venerdì 9 gennaio 2015

INTERVISTA A WALTER BLOCK ECONOMIA DI LIBERO MERCATO A VANTAGGIO DI TUTTI

Walter Block



di Redazione

Proponiamo in ANTEPRIMA la traduzione integrale in italiano della prima parte dell’articolo An Interview with Walter Block, by Grégoire Canlorbe tratto dall’Institut Coppet, trascrizione dell’intervista realizzata da Grégoire Canlorbe, studente francese di scienze economiche e filosofiche a Walter Block senior fellow del Ludwig von Mises Institute, professore di economia alla Loyola University di New Orleans, saggista libertario è autore di Difendere l’indifendibile e di varie pubblicazioni per vari giornali e riviste nel campo delle relazioni tra economia, etica, ecologia e religione. (Traduzione di Luca Fusari)

Grégoire Canlorbe: Si sostiene spesso (soprattutto negli ambienti cattolici e ancor più in generale in quelli conservatori) che l’errore del pensiero libertario sia di trascurare la dimensione “comunitaria” dell’essere umano e di ridurre così l’uomo ad un attore economico, riducendo le relazioni interpersonali a semplici relazioni di mercato. Il modello antropologico dei libertari non terrebbe in considerazione la naturale appartenenza degli esseri umani a molti ambienti, dalla famiglia alla città, i quali assegnano diritti e doveri all’uomo. Il modello riduce l’essere umano ad un semplice animale d’affari e dimenticherebbe che è anche un animale “politico”. Secondo lei è un ragionamento, almeno in parte, corretto?.

Walter Block: No, si fraintende il libertarianism. Tale filosofia è solo una teoria del giusto uso della violenza. Dice che la violenza può essere utilizzata esclusivamente in difesa o per rappresaglia, ma mai avviata nei confronti di persone innocenti o verso loro proprietà legittimamente detenute. Se non altro questa obiezione è attribuita più all’economia austriaca che non al libertarianism. Ma anche lì è fallace in modo abissale. L’economia austriaca è una teoria di causa ed effetto e sostiene che gli scopi umani sono la fonte dell’attività economica. Dove questa critica ha più senso è quando non è lanciata contro l’austrismo o il libertarianism ma verso l’economia mainstream. I neoclassici credono in questa folle idea di un uomo economico, o homo economicus, e alla concorrenza perfetta. Ma anche qui, la maggior parte degli economisti mainstream non sono così cattivi come sopra descritti; in particolare quelli coinvolti in economia politica. Essi sanno, più o meno, che l’uomo è un animale politico. Sicuramente gli studiosi della Scuola della Scelta Pubblica non possono essere ragionevolmente accusati di questo particolare errore.

Grégoire Canlorbe:  Frédéric Bastiat scrisse:

«Se l’umanità sta migliorando, questa crescita morale è dovuta non al produttore ma al consumatore. La religione lo ha capito perfettamente quando severamente ammonisce l’uomo ricco, il grande consumatore riguardo alla sua tremenda responsabilità. Da un differente punto di vista e in differenti linguaggi d’economia politica si arriva alla stessa conclusione. Essa afferma che non possiamo impedire la fornitura di quello che viene richiesto; (…) che, pertanto, è necessario che colui che esprime il desiderio e compie la richiesta accetti le conseguenze, siano esse benefiche o disastrose, e ne risponda davanti alla giustizia di Dio, come prima opinione del genere umano, per il buono o cattivo fine a cui ha diretto il lavoro dei suoi colleghi uomini» (Armonie Economiche, capitolo XI).

In che misura condivide questo punto di vista?.

Walter Block: Non sono d’accordo con questo. William Hutt e Ludwig von Mises furono colpevoli di aver sostenuto questa visione errata. Murray Rothbard ha corretto entrambi nel suo Man, Economy and State. L’errore sta nella “sovranità del consumatore”. E il produttore? Non è anche lui sovrano? Il personaggio di Ayn Rand nella Fonte meravigliosa è stato un buon esempio di questo. Era il suo modo di essere, aveva una visione di buona architettura ed era pronto a fargliela imboccare ai suoi clienti. Se a loro non piaceva la sua visione, non avrebbe lavorato per loro. Idem per Mozart, Einstein, Mises e Hutt.

Grégoire Canlorbe: Per quali ragioni e in quali circostanze ha sposato l’economia austriaca e la filosofia anarco-libertaria? E’ diventato improvvisamente un libertario austriaco o ha sperimentato una lunga, progressiva e surrettizia transizione verso questa visione del mondo?.


Walter Block: Quando incontrai Murray Rothbard all’incirca nel 1966, ero un minarchico libertario per un governo limitato. Questo principalmente per la lettura di Economia in una lezione di Hazlitt, La rivolta d’Atlante della Rand, e sotto la guida di Nathaniel Branden e Ayn Rand. A Murray ci vollero circa 10 minuti per convertirmi alle posizioni anarco-capitaliste. Mi convinse che gli argomenti che avevo usato contro gli uffici postali pubblici e le autostrade (la mancanza di concorrenza) si potevano applicare anche nei settori degli eserciti e della polizia. Mi ci sono voluti diversi anni, sotto la guida di Murray Rothbard e Walter Grinder, per vedere in modo chiaro l’economia austriaca. Ero invischiato nel positivismo logico. Non riuscivo a far entrare nella mia testa che ci fosse una cosa come una dichiarazione a priori sintetica. Pensavo che se qualcosa fosse assolutamente vero, non potesse essere la verità del mondo reale; doveva essere una tautologia, che applicandola alla realtà si potesse conoscere una sua verità solo provvisoriamente, empiricamente. Ah, beh, ero giovane e stupido.

Grégoire Canlorbe: Due punti di vista sembrano opporsi all’interno degli economisti austriaci. Il primo considera l’economia di mercato che deve essere perennemente spinta verso il modello dell’equilibrio generale, quel modello aiuta a capire il motivo dei profitti e delle perdite da parte degli imprenditori lungo il processo equilibrante, da un lato, e il risultato a lungo termine di questo processo, dall’altro. La seconda prospettiva, promossa da Guido Hülsmann, sostiene che non vi è alcuna tendenza verso qualsiasi equilibrio e che il campo di applicazione del modello di equilibrio generale è semplicemente contro-fattuale: descrive una situazione che emergerebbe se nessun imprenditore dovesse commettere alcun errore. Di questi due punti di vista antagonisti, lei ha una preferenza?.

Walter Block: Sono conosciuto, in lungo e in largo, come Walter Block il moderato. Nella mia mente sono in ogni caso un moderato su tale questione. Perché non posso abbracciare entrambe? Si dà il caso, che io davvero condivida ciascuna delle due. Certo, io sono un forte hülsmanniano su questo tema. Credo che il lavoro di Guido sui contro-fattuali sia a dir poco magnifico. E’ questo genere di cose che ci permette di rispondere a coloro che, come Krugman, mettono in dubbio che gli aumenti governativi delle quantità monetaria portino all’inflazione; ci accontentiamo di sostenere che i prezzi sono superiori a quelli che altrimenti sarebbero stati senza tutto questo quantitative easing. Poiché si tratta di una corretta dichiarazione prasseologica, essa è necessariamente vera, e non può essere confutata con alcuna prova, non più di quanto possa esserlo il teorema di Pitagora. Allo stesso modo, siamo in grado di rispondere alle dichiarazioni degli stiglitziani che affermano che i salari minimi non portano alla disoccupazione per i lavoratori non qualificati. In modo analogo, il tasso di disoccupazione delle persone con ricavi marginali inferiori al livello previsto da questa legislazione è più alto di quelli che altrimenti sarebbero stati. Ma credo anche che tendiamo sempre all’equilibrio (per me il sinonimo sarebbe “piena cooperazione” non solo con gli altri, ma con tutte le leggi dell’universo), ma non lo raggiungiamo mai. Anche questa è una legge prasseologica. Semplicemente non si può negare empiricamente che ci sono delle “tendenze” in questa direzione. Ovviamente in un dato momento non siamo in equilibrio generale (qualunque cosa debba significare), ma questa non è una confutazione a tale affermazione, non più di quanto sia una sul fatto che i profitti sono positivi, e che ci sia una disuguaglianza nei vari settori, rifiutando il parere che i profitti tendano ad essere i medesimi in tutti i settori (quando si tenga conto del rischio), e che saranno pari a zero per l’economia in rotazione uniforme. Tra l’altro, l’Environmental and Resource Economics è contraria al fatto condizionale. Si tratta di un dispositivo euristico che ci aiuta a pensare più chiaramente circa l’economia. Nessun buon austriaco, certamente non Mises o Rothbard, ha mai usato questo concetto come uno stato stazionario che possa realisticamente descrivere una reale economia mondiale.

Grégoire Canlorbe: Un dibattito cruciale si concentra sulla questione se Friedrich A. von Hayek possa essere classificato come un prasseologista o almeno, come un economista austriaco. Come si posiziona in relazione a questo problema?.

Walter Block: No. Hayek in modo specifico ed inequivocabile disse qualcosa d’effetto come «non posso (o non) seguo Mises» nella prasseologia, nell’abbraccio del priori sintetico. Ecco le esatte parole di Hayek:
«Devo ammettere che io stesso spesso inizialmente non pensavo che i suoi argomenti fossero del tutto convincenti e solo lentamente ho imparato che aveva in gran parte ragione e che, dopo qualche riflessione, una giustificazione che non fosse stata resa esplicita potrebbe essere trovata. E oggi, considerando il tipo di battaglia che doveva condurre, capisco anche che venne spinto a certe esagerazioni, come quella del carattere a priori della teoria economica, in cui non l’ho potuto seguire». (F.A. Hayek, [1977] 2009. Introduction in L. Mises, 2009 Memoirs, Auburn: Ludwig von Mises Institute).
Quindi, per sua stessa ammissione (le ultime sei parole di questa citazione dicono tutto), Hayek non può essere caratterizzato come un prasseologista. Questo è un grave problema per me. Uso spesso le due parole ‘prasseologisti’ ed ‘austriaci’ (in questo contesto, ovviamente) come sinonimi. Per lo meno, se non identici, la prasseologia è di gran lunga la caratteristica più importante dell’economia austriaca, per quanto mi riguarda. Sono troppo tentato di dire che chi non accetta la prasseologia, per non parlare di chi la rifiuta, non possa essere un economista austriaco. Ma, altrettanto sicuramente, Hayek ha sempre dato un grande e maggior contributo all’economia austriaca più di qualsiasi altro uomo vissuto, con la possibile eccezione di persone come Menger e Bohm-Bawerk, e certamente Mises e Rothbard. Chi sono io, il cui mio contributo all’austrismo è una frazione insignificante rispetto a quella di Hayek, per negare questa denominazione a lui? Potrei dire che lui stesso ha negato questo. Potrei dire che non importa il mio pensiero in questa scienza; anche qualora fosse pari a zero o negativa, potrei ancora essere corretto in questa valutazione di lui. Ma niente di tutto questo è del tutto soddisfacente per me. Avrei preferito fare un’eccezione per Hayek: affermare che nessun altro che sconfessa la prasseologia può essere un economista austriaco. Anche questo non è del tutto soddisfacente. Nel tentativo di uscire da questa posizione mi sono situato tra l’incudine e il martello, vorrei dire quanto segue: definire l’economia austriaca è un po’ come la definizione di una sedia. Sappiamo tutti cosa paradigmaticamente sia: una superficie piana, con quattro gambe e uno schienale posteriore. Ma che dire di uno sgabello a tre gambe con uno schienale? Che dire di uno senza schienale? Che dire di uno con una sola gamba, come nel caso di quelli nei bar? Che dire di una panchina? Di uno sdraio? Di un divano? Di un sofà? Il punto è che la definizione di sedia è scivolosa. E’ un continuum. Alcune cose sono chiaramente sedie, alcune cose chiaramente non lo sono (come i cani e le mele), e per quanto riguarda le altre non ne siamo sicuri, si tratta di una zona grigia. Suggerisco che l’economia austriaca operi in modo simile, e che Hayek è in una zona grigia. Ha realizzato magnifici contributi (ad esempio i cicli economici, il soggettivismo), ma ha respinto quello che considero l’elemento più importante di questa scienza.

II

Grégoire Canlorbe: In generale e in particolare nel campo dell’economia monetaria, come si fa a riassumere le principali differenze tra la Scuola Austriaca di Economia dal principale movimento economico, così come dai principali errori dell’economia neoclassica?.

Walter Block: I monetaristi sull’inflazione sono corretti. Quando il governo crea denaro, i prezzi aumentano più in alto di quanto altrimenti avverrebbe (faccio notare l’influenza hülsmanniana del contro-fattuale qui). Ma, non seguono gli austriaci nella realizzazione che questo crei anche un ciclo economico. Inoltre, il capo dei monetaristi, Milton Friedman, ampiamente conosciuto per la sua serie televisiva ‘Free to choose’, non riteneva che questa libertà valesse per la moneta, ogni volta che le persone erano relativamente libere di scegliere il loro supporto monetario invariabilmente sceglievano l’oro (a volte argento). Friedman fu un avversario rabbioso dell’oro come moneta. Ci sono numerose altre differenze tra gli austriaci e i neoclassici, e in tutti questi casi credo che le opinioni di questi ultimi siano fallace e quelle dei primi corrette. Tuttavia mi permetta di iniziare con una nota positiva. Gli economisti mainstream non sono tutti cattivi. La maggior parte di loro sono piuttosto buoni nell’analisi di temi come il salario minimo, il controllo degli affitti, il libero scambio, le licenze professionali, il luddismo, il controllo dei prezzi, eccetera. Non sono dei marxisti, e rifuggono alla teoria del valore-lavoro. Praticamente tutti sono liberi dalla fallacia della finestra rotta. Vorrei ora citare alcuni casi di divergenza. I mainstream sono nella tradizione del positivismo logico, e sostengono che la previsione è il test della teoria economica; per loro non esiste una cosa come la legge economica, ci sono solo ipotesi, molte delle quali possono essere empiricamente ed econometricamente testate e accettate solo provvisoriamente, quando i risultati producono le indicazioni giuste per i coefficienti e quando sono statisticamente significativi. Gli austriaci sono prasseologisti, affermano che l’econometria può essere utile per illustrare la legge economica, ma non può provarla. Gli austriaci sono soggettivisti che ritengono le curve dei costi una trappola e una delusione d’obiettivo; i costi sono opportunità perse e quindi non possono essere rappresentate graficamente. Gli austriaci rifiutano l’economia matematica in quanto il loro calcolo necessario è infinitesimamente basato su piccole unità, e l’azione umana è discreta e senza problemi di curve. Il mainstream si crogiola in queste tecniche. Gli austriaci aderiscono solo all’utilità ordinale; i neoclassici abbracciano sia l’utilità ordinale che quella cardinale e in quest’ultimo caso con dei confronti interpersonali.
Gli austriaci vedono il boom del ciclo economico come il problema, lo scoppio come un processo di purificazione riportante l’economia alla coerenza; i keynesiani mainstream prendono l’opposto punto di vista. Gli austriaci vedono i tassi di interesse come la base per le preferenze temporali; i loro colleghi di professione accettano inoltre le teorie di produttività.

Grégoire Canlorbe: La maggior parte delle critiche contro l’economia di libero mercato sottolineano il fatto che, secondo la cosiddetta “legge della domanda e dell’offerta”, il mercato fornisce un equilibrio con la domanda solvibile, ma non bilancia mai la domanda con le esigenze insolventi dei poveri. “Differenziati o muori” viene considerato il principio al cuore di un’economia di libero mercato, e la legge della domanda e dell’offerta semplicemente un altro appellativo per la legge del più forte. Qual è la sua opinione su questo punto di vista diffuso?.

Walter Block: L’economia di mercato necessariamente, apoditticamente, prasseologicamente, è a vantaggio di tutti i partecipanti. Ma alcuni non possono entrare nel mercato (bambini, malati, eccetera, e di conseguenza, essi sono insolventi). Eppure il mercato avvantaggia anche loro, sia pure indirettamente, dal momento che queste persone stanno molto meglio in una società libera che in una socialista. Questi critici dovrebbero chiedersi, dove sarebbero stati meglio, in un posto come Hong Kong, la Svizzera, Singapore, che hanno economie relativamente libere e tutti sono ricchi, o in qualche altro luogo meno libero dove le persone sono meno ricche. La carità privata varia con la ricchezza e il reddito; più un Paese è libero più è ricco e più sono ricchi, a parità di condizioni, i più caritatevoli. Ma per i poveri non sarebbe ancor meglio vivere in un Paese relativamente non libero e semi-socialista come ad esempio gli Stati Uniti, con un vasto sistema di welfare? No. Questi programmi non arricchiscono i poveri, li impoveriscono. Come mai? Rompono la famiglia, come Charles Murray ha dimostrato nel suo libro Losing Ground, e tenere le famiglie intatte è tra le migliori cure alla povertà. Infatti, il tasso di povertà per le famiglie intatte è a una sola cifra; l’impoverimento è principalmente una funzione della rottura o della non formazione delle famiglie, e questo a sua volta è causa dei programmi di welfare statalisti.

Grégoire Canlorbe: Secondo i seguaci della legge di Say, le crisi generali di sovrapproduzione sono impossibili perché qualsiasi sovrapproduzione in uno specifico settore coincide con una sottoproduzione di pari portata di valore in un altro settore. Due casi poi emergono: se alcuni prodotti non trovano voce nel mercato ciò può essere causato dalla mancanza di mezzi, al fine di acquistare questi prodotti; e se il denaro scarseggia vi è la sottoproduzione in un determinato settore. La produzione nel settore A è insufficiente al fine di acquistare l’intera produzione nel settore B. Se alcuni prodotti rimangono invenduti può significare che i clienti possono permettersi di acquistare questi prodotti ma preferiscono acquistare i prodotti in un altro settore di attività, quest’ultimo è ora sollecitato a spingere la produzione al fine di soddisfare le esigenze e le volontà dei clienti provenienti dal primo settore. C’è troppa produzione nel settore A e troppo poco nel settore B. In poche parole, se alcuni prodotti rimangono invenduti, questo è dovuto al fatto che non ci sono altri prodotti da offrire in cambio, i soldi giocano il ruolo di un semplice intermediario tra i produttori, senza alcuna richiesta in sé. Il denaro che non viene speso in beni di consumo viene investito in conti e fondi dei produttori; non vi è alcuna preferenza per la liquidità e quindi nessun accumulo di denaro al di fuori dell’economia. Keynes ha spesso replicato alla legge di Say che se alcuni prodotti rimangono invenduti ciò può non essere dovuto né alla povertà dei mezzi del pubblico né dalla sua preferenza per altri prodotti, ma può semplicemente derivare dalla preferenza del pubblico nell’accumulare denaro anziché spenderlo in beni di consumo o nel metterlo in un conto corrente.
Il meccanismo secondo cui ogni sovrapproduzione in un dato settore corrisponde ad una sottoproduzione di pari grandezza di valore in un altro settore (come causa o conseguenza) viene così eliminata. Può capitare che ogni settore è in sovrapproduzione contemporaneamente, e questo a causa della liquidità accumulata a causa del principio di “preferenza per la liquidità” in un contesto di incertezza. Qual è la sua opinione in difesa della legge di Say e al fine di confutare queste ipotesi comuni?.

Walter Block: La confutazione più semplice di questo è l’effetto reale di equilibrio. Se le persone accumulano denaro, lo mettono sotto i loro materassi o come Zio Paperone nei loro salvadanai, questo rende il denaro di tutti gli altri più prezioso. Come premetto nel mio primo libro Difendere l’indifendibile l’accaparratore è in realtà un eroe, dal momento che è molto insultato dai keynesiani (praticamente da tutti gli economisti diversi dagli austriaci), dai giornalisti, dagli esperti, dai commentatori, ed è in realtà un benefattore per le persone in generale, aumentando il valore delle loro partecipazioni monetarie. La critica keynesiana all’accaparratore si riduce al fatto che ritengano che alcune persone abbiano una eccessiva liquidità a disposizione. Ma non offrono alcun criterio di quale sarebbe il livello ottimale.

Grégoire Canlorbe: Si è spesso sentito dire che uno degli effetti collaterali della globalizzazione degli scambi è l’esplosione della disoccupazione e delle disuguaglianze di reddito nei Paesi “sviluppati”. E questo perché, nel contesto della globalizzazione degli scambi tra Paesi con differenti livelli salariali, più alto è il reddito minimo (determinato dalle forze di mercato o imposto dalla legge) nei Paesi sviluppati, più sono favorite le importazioni provenienti da Paesi a bassi salari. Queste importazioni infatti trovano la loro controparte di valore attraverso le esportazioni. Tuttavia la concorrenza tra i lavoratori nei Paesi sviluppati con i Paesi a bassi salari distrugge necessariamente posti di lavoro se i datori di lavoro trovano un modo per spingere verso il basso il costo del lavoro. Sicché la globalizzazione degli scambi porta sia ad un aumento della disoccupazione in caso di salari rigidi o ad una corsa al ribasso nella politica salariale (e quindi ad una esplosione delle disuguaglianze di reddito) in caso di salari flessibili. Detto questo, grazie alla delocalizzazione e alle importazioni da Paesi a bassi salari, i consumatori possono acquistare prodotti a prezzi più bassi. In cambio di una riduzione dei prezzi i consumatori devono comunque subire la perdita del loro posto di lavoro o dei salari più bassi. Per questo primo effetto collaterale un secondo può essere aggiunto: la perdita della produzione alimentare autarchica che mette in pericolo la sicurezza dei Paesi sviluppati nel lungo termine. E c’è un terzo effetto collaterale: la scomparsa di alcune attività nei Paesi sviluppati a causa dei costi comparati presenti, anche se i costi variano col passare del tempo e la scomparsa di queste attività potrebbero risultare svantaggiose un domani. Qual è la sua opinione su coloro i quali denunciano, in termini di anti-globalizzazione, questi tre effetti collaterali?.

Walter Block: Penso che queste persone sono economicamente analfabete. La disoccupazione non avviene a causa del libero commercio. Piuttosto è emanazione dalle interferenze del governo nei confronti del sistema della libera impresa, soprattutto aumentando artificialmente i tassi salariali reali a livelli superiori della produttività (leggi sul salario minimo, tabelle salariali sindacali) e sovvenzionandola (indennità di disoccupazione generose che sono in contrasto con il ricavo marginale della produttività dei lavoratori). 
Le disparità di reddito (e ricchezza) derivano da due fonti, una è legittima, l’altra non lo è affatto. La prima è il fatto che le persone hanno competenze diverse, etiche lavorative, in una parola dei livelli di produttività, ma di nuovo non a causa del libero commercio internazionale. La seconda è il capitalismo clientelare: alcune persone ottengono favori dal governo e gli altri devono pagare per questi favori. Il libertario che è in me grida per la fine della seconda e per consentire alla prima di operare liberamente. Sì, se gli Stati Uniti fossero impegnati in un pieno libero scambio con il Bangladesh è del tutto possibile che alcuni lavori poco qualificati, in precedenza nel Paese, subirebbero dei salari più bassi. Ma questo fa parte integrante della divisione internazionale del lavoro, e non è poi così probabile. Quando l’automobile ha sostituito il cavallo e le carrozze, e il computer la macchina da scrivere (pensate a queste innovazioni come le importazioni provenienti da un Paese chiamato “il futuro”), in genere non furono i lavoratori scarsamente qualificati nelle fabbriche di automobili e macchine da scrivere a venirne colpiti e ad aver perso in grande misura; piuttosto furono il fabbro altamente qualificato, gli addestratori di cavalli che ci hanno rimesso. Le leggi di vantaggio comparato indicano che ci sono guadagni dal libero scambio da parte di tutti i Paesi che aprono i loro confini. Sì, i coltivatori di banane in Canada (pensate alle serre), e l’industria dello sciroppo d’acero in Costa Rica (credo con grandi frigoriferi) avranno un brutto colpo quando il commercio si apre tra i due Paesi. Ma questo è solo modo in cui il mercato indica che, se ci deve essere un minimo di efficienza economica, un Paese del nord dovrebbe specializzarsi nelle colture fredde e uno del sud in ciò che può essere efficacemente coltivato ai tropici.

Grégoire Canlorbe: La nostra intervista è giunta al termine. Vuole aggiungere qualche parola?.

Walter Block: E’ stato un piacere cercare di lottare con queste importanti e ben articolate e molto complesse domande. Sono onorato di aver partecipato al suo programma.



Fonte: visto su MOVIMENTO LIBERTARIO del  3/4 gennaio 2014


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