sabato 20 settembre 2014

LA SPAZZATURA BUTTATA IN MARE RIDISEGNA LA MAPPA DEI CONFINI DEGLI OCEANI. ECCO DA DOVE VENGONO LE “ISOLE DI PLASTICA” PRESENTI OVUNQUE





Tre ricercatori dell’università australiana del New South Wales (Gary Froyland, Robyn M. Stuart e Erik van Sebille) potrebbero aver scoperto i colpevoli della creazione delle “isole di plastica”, quegli insiemi di rifiuti marini che si sono formati negli oceani: il problema è che i responsabili siamo praticamente noi tutti.

Nello studio “How well-connected is the surface of the global ocean” pubblicato su  Chaos: An Interdisciplinary Journal of Nonlinear Science, il team australiano sottolinea che «le dinamiche oceaniche operano e influenzano il clima su scale temporali di mesi a millenni» e per capire come funzionino questi giganteschi e lunghi fenomeni planetari sulla superficie dell’oceano hanno cercato regioni oceaniche «nelle quali l’acqua, la biomassa e gli inquinanti restano intrappolati “per sempre” (quelle che  definiamo attracting regions), o per lunghi periodi di tempo prima di riuscire ad uscirne (che definiamo asalmost-invariant regions). Mentre le regioni che attraggono possono essere di dimensioni molto piccole  o di forma irregolare, se i loro bacini di attrazione sono grandi, possono comunque esercitare una grande influenza sulla dinamica globale della superficie dell’oceano.

Insomma, la plastica che buttiamo in mare come spazzatura, inavvertitamente o volutamente, alla fine ha grosse probabilità di finire in uno dei 5 grandi “ocean garbage patches”. Così la plastica si trasforma da possibile risorsa riciclabile e reinseribile nei nostri cicli produttivi in una minaccia, a volte mortale per la vita marina, e si sta accumulando lungo la catena alimentare. Eppure i dati sulla provenienza di queste plastiche sono ancora molto pochi.

Van Sebille, un oceanografo, e Froyland, un matematico, spiegano su The Coversation che «la nostra nuova ricerca ridisegna alcuni dei confini convenzionali tra gli oceani, suggerendo che i rifiuti non sempre vanno nel loro “garbage patch “locale”.  Lavorare  a capire quali Paesi abbiano  contribuito di  più al problema della plastica marina è una questione controversa. Tuttavia, attribuire la colpa sarà un passo cruciale perché i paesi inquinanti ne tengano conto, inducendoli dopo a ripulire. Il nostro studio, pubblicato sul giornale Chaos , fornisce un pezzo fondamentale del puzzle di chi ha creato queste discariche marine».

Se qualcuno fosse abbastanza stupido (e gli stupidi a quanto pare non mancano) da buttare  una bottiglia di plastica in mare da una spiaggia, potrebbe fare un viaggio molto lungo, andando lentamente alla deriva con le correnti fino a che, a seconda da quale spiaggia provenga la bottiglia, alla fine si troverebbe sulla strada per raggiungere uno dei 5 grandi ocean garbage patches.  Ma la bottiglia prima di raggiungere il vortice o l’isola di rifiuti resterà alla deriva per diversi anni e il sole e le onde la degraderanno, fino a ridurla in pezzetti grandi qualche millimetro che sono difficilissimi da rimuovere dall’acqua.

Le “isole” di spazzatura vengono formate da correnti che spostano enormi masse d’acqua (e plastica) in tutto il mondo, seguendo un modello complicato. La maggior parte dell’acqua finisce nei  “gyres”, e c’è uno di questi vortici in ogni mare di ogni emisfero e in ciascuno ha al centro un patch di spazzatura. Sapere quali sono i Paesi che confinano con i “gyres” è quindi un primo passo importante per capire chi è responsabile dell’accumulo di macro e micro-plastiche in mare.

Ma le correnti oceaniche non sono certo confinate nei singoli oceani, i confini degli oceani e dei mari elaborati dall’International Hydrographic Organization invece  rispecchiano in gran parte i confini geopolitici.

«Ad esempio – spiegano i ricercatori –  il “confine” tra gli oceani Indiano e Pacifico è internazionalmente riconosciuto come una linea retta passante a sud della Tasmania. Questo suggerisce che le bottiglie di plastica gettate nell’oceano orientale della Tasmania finirebbero nel Sud dell’Oceano Pacifico, mentre le bottiglie di plastica disseminate ad ovest della Tasmania potrebbe dirigersi verso l’Oceano Indiano. Il nostro studio mostra che questo non è vero. In realtà, tutto il Great Australian Bight, gran parte dell’Oceano Meridionale sud-ovest dell’Australia, e anche le regioni sud dell’Africa, sono molto più strettamente legate al Sud Pacifico che all’Oceano Indiano».
La nuova mappa degli oceani del mondo ridisegna i confini dell’oceano secondo la scienza, piuttosto che geopolitica e questi “current-driven boundaries” mostrano la provenienza dei materiali che costituiscono i garbage patches, suggerendo così che i veri confini tra gli oceani non corrispondono a quelli riconosciuti a livello internazionale.

Ma anche  armati di questa nuova conoscenza il team australiano dice che è duiffivile trovare i colpevoli delle “isole di plastica”: «Le correnti sono state mappate abbastanza bene, ma non la densità della plastica in tutto l’oceano. Per trovare i colpevoli, abbiamo bisogno di sapere non solo dove sono i patch di spazzatura, ma anche la distribuzione dei detriti che stanno ancora facendo il loro lungo viaggio pluriennale verso i “gyres”.  Se la scopriremo, sapremo quali sono le correnti più influenti che traghettano i rifiuti in tutto il mondo e saremo in grado di risalire ai luoghi dove le persone li hanno buttati».

Si tratta di una ricerca per il futuro che può essere fatta insieme a gruppi come 5Gyres, che campionano acqua in tutto il mondo per rilevare la presenza di micro-plastiche ed altri detriti.
«Nel frattempo – concludono van Sebille e Froyland – quel che possiamo dire della nostra nuova mappa è che i Paesi non necessariamente contribuiscono alla spazzatura che è nel loro ‘oceano “locale”, secondo i nostri confini convenzionali dell’oceano. A complicare ulteriormente le cose, la nostra ricerca suggerisce anche che anche i patch disperdono spazzatura.  Anche se la plastica si accumula nei garbage patches, non rimane lì per sempre. Abbiamo scoperto che tutti patch scambiano materiale con i loro vicini a vari livelli.

I rifiuti degli oceani sono quindi, in ultima analisi, un problema globale. Date le difficoltà pratiche di rimozione di questa spazzatura dagli oceani, e il fatto che vi permanga per decenni, il mondo deve rendersi conto che siamo tutti sulla stessa barca».




Fonte: visto su greenreport.it    del 4 settembre 2014





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