomo pieno per l’ultimo saluto al fotoreporter de L'Arena che ha raccontato per decenni la città e le sue piccole e grandi tragedie

VERONA. C’erano tutti. Gli amici - colleghi di una vita, gli altri «colleghi» (tali erano di fatto per lui) delle forze dell’ordine, le istituzioni, gente incrociata per un istante, persone della Verona comune. Tutti stretti a lui, Costantino Spike Fadda, alla moglie Livia e ai parenti. Il Duomo pieno era per lui, com’è quando se ne va qualcuno di davvero importante. E lui importante lo era, al modo degli uomini umili e forti.


Nel silenzio, rotto dagli scatti dei colleghi che ora portano avanti il suo testimone, nella musica e nelle parole del celebrante, monsignor Giancarlo Grandis, ha preso forma il ritratto - accanto a quello posto vicino al feretro, orgogliosamente «timbrato» da un adesivo con la bandiera della Sardegna - di un uomo dal cuore grande, dalla sensibilità intensa nascosta sotto la scorza del ruvido e spavaldo fotoreporter.


Quella Verona che «perde un professionista e un amico che voleva molto bene al giornale», parole del direttore Maurizio Cattaneo, era lì a testimoniare altrettanta amicizia. Senza ostentazione, con la stessa semplicità di rapporti con cui, per decenni, aveva intrecciato momenti di vita e professione con Spike.


Nel breve saluto finale, l’ex direttore de «L’Arena» Giuseppe Brugnoli ha condensato l’uomo Costantino Fadda in un aggettivo: «Libero». E quella parola, calata sulla folla, è stata una rivelazione, la risposta alla domanda che, nella redazione ormai troppo silenziosa, andiamo facendoci da giorni. E dopo averlo descritto con mille parole finalmente ne abbiamo una che ce lo riporta qui, consegnandoci l’impegno a non tradire quella libertà che è stata la sua cifra. Buona luce Spike, amico nostro che adesso sei nella Luce.


Fonte: srs di Paolo Mozzo, da L’Arena di Verona del 29 agosto 2013


FADDA, IL SALUTO A UN «UOMO LIBERO»


La signora Livia accarezza la bara mentre tutti applaudono Costantino alla fine del rito funebre

IL FUNERALE. Si è svolta in Duomo la cerimonia funebre del fotoreporter che per oltre 40 anni ha immortalato con i suoi scatti le vicende veronesi di cronaca nera
Familiari, amici, colleghi di lavoro e rappresentanti delle istituzioni al commiato L´ex direttore Brugnoli ha ricordato il fotografo sempre pronto ad entrare in azione

Sulla bara l´adesivo dei «quattro mori», bandiera della Sardegna

Un cuscino fiorito di anturium rossi e, sotto, il tricolore con lo stemma della Sardegna. Così il feretro di Costantino Fadda è entrato in Duomo, per l´ultimo saluto, accolto da una folla di familiari, amici e colleghi, scortato dai «suoi» poliziotti, i «suoi» carabinieri», i «suoi» vigili del fuoco, la «sua» polizia municipale, i «suoi» finanzieri, le persone con cui ha lavorato a stretto contatto di gomito per oltre quarant´anni, sbraitando se non c´erano le «testine» da pubblicare sul giornale o se l´agente di turno non aveva il berretto, condividendo lunghe attese e attimi in cui c´era solo il tempo di un clic, lo scatto che aveva solo lui. Ai piedi dell´altare la sua foto accanto alla prima pagina de L´Arena del 12 ottobre del 1928, il giorno in cui era nato.


C´erano tutti i rappresentanti delle istituzioni a salutare Costantino Fadda e tutti avrebbero potuto raccontare aneddoti a non finire sul fotoreporter che piombava sulla scena dell´incidente stradale qualche volta anche prima degli investigatori, che lavorava senza guardare l´orologio, che non se ne andava dal luogo di un delitto se «non aveva tutto» quello che c´era da fotografare.
La moglie Livia, così esile e così forte, era dietro la bara vegliata dalle guardie del Pantheon e dagli amici dell´associazione Sardi, circondata dai familiari e dal «mondo» di Costantino, quello per cui lui ha sempre vissuto: il giornale, le notizie e le foto. «Un´esistenza dedicata tutta alla sua professione», ha sottolineato monsignor Giancarlo Grandis che ha celebrato le esequie porgendo ai familiari le condoglianze del vescovo Giuseppe Zenti e di tutta la Chiesa veronese.


Poco prima i colleghi de L´Arena Bonifacio Pignatti e Enrico Giardini avevano letto la Prima Lettura e il Salmo, esprimendo così la vicinanza stretta dei giornalisti al fotografo che è stato trasversale a più di una generazione di cronisti, con cui ha condiviso per decenni le situazioni più diverse della cronaca nera, sempre a sferzarli di raccogliere più particolari possibili, di non farsi impaurire dalla presenza del sangue, dalle auto sventrate, dei carabinieri o dei poliziotti che ti dicevano di stare distante. «Monta in macchina e andiamo», diceva a chi c´era di turno quando c´era da correre per un servizio. «Andiamo». Non si è mai tirato indietro. Non ha mai detto «sono stanco», o «dopo». Solo «Andiamo», per anni, fino all´ultimo giorno.


«Non l´ho conosciuto personalmente», ha detto monsignor Grandis, «ma ho letto la storia che ne ha tracciato L´Arena in questi giorni, che l´ha fatto conoscere al pubblico. Con i suoi scatti ha documentato la realtà e ha rispettato la verità. Era il simbolo di una stampa rispettosa, con tratti di signorilità e disponibilità». Veronese d´adozione, ha aggiunto, «ma amava le sue radici, la sua terra sarda. e nella sua bara gli amici hanno deposto dei sacchetti con quella terra e un´ampolla con l´acqua del suo mare». E siccome il feretro di Fadda, come la sua auto, doveva distinguersi ovunque si trovasse, perchè lui era «Spike» e ce l´aveva scritto a grandi lettere sulla targa gialla che esponeva sul cruscotto, tanto per non creare equivoci, anche in questo suo ultimo viaggio, gli amici hanno incollato sulla bara l´adesivo con il simbolo dei Quattro Mori, l´emblema della Sardegna.


«Costantino era un uomo religioso», ha detto monsignor Grandis, «perchè chi rispetta l´uomo rispetta Dio. E lui era un uomo rispettoso. Ora per lui è un nuovo inizio, glielo auguriamo. E lo salutiamo con le parole di Sant´Agostino: Signore, non ti chiediamo perchè ce lo hai tolto ma ti ringraziamo perchè ce lo hai donato». Rita Ferro, archivista da molti anni a L´Arena, ha recitato le preghiere rituali dopo l´omelia. Poi la bella voce del poliziotto tenore Paolo Restiotto ha accompagnato il momento dell´Eucarestia, spandendo note di commozione.



Il ricordo di Giuseppe Brugnoli, per anni direttore de «L´Arena»


Infine il saluto di Giuseppe Brugnoli, che dal 1982 al 1993 è stato direttore de L´Arena. «Siamo in tanti in questa chiesa a ricordarlo. Siamo qui perchè Costantino Fadda era un uomo libero e lo ha dimostrato sempre. Era anche un uomo semplice e tutti abbiamo apprezzato questa sua caratteristica come la sua dedizione e la passione per il lavoro. Era un uomo buono. Grazie per quello che hai fatto per noi. Grazie per essere stato nostro amico».


Fra´ Beppe Prioli, da quarant´anni in prima linea nel volontariato per il carcere, ha sparso sulla bara l´incenso purificatore. Da tanto conosceva Costantino e i due non mancavano di prendersi in giro, soprattutto quando si trovavano fuori dalla casa circondariale a seguire, per motivi diverse, le vicende degli «ospiti». Un´altra storia di cronaca sfumata nell´applauso che, per l´ultima volta, ha salutato «Tino».



Fonte: srs di  Elena Cardinali, da L’Arena di Verona di  giovedì 29 agosto 2013 CRONACA, pagina 10



«E NOI CHE LO PENSAVAMO IMMORTALE... UN HIGHLANDER». SONO IN TANTI A SALUTARE COSTANTINO FADDA

Vicino alla bara, la foto e la prima pagina de L´Arena del 12/10/1928

«E noi che lo pensavamo immortale... un Highlander». Sono in tanti a salutare Costantino Fadda con questa battuta, perché «Spike», per molti, era ormai una leggenda. Nessuno sapeva capacitarsi delle sue 84 primavere e della sua straordinaria vitalità. Per tutti, quindi, il suo ultimo scatto è stato un po´ un «tradimento». Del resto, lui stesso amava sottolineare la sua straordinaria energia ripetendo: «Godetevi la vita, perché oggi ci siamo, domani... non ci siete più!».


Il sindaco Tosi si intrattiene con la vedova di Fadda, signora Livia

E ora è, quindi, difficile credere che sia lui a non esserci più. Tanti amici, autorità e colleghi, erano infatti ieri al suo funerale proprio per convincersi di questo, rendendo onore, anche con un po´ di ironia e leggerezza, a quel suo modo sempre allegro di stare tra la gente, di lavorare con il sorriso e l´entusiasmo cuciti addosso.



L´ultimo sguardo alla bara dell´adorata Patricia (FOTO DIENNE E MARCHIORI)

«Ho mille ricordi di tante avventure professionali con Costantino», racconta Fernando Malfatti, ex dirigente della questura, «non serviva nemmeno che ci parlassimo, bastava uno sguardo. Lui viveva ogni foto come una notizia».


Gli fa eco Gianpaolo Trevisi, direttore della scuola di polizia di Peschiera ed ex capo della Mobile che ricorda: «Era l´unico capace di farti passare la luna storta in un secondo. Magari ti buttavano giù dal letto per un omicidio in piena notte, tu arrivavi trafelato e assonnato e te lo trovavi già lì bello arzillo e carico di passione che ti diceva "dai, dammi la foto dell´assassino"».


Vincenzo D´Arienzo, deputato del Pd, ispettore della guardia di finanza in aspettativa, dice: «Quel che colpiva di lui era l´autorevolezza. Aveva un carisma tale che poteva permettersi di interrompere una conferenza stampa per fare un foto come diceva lui». «Un uomo straordinario e un amico. Un giornalista a tutti gli effetti», dice il procuratore Guido Papalia. «Quando sono arrivato a Verona, spesso mi rivolgevo a lui per avere informazioni sulle persone del giro. Ci teneva alle onorificenze e l´ultima che ha ricevuto, ha preteso fossi io a mettergliela al collo», racconta.


«Una persona carica di calore ed energia che non si fermava mai, sempre ottimista», ricorda Antonio Pastorello, presidente del Consiglio provinciale. «Ci siamo conosciuti quando ancora giocavo, una persona simpatica e solare», ricorda Emiliano Mascetti, ex calciatore dell´Hellas.
«Con Fadda ho fatto dei servizi straordinari, era lui a darti le notizie prima di tutti», racconta Adalberto Scemma, inviato speciale de L´Arena dal 1970 al 1990. «Sapeva rubare gli scatti e le immagini migliori come nessuno». «Aveva un grandissimo senso dell´amicizia, della lealtà ed era un generoso», gli fa eco Walter Bragagnolo, fondatore e primo preside della facoltà di Scienze motorie.


«Non ci ho mai lavorato insieme, ma era una persona che lasciava il segno», commenta la giornalista Mirella Gobbi, presidente di Assostampa Verona. E così pure il cronista del Corriere del Veneto, Enrico Presazzi: «È sempre stato un termine di paragone. Se arrivavi sul posto prima di lui voleva dire che eri bravo. Sempre sorridente, non l´ho mai sentito lamentarsi. Credo che il segreto del suo essere Fadda fosse proprio in quell´entusiasmo che metteva in ogni cosa facesse». Anche chi lo conosceva poco restava colpito. Come il nuovo questore Danilo Gagliardi: «Ci siamo presentati pochi giorni prima dell´incidente e mi ha lasciato bellissime foto, un servizio sul mio insediamento. Mi è stato facile comprendere il dolore di tutta la questura per la sua perdita». Forse, quindi, chi lo credeva immortale, non aveva tutti i torti. Il segno che ha lasciato resterà a lungo.


Fonte: Srs di Giorgia Cozzolino. Da L’Arena di giovedì 29 agosto 2013 CRONACA, pagina 10


Nessun commento: