venerdì 28 novembre 2014

ISIS/ MICALESSIN DA ALEPPO: “C’È LA TURCHIA DIETRO IL MASSACRO DEI CRISTIANI”

Quello che rimane della chiesa di Kivork, il simbolo di quello che gli armeni cristiani di Midan considerano il loro nuovo martirio.




"Dentro quello che rimane della chiesa di Kivork, il simbolo di quello che gli armeni cristiani di Midan considerano il loro nuovo martirio - Servizio di Gian Micalessin": immagini tratte dal video-reportage de ilGiornale.it


Dietro lo sterminio dei cristiani e il nuovo genocidio degli armeni in Siria per mano dell’Isis c’è la mente della Turchia che vuole ricostruire l’impero ottomano. Il califfato sevizia, uccide e abbatte chiese millenarie con il supporto logistico del regime di Erdogan, il più potente Stato membro della Nato in Medio oriente. Un progetto cui con grandi dosi di ingenuità hanno contribuito gli stessi Stati Uniti, che si sono fidati ciecamente dell’alleato turco e hanno lavorato per abbattere Assad, l’unico argine all’estremismo in Siria. L’inviato di guerra Gian Micalessin si trova ad Aleppo, città nel Nord della Siria dove si combatte strada per strada, e ci documenta una versione dei fatti profondamente diversa da quella raccontata dai “media ufficiali”.





Intervista di Pietro Vernizzi a Gian Micalessin


Lei ha assistito di persona agli scontri tra Isis ed esercito di Assad. Com’è la situazione sul terreno?
Aleppo è una città sotto assedio dal 2012. La situazione qui è stata estremamente difficile fino al febbraio di quest’anno, quando i governativi sono riusciti a riaprire la strada che da Damasco porta ad Aleppo. Dalla primavera scorsa l’assedio è stato rotto, consentendo ai rifornimenti di arrivare in città e migliorando la vita della popolazione civile. Aleppo resta però una città in guerra, dove governativi e ribelli si alternano a macchia di leopardo arrivando fino all’antica cittadella, attorno alla quale si combatte senza sosta.

Quali incontri l’hanno colpita di più durante la sua visita nei quartieri cristiani di Aleppo?
Ho incontrato i vescovi cristiani di Aleppo, tra cui il vescovo latino Georges Abou Khazen, il quale mi ha detto: “Se noi cristiani ce ne andiamo, questo Paese diventerà come l’Afghanistan dei talebani”. La paura dei cristiani rimasti è quella di essere costretti ad abbandonare il Paese, dopo che il 70 per cento di loro se n’è già andato. Chi resta nelle zone controllate dall’Isis è soggetto a vere e proprie persecuzioni.

Come vivono i cristiani nelle aree rimaste sotto il regime di Assad?
Anche in grandi città come Aleppo e Damasco, per i cristiani diventa sempre più difficile sostentarsi economicamente perché non c’è più lavoro. Aleppo era fino a poco tempo fa la Milano della Siria, in quanto rappresentava il motore economico del Paese. Oggi invece tutta la sua zona industriale è completamente distrutta. Mi hanno colpito molto anche gli anziani cristiani della comunità armena di Midan, uno dei quartieri di Aleppo. Uno di loro, di 82 anni, mi ha detto: “Quanto sta avvenendo adesso è esattamente quello che è successo cento anni fa: è un nuovo genocidio e dietro c’è ancora una volta la Turchia”.




Perché la Turchia, un alleato della Nato, sta tenendo questa posizione?
L’obiettivo della Turchia è fare rinascere l’impero ottomano, e quindi riprendere il controllo di tutti i territori a partire dalla Siria, che la Turchia considera parte integrante del suo Stato. Ankara vuole riprendersi Aleppo, l’area curda e le altre regioni che fino alla fine della prima guerra mondiale e a Lawrence d’Arabia erano territori turchi.

Quale ideologia c’è dietro a questo tentativo?
Il presidente Erdogan interpreta alla perfezione il concetto di neo-ottomanesimo, ispiratogli dal suo primo ministro, Ahmet Davutoglu, vero ideologo del regime. Non è un caso che la Turchia sia diventata il retroterra di tutti i gruppi ribelli che hanno condotto la guerra contro Bashar Assad, nonché il principale sostenitore dell’Isis che aveva libertà di passaggio sui territori turchi.

Negli ultimi giorni ci sono stati 15 raid Usa in Siria. Quanto sono stati efficaci?
Dopo settimane di indecisione e di atteggiamento passivo, gli Usa hanno capito di essere costretti a fare qualcosa per evitare che Kobane cadesse. Quanto sta avvenendo dimostra che quando c’è la volontà di farlo, l’Isis può essere fermato. Anche se il tempo perso nei mesi scorsi ha prodotto le conseguenze che sono sotto gli occhi di tutti.

Gli alleati stanno spingendo Obama a non limitarsi ai raid aerei. Che cosa bisogna fare?
Le guerre non si vincono con l’aviazione né solo con l’esercito, bensì con un insieme di fattori che non possono prescindere da un chiaro disegno politico.
Finché in Iraq i sunniti non saranno reintegrati nella vita pubblica, pensare di sconfiggere l’Isis sarà un’utopia perché gran parte delle tribù sunnite continueranno a combattere dalla parte del califfato. Gli Stati Uniti presto o tardi dovranno capire che pur con tutti i suoi difetti, il regime di Assad è assolutamente migliore dell’Isis e del fanatismo. Meglio quindi l’alleanza “di comodo” con il regime piuttosto che condurre una guerra su due fronti.

Qual è il ruolo dell’Iran in Siria e Iraq?
L’Iran è coinvolto nel conflitto in corso sia in Siria sia in Iraq. Il regime di Damasco è il ponte naturale dell’asse sciita che da Teheran arriva in Libano con Hezbollah. Per l’Iran perdere Assad significherebbe rinunciare alla sua posizione dominante in Medio Oriente. D’altra parte in Iraq il 60 per cento della popolazione è sciita, e per l’Iran è naturale appoggiare il regime di Baghdad che considera suo alleato. Tehran è inoltre convinto di essere la grande potenza regionale, e quindi di dover contendere agli Stati Uniti il ruolo egemone in Medio Oriente.





Fonte: visto su IL  SUSSIDIARIO  del 20 ottobre 2014


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