mercoledì 6 maggio 2015

STORIA VENETA - 12: 864 - LA MORTE DEL DOGE TRADONICO. CADUTO IN UN AGGUATO TESOGLI DALLE FAZIONI



Dal testo di Francesco Zanotto


"Il  quale, o fosse il dì 13 settembre dell'864, come alcuni storici dicono, o sì veramente, secondo altri, fosse il dì solenne di Pasqua, nell'atto che usciva dal tempio di S. Zaccaria, ove erasi recato a compiere la visita annuale prescritta, fu all'improvviso assalito da alcuni iniqui, che nascosti si erano entro alcune barche cariche di sabbia, presso la riva bordeggiante la laguna, ora canal di S. Marco. Questi adunque scagliatisi sopra il Doge infelice, benchè in sulle prime respinti dalle milizie ducali, ... il trucidarono al fine". 


ANNO  864


Giuseppe Gatteri


Cosa ci racconta il disegno di Gatteri


Le faide interne alla popolazione veneta delle isole provoca sempre più gravi lutti e danni gravi alla vita in comune e alla solidità dello stato. Venezia ne è minata in profondità e i dogi vengono quasi tutti eliminati fisicamente. Non fa eccezione Pietro Tradonico che cade in un agguato fuori dal tempio di S. Zaccaria  il 13 settembre dell'864 ... 


LA SCHEDA STORICA 


Non bastò certo un trattato di pace per fermare gli attacchi dei pirati Slavi alle navi veneziane. Approfittando dei continui disordini che agitavano in quei tempi le isole lagunari, i  Narentani ruppero infatti l'accordo da poco stipulato trucidando quasi tutti i membri di un mercantile veneziano di ritorno dal ducato di Benevento. Proprio a seguito di quei medesimi disordini, a Venezia veniva nel contempo deposto il doge Giovanni Partecipazio.  All'uscita della chiesa di S. Pietro in Castello il doge venne catturato, tonsurato e spedito in un lontano monastero di Grado dove finì i suoi giorni.  In simili circostanze di incertezza e di pericolo tanto all'esterno quanto all'interno delle isole, venne chiamato a ricoprire la carica ducale nell'836 Pietro Tradonico, "vir nobilissimus".  Di origine istriana essendo i genitori venuti da Pola a Jesolo, Pietro, dicono le fonti, abitava ormai da molto tempo a Rialto ed era riuscito a distinguersi solo grazie a numerose doti e meriti personali. Grazie a questi Pietro riuscirà a reggere eccezionalmente per ben trent'anni il dogato che verrà ricordato, infatti, come uno dei più lunghi di tutta la storia veneziana. Tra i meriti del nuovo doge spiccava sicuramente l'abilità guerriera che Pietro ebbe ben presto modo di affermare una volta salito all'alta carica. Il  suo dogato del resto si caratterizzerà proprio per le continue, incessanti guerre contro Slavi e Saraceni. Questi ultimi avevano conquistato Creta nell'836 e, a seguito della debolezza dell'Impero bizantino, si apprestavano a conquistare anche la Sicilia e i principali centri dell'Italia meridionale.  Brindisi, Taranto e Bari caddero in successione nelle mani degli Arabi senza che la flotta imperiale bizantina riuscisse ad opporre una valida resistenza. Nell'840 era così giunto a rialto da Bisanzio il patrizio Teodosio per investire Pietro del titolo di "spatario". 
In realtà, la visita aveva il ben più importante scopo di chiedere a Venezia il suo intervento contro i Saraceni. Già una volta la flotta veneziana del doge si era scontrata con le navi arabe presso le coste della Calabria, riportando tuttavia in quell'occasione una cocente sconfitta. Ora si trattava di recuperare la città di Taranto e di arginare l'avanzata araba nel Mediterraneo. La coalizione di navi imperiali e venete, circa una sessantina, venne tuttavia nuovamente sconfitta dagli Arabi che risalendo questa volta l'Adriatico - Ancona venne messa a ferro e fuoco -, approdarono sino alle foci del Po. Lasciata Adria per non avervi trovato grandi bottini, i Saraceni fecero provvidenzialmente ritorno verso sud. Il pericolo, tuttavia, non era del tutto scongiurato. Le ripetute sconfitte dei veneziani avevano avuto infatti quale effetto immediato, quello di rinfocolare l'animo dei pirati Slavi che inoltrati si nella  laguna assalirono e distrussero Caorle.  Dopo una furiosa battaglia i Veneziani riuscirono finalmente a respingere il nemico verso il mare aperto. I ripetuti attacchi dei pirati e le guerre contro i Saraceni, avevano costretto i Veneziani a dotarsi di una vera e propria flotta da guerra quando, sino ad allora, si era provveduto semplicemente a dotare di una qualche difesa i mercantili. A Pietro si deve infatti la costruzione delle prime grandi navi da guerra veneziane, le "zalandriae", ... " di mirabile lunghezza e velocità ... " mai viste prima e la cui eco raggiunse anche i paesi transalpini. 


Un 'altra vittima delle faide tra nobili 


Allontanati dunque i Saràceni e sconfitti per il momento i pirati slavi, tempi duri attendevano tuttavia il doge Pietro rimasto pericolosamente solo dopo la prematura morte del figlio e coreggente Giovanni nell'863. La turbolenta nobiltà veneziana vedeva infatti ben sei famiglie divise in opposte fazioni, scontrarsi cruentemente nelle calli della città. Il doge si ripromise di perseguire e di far condannare i responsabili di tanto disordine e crudeltà, riuscendo a far bandire tre fra le famiglie veneziane più bellicose. Così facendo, però, il doge non s'avvide di essersi attirato l'odio di un'intera classe sociale, quella appunto nobiliare, che mal tollerava l'intraprendenza dell'energico doge. E proprio dall'ambito dell'antica ma anche della più recente nobiltà lagunare, provenivano alcuni dei congiurati che nell'864 assalirono ed assassinarono il doge. Fra questi spiccava il nome di un Gradenigo, di un Candiano e di un esponente della famiglia Falier. Il doge nell'atto di uscire dalla chiesa di S. Zaccaria, forse il giorno di Pasqua, per altri il 13 settembre, venne così aggredito e trucidato. Invano le guardie del suo seguito opposero resistenza nel disperato quanto inutile tentativo di proteggerlo. Per alcuni giorni le sue spoglie restarono sul selciato non avendo nessuno il coraggio o la pietà di raccoglierle. Infine si mossero le monache del vicino monastero di S. Zaccaria dove finalmente il povero doge trovò il suo definitivo riposo.  Disperse ma non rassegnate, le milizie ducali intanto, si erano asserragliate nel Palazzo Ducale con la minaccia di non abbandonarlo se prima non si fosse fatta giustizia punendo i colpevoli dell'efferato omicidio.  Istituiti  allo scopo tre giudici, si arrivò infine al verdetto che condannava all'esilio gran parte dei congiurati, alcuni a Costantinopoli, taluni in Francia.  A quella drammatica circostanza, si fa risalire inoltre, la tradizione che vedeva il doge ogni mercoledì di Pasqua recarsi nell'isola di Peglia,  sede delle guardie personali del doge, e lì dare un bacio al gastaldo e ai sette anziani dell'isola in segno e in memoria del perdono accordato agli uomini di Pietro Tradonico per la resistenza opposta nel Palazzo Ducale. Grazie a loro, intanto, e alloro coraggioso e generoso gesto, giustizia era fatta, ma Venezia intanto, era ancora una volta senza doge. 



Fonte: srs di Giuseppe Gatteri, Antonio Viviani, Francesco Zanotto, Giuseppe Grimaldo, Laura Poloni, Giorgio Marenghi; da STORIA VENETA,  volume  1, SCRIPTA EDIZIONI






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