mercoledì 19 novembre 2014

PAOLO BASAGLIA L'INGEGNERE CHE SMONTA TUTTE LE BUGIE DEI NO TAV

"Molti manifestanti lavorano per la A32, penalizzata dai treni ad alta velocità. Spesa faraonica? Ridicolo"


Paolo Basaglia 



Stefano Lorenzetto

C'è un solo modo per spiegare l'impresa nella quale Paolo Basaglia s'è lanciato: il cognome. «Mia nonna sosteneva che eravamo parenti alla lontana dello psichiatra passato alla storia per aver fatto chiudere i manicomi». Se gli va bene, ma v'è da dubitarne, lui resterà nella cronaca per essere riuscito a far aprire quello che in gergo tecnico viene chiamato tunnel di base del Moncenisio, primo step dell'opera pubblica più contestata di tutti i tempi: l'Alta velocità Torino-Lione.

Impresa indubbiamente da pazzi, la sua, perché significa fronteggiare un'agguerritissima tribù, come non se ne vedevano in azione dai moti di Reggio Calabria del 1970: i No Tav della Val di Susa, le cui proteste contro la nuova linea ferroviaria ad alta velocità di 235 chilometri fra Italia e Francia sono state accompagnate da un crescendo di attentati, intimidazioni, scontri con le forze dell'ordine, aggressioni, blocchi stradali, occupazioni e boicottaggi, bollati come segnali eversivi da Gian Carlo Caselli, fino a tre settimane fa capo della Procura di Torino.
Si chiama - ecco la coraggiosa follia - Comitato Sì Tav. Per ora è soltanto una pagina su Facebook, anche se in breve tempo ha già raccolto oltre 3.300 adesioni. Ad aprirla, insieme con Basaglia, è stato Ivan Possekel, tecnico informatico. Abitano a Torino. Iscritto al Partito democratico il primo, irriducibile di destra il secondo, «credo che simpatizzi per Francesco Storace», informa Basaglia, e anche questa è un'alchimia da matti, perché significa marciare divisi su tutto - «litighiamo in continuazione sul governo, sull'immigrazione, sui diritti civili degli omosessuali» - per colpire uniti sull'unico bersaglio che sta a cuore a entrambi: il treno ad alta velocità.

È questa la competenza che Basaglia, nato a Sanremo nel 1965, laureato in ingegneria elettronica al Politecnico di Torino, ha portato in dote al Comitato Sì Tav: una preparazione fuori dal comune in materia ferroviaria, tanto più sorprendente se si considera che ha studiato all'Istituto nautico di Imperia. «Ma ho avuto un nonno, Bruno Basaglia, originario di Bologna, che per più di 40 anni ha fatto il macchinista delle Fs sulle tratte di tutta la penisola», spiega, «e un padre geometra, Ivo, che mi ha attaccato la passione per i treni. Quand'ero bambino, abbiamo costruito insieme un plastico enorme con i modellini in scala zero della Rivarossi, fra i più grandi, che nella mia camera lasciava lo spazio solo per il letto». Della formazione giovanile sul Mar Ligure rimane una traccia nell'attuale professione: commerciante di acquari e pesci tropicali a Torino. In passato ha lavorato come ingegnere in un'azienda telematica.

A rafforzare in Basaglia la vocazione infantile per le ferrovie ha contribuito un evento topico: la sua partecipazione, il 27 settembre 1981, al primo viaggio del Tgv francese, acronimo di «train à grande vitesse», progenitore dei nostri Frecciarossa e Italo, che inaugurò l'era dell'alta velocità in Europa, «120 minuti per coprire la tratta Lione-Parigi, 450 chilometri, lanciati ai 260 orari: mi pareva di sognare».

Ha qualche interesse in Val di Susa?
«Nessuno. Né parenti, né case di vacanza. In tutta la mia vita sono stato soltanto due volte in gita a Bardonecchia».

Allora perché se ne occupa?

«Per reazione. Sono un tipo sanguigno, abituato ad agire d'impulso. Digitavo su Internet la stringa Tav Torino-Lione e mi uscivano migliaia di pagine con pareri contrari. Mai nessuno a favore. Idem sulla grande stampa: spazio solo alle tesi dei No Tav. Che poi, più che di tesi, si tratta di fuffa. Le loro 150 ragioni contro la Torino-Lione per un esperto di ferrovie si possono condensare in 10. Le altre 140 sono ripetizioni, fumo negli occhi. Così mi sono accollato il dovere civile di fare chiarezza. Pensavo che l'informazione spettasse a voi giornalisti».

Infatti sono qua.
«È il primo che si fa vivo, dal 2011 a oggi».

Chiariamo qual è la materia del contendere.
«Un nuovo tunnel a doppia canna, lungo 54 chilometri, da Susa a Saint Jean de Maurienne, da costruire entro il 2025. Al momento sono cominciati soltanto i lavori per le gallerie di servizio che serviranno per ventilare il tunnel ferroviario e per consentire il passaggio di operai e soccorritori. Dopodiché bisognerà costruire la nuova linea ad alta velocità da Susa a Torino e da Saint Jean de Maurienne a Lione. Tempi previsti: altri 15 anni. Quindi la Tav non sarà pronta prima del 2040».

Costi?
«L'intera opera, tunnel incluso, 22 miliardi di euro. La spesa di 8,2 miliardi per la parte internazionale, cioè per il tunnel, sarà sopportata al 58% dall'Italia e al 42% dalla Francia».

Perché i francesi spendono meno?
«Una compensazione necessaria. Il resto della tratta a loro carico, dalla fine del tunnel a Lione, è di 100 chilometri, mentre la nostra ne misura la metà».

Comunque 8,2 miliardi sono tanti.
«I No Tav parlano di spesa faraonica. Facciamo due conti. L'Unione europea ci metterà il 40%. Ergo, la spesa scende a 4,92 miliardi, di cui 2,85 a carico dell'Italia. Suddivisa in un decennio, fanno 285 milioni l'anno. Una cifra risibile per il bilancio dello Stato, che nel 2013 contemplava spese per 527 miliardi».

Perché il tunnel s'ha da fare?
«Per un'infinità di motivi. La linea storica è contorta. I raggi di curvatura sono strettissimi, con attrito volvente elevatissimo e pendenze del 35 per mille che si traducono in scarsa efficienza energetica, tant'è che i treni merci richiedono due motrici in trazione e una in spinta. Con il nuovo tunnel i convogli consumeranno il 90 per cento in meno».

È così dispendioso anche il trasporto dei cristiani?
«Certo. Il Tgv per Parigi che parte da Milano viaggia come un treno normale fino a Torino, perché la linea ad alta velocità non è stata ancora omologata. Idem da Torino a Lione, dove i binari per la Tav ancora non ci sono. Con un'aggravante: nel tratto Bussoleno-Saint Jean de Maurienne non può superare i 70 chilometri orari. Il che porta i tempi di percorrenza sulla tratta Torino-Lione a 3,5 ore, contro 1,5 ore della Tav. Preistoria».

Quanti sono i No Tav?
«Una ristretta minoranza, sia pure chiassosa. La maggioranza silenziosa è formata da Sì Tav che si guardano bene dal dichiararlo per paura. A Susa è stata fatta di recente una petizione per esprimere solidarietà alle forze dell'ordine: si sono raccolte oltre 1.000 firme. Ma non s'è potuto dire che erano pro Tav, altrimenti i sottoscrittori sarebbero stati linciati».

L'alternativa per i No Tav qual è?
«Non sono ancora riuscito a capirlo. Sostengono che la Tav sarebbe sottoutilizzata perché il traffico ferroviario sulla Torino-Lione è in continua diminuzione. Ma non specificano che i treni merci snobbano la linea storica perché è obsoleta a tal punto da rendere più conveniente i trasporti verso la Francia attraverso la galleria ferroviaria del San Gottardo che passa dalla Svizzera».

È dal 1995 che combattono. Non si rendono conto che i due Stati non cederanno mai alle loro pretese?
«Secondo me se ne rendono conto eccome. Ma hanno tutto l'interesse a ritardare i lavori il più possibile».

A che scopo?
«La maggior parte del traffico Italia-Francia attualmente avviene su gomma, lungo la A32 Torino-Bardonecchia e il traforo stradale del Frejus, con gravi ripercussioni, fra l'altro, sulla salute ambientale, visto che Tir e auto, a differenza dei treni, inquinano. La Tav provocherà un danno irreparabile alla Sitaf (Società italiana per il traforo autostradale del Frejus, ndr), il cui giro d'affari in prospettiva è destinato a sgonfiarsi. Ora si deve sapere che molti No Tav lavorano alla A32 o sono titolari di cooperative che prestano servizi all'autostrada, dallo sgombero della neve ai mezzi spargisale contro il gelo fino alla cura delle aiuole spartitraffico e delle aree di sosta».

Interessante.
«Lo stesso Sandro Plano, presidente della Comunità montana della Val di Susa, leader dei sindaci contrari alla Tav, lavorava alla Sitaf. Niente di male, per carità, non dubito della sua onestà personale. Però ci hanno fatto due marroni così sul conflitto d'interessi di Silvio Berlusconi e nessuno si accorge di questo, che è grande come una casa?».

Lavorava alla Sitaf. Oggi non più.
«D'accordo, ma direttore di esercizio della A32 lo è stato fino al 2011, mica nel secolo scorso, e persino La Repubblica ha dovuto ricordargli che nemmeno negli anni di Vittorio Valletta s'era visto un dirigente della Fiat diventare sindaco di Torino. Non credo che alla Sitaf dispiacesse avere un proprio dipendente alla guida della Comunità montana, alleato con chi si oppone alla ferrovia a tutto vantaggio dell'autostrada su cui marciano i Tir. Plano milita come me nel Pd, è un amico, queste cose gliele ho dette in faccia. Ripeto: sono certo della sua probità. Ma ragioni di opportunità dovrebbero indurlo ad astenersi dal cavalcare la causa dei No Tav».

I quali temono che i lavori per l'alta velocità diventino per le cosche mafiose ciò che il formaggio è per i topi.
«Gli svizzeri hanno investito 24 miliardi di euro per i trafori del Gottardo e del Lötschberg. C'è la mafia anche nel Canton Ticino? Allora dovremmo evitare l'ammodernamento della Salerno-Reggio Calabria per scongiurare infiltrazioni della camorra e della 'ndrangheta. Perché non spiegano invece che la Tav rappresenta un'occasione d'impiego per 2.000 valsusini? Non a caso non vengono incendiati i mezzi della Cmc di Ravenna, la coop che sta realizzando il cunicolo esplorativo della Maddalena. No, si bruciano quelli delle piccole imprese locali, come la Italcoge di Susa dei fratelli Lazzaro, per impedire alla gente di accorgersi che quest'opera pubblica dà lavoro alla vallata».

Come spiega la virulenza dei No Tav?
«La Val di Susa è terra di eretici e ribelli fin dai tempi della caccia alle streghe, zona di reclutamento per il movimento anarchico, per la guerra partigiana e poi per Lotta continua, Prima linea, Brigate rosse vecchie e nuove. L'estrema sinistra indottrina la gente con le leggende».

Quali, per esempio?
«I pericoli derivanti dalla presenza di amianto e uranio nelle rocce dove sarà aperto il tunnel. A parte che per le gallerie moderne si usa il Tbm, tunnel boring machine, una fresa meccanica che lava la roccia sminuzzata impedendo la dispersione delle polveri, non capisco una cosa: in Val di Susa per convogliare le acque della Dora Riparia verso la centrale elettrica di Pont Ventoux, una delle più grandi d'Italia, è stato costruito un lunghissimo tunnel. Nessuno s'è lamentato per l'amianto e l'uranio. Ed è la stessa montagna. Idem per il raddoppio della canna del Frejus, in corso di esecuzione: 13 chilometri di scavo. Non vola una mosca. Ed è la stessa montagna».

Chi guida i No Tav?
«Alberto Perino, ex bancario sindacalista della Cisl, indagato per istigazione a delinquere. Ma l'area più pericolosa è quella anarchica vicina al centro sociale Askatasuna di Torino e a Spinta dal bass di Avigliana. Plano la condanna, Perino si chiama fuori dicendo che in Val di Susa ognuno è leader di se stesso. Almeno il Pci aveva il coraggio di definire i brigatisti rossi compagni che sbagliano».

Dove lo trovano il tempo per manifestare in continuazione, bloccare autostrade e cantieri, fare a botte?
«Gli anarchici non hanno grandi occupazioni. Molti sono figli di papà che giocano alla guerriglia urbana. Io, con una moglie e una figlia di 4 anni da mantenere, non potrei permettermelo».

Dicono che non cederanno mai, neanche a costo della morte.
«Mi sembra una boutade. Però il rischio che prima o poi ci scappi il morto è piuttosto concreto».

Non ha paura che vengano non dico a ucciderla, ma almeno a picchiarla?
«A volte sì. L'ho messo in conto. Intanto mi sono assicurato contro gli atti vandalici».

Minacce ne ha avute?
«Via Internet e per posta elettronica».

Di che tipo?
«Smettila, sappiamo chi sei, veniamo a trovarti, ti spacchiamo la faccia. Un No Tav mi ha scritto: Guarda che conosco quelli della Guardia di finanza, avrai di sicuro qualcosa da nascondere».

Ecco, diranno che lei e il Comitato Sì Tav siete prezzolati da qualcuno.
«Lo dimostrino. Vivo del mio lavoro, che scarseggia, perché con la crisi la gente pensa alla propria pancia, più che a nutrire i pesci negli acquari. Mi facciano pure un accertamento. Sul conto corrente intestato a me e a mia madre scopriranno solo che il fido di 36.000 euro, garantito da titoli di Stato, è vicino al rosso».



Fonte: srs di Stefano Lorenzetto, da il Giornale del 19 gennaio 2014


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