domenica 3 maggio 2015

STORIA VENETA - 9: 809 - LA DISFATTA DI PIPINO. PRESSO ALBIOLA I FRANCHI SONO FERMATI



Dal testo di Francesco Zanotto


"Imperciocchè fu stabilita la estrema difesa; non fu dato ascolto al messo di Pipino, che invitava gli isolani alla resa, e raccolta ogni più cara cosa, ritiravansi tutti alle isole Realtine e Torcellane ove, per la tortuosità dei canali non poteva sì facilmente pervenire il franco navile.  Opposero poscia forza a forza, attaccarono i legni di Pipino, ovvero si lasciarono da quelli attaccare, e venuti alle prese li batterono, li dispersero, li spinsero nelle secche, e in fine ridussero le franche milizie a ritirarsi ... "


ANNO 809


 Giuseppe Gatteri


Cosa ci racconta il disegno di Gatteri


Dopo una serie di rovinose sconfitte, tra cui l'incendio ed il saccheggio di Chioggia, Pellestrina ed Albiola, i Veneziani trovano la forza di contrattaccare la flotta franca che viene imbottigliata nei tortuosi canali delle isole reatine e del Torcello e decimata dalle valorose milizie delle isole ...


9 - LA SCHEDA STORICA


Al cacciato usurpatore Galla, i Veneziani sostituirono Domenico Monegario, abitante di Malamocco. Affiancato da due tribuni, con l'evidente compito di sorvegliarne l'attività politica, il nuovo doge dopo otto anni veniva tuttavia a sua volta accecato e deposto.  Resta comunque significativa la decisione di affiancare al doge due rappresentanti del potente ceto tribunizio locale, da sempre insofferente alle tendenze accentratrici che il dogato inevitabilmente comportava, geloso, invece, della propria autonomia di gestione delle rispettive isole.  Il panorama politico andava intanto ridefinendosi velocemente. A fronteggiarsi, ora, non erano più solo i Longobardi e i Bizantini. Questi ultimi dovevano infatti contendere il primato nella penisola ai Franchi, i nuovi ed imprevisti protagonisti della storia europea occidentale.

Le sorti ed il futuro di Venezia si giocavano ancora una volta nell'abilità da parte dei suoi abitanti di sapersi oculatamente orientare ora per l'una ora per l'altra parte. E proprio a Venezia gli interessi franchi e bizantini trovarono un loro particolare terreno di scontro. Il nuovo doge, Maurizio Galbaio di Eraclea, aveva fatto la sua scelta quando tra il re longobardo Desiderio e il nuovo e turbolento re franco, Carlo, scelse la più rassicurante "pars" bizantina. Del resto il doge Maurizio in alcuni documenti veniva chiamato "magister militum" oltre che " ... consul et imperialis dux ... " in una sorta di commistione tra realtà locale ed imperiale segno evidente di come ancora Bisanzio fosse ben presente nella vita politica lagunare.

La definitiva sconfitta dei Longobardi e la fine del loro regno in Italia per mano di Carlo Magno nel 774, doveva semplificare solo apparentemente la situazione che si faceva ora di aperta e diretta contrapposizione tra l'impero d'Oriente e il nascente impero d'Occidente sulla base delle continue e inarrestabili conquiste di Carlo. E proprio a seguito dell'espansione franca nella penisola, ma anche nelle vicine Istria e Dalmazia, Venezia si ritrovava pressoché circondata da possedimenti franchi. L'unico versante ancora libero era quello marittimo, vitale per poter mantenere i rapporti commerciali con l'Oriente. E a Oriente guardava anche il figlio e successore di Maurizio, Giovanni, già da tempo associato al dogato dal padre, rivelando con ciò un chiaro tentativo di rendere ereditario il dogato.  Proprio con il nuovo doge lo scontro tra la parte franca e quella filo-bizantina raggiunse livelli di altissima tensione.   Giovanni dal 796 aveva associato a sua volta al trono il figlio, Maurizio II, coreggenza approvata dalla corte imperiale bizantina che richiese, in cambio, la nomina di un vescovo greco alla sede di Olivolo-Castello. Fatto che puntualmente si verificò.

Un altro ben più grave episodio sembra inoltre confermare la scelta filo-bizantina dei due dogi. Nell'801 infatti, veniva assassinato brutalmente il patriarca di Grado Giovanni, apertamente schierato con la "pars francorum" nella speranza di poter riavere dal re franco le perdute sedi dalmate ed istriane. I mandanti del vergognoso assassinio sono con molta probabilità da identificare proprio con i dogi Giovanni e Maurizio II.

Il successore del patriarca trucidato si spinse ben oltre. Ordita una congiura contro i due dogi, Fortunato, questo era il suo nome, riuscì a riottenere da Carlo le sedi perdute salvo prontamente fuggire per evitare di fare la stessa fine del suo povero e sfortunato predecessore.  Durante il suo viaggio verso la corte franca, Fortunato, in sosta a Treviso con buona parte del partito filo-franco, consacrava l'elezione di un nuovo doge, Obelerio, che entrerà a Malamocco nell'804.  Ai due dogi, Giovanni e Maurizio II, non restava che la fuga da Venezia.

Con l'aiuto dei Franchi e della loro parte, Obelerio che aveva forse sposato una donna di origine franca, era diventato così il nuovo doge delle popolazioni lagunari. Bisanzio, tuttavia, non poteva essere liquidata tanto facilmente ed ecco così il nuovo doge aiutare con una flotta i bizantini nella riconquista della Dalmazia - il duca franco fu costretto a fuggire - mentre gli giungeva dall'imperatore il titolo di Protospatario imperiale. Tuttavia l'equilibrio così spregiudicatamente creato dal doge veneziano stretto nella morsa francobizantina, non doveva e non poteva durare a lungo e di fatto si infranse quando la parola passò alle armi.

Nell'808 i Bizantini attaccarono il presidio franco di Comacchio, venendo però sconfitti dal re d'Italia Pipino, figlio di Carlo Magno, che per tutta risposta investì le isole veneziane. Dalle foci del Po Pipino si portò a Chioggia e la distrusse, per passare poi a Palestrina ed Albiola (Portosecco) che i Franchi assaltarono con l'ausilio di navi, zattere e pontili. Qui si concentrarono successivamente i presidi franchi e proprio ad Albiola i Franchi subirono una durissima sconfitta da parte dei Veneziani (809). Contro un corpo militare là stazionato, male appoggiato, se non abbandonato dalla sua stessa flotta, quella veneziana non poteva che avere la meglio, grazie anche al probabile appoggio fornito dalla flotta bizantina di stanza in Dalmazia.

L'insperato successo sui Franchi di Carlo Magno, aveva portato come diretta ed immediata conseguenza al rovesciamento del doge filo-franco Obelerio, che veniva fatto giustiziare dal nuovo doge Agnello Partecipazio.   Il nome del nuovo doge, tuttavia, resterà legato a ben altra e fondamentale circostanza: il trasferimento della sede politica del ducato da Malamocco, fedele al deposto doge (quindi filo-franca), a Rivus Altus (Rialto), fatto verificatosi con la sicura approvazione di Bisanzio. A Rialto infatti, diversamente che a Malamocco, la base sociale era costituita in buona parte da cittadini fuggiaschi di Eraclea, dunque sicuramente filo-bizantini. Così, dallo scontro tra questi ultimi e i Franchi, nasceva una nuova e vincente realtà lagunare. A conferma di questo, parla anche il trattato di pace tra Venezia e i Franchi (Aquisgrana 812), con il quale veniva riconosciuto all'area il suo storico legame con Bisanzio, oltre che la libertà di commercio per i Veneziani in tutto l'Impero con diritto di possedimenti e protezione, mentre Carlo cedeva in più un tratto di terra ferma lungo il fiume Sile. La nuova Venezia, la Venezia di Rialto, metteva così piede anche nell'immediato entroterra.




Fonte: srs di Giuseppe Gatteri, Antonio Viviani, Francesco Zanotto, Giuseppe Grimaldo, Laura Poloni, Giorgio Marenghi; da STORIA VENETA,  volume  1, SCRIPTA EDIZIONI




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