giovedì 15 ottobre 2015

STORIA VENETA – 79: 1457 - FRANCESCO FOSCARI SE NE VA. MORTO IL FIGLIO IL DOGE NON REGGE PIU'



Dal testo di Francesco Zanotto


"Non isgomentossi il vecchio a cotale annunzio; ma rispose pacatamente assentendo al decreto: e il dì dopo deposte le insegne e gli ornamenti ducali, e ritenuta solo la veste di velluto chermisino, volgarmente appellata dogatina, di buon mattino con un bastoncello in mano per reggersi, dopo 35 anni circa di regno, in età d'anni 84, infermo di corpo, benchè vegeto di spirito, si mosse dalle sue stanze, assistito da Marco fratel suo ... "  


ANNO 1457


Giuseppe Gatteri


Cosa ci racconta il disegno di Gatteri.


Alla notizia della morte del figlio l'anziano doge non riesce a darsi pace e giorno dopo giorno abbandona la gestione dello Stato. Più o meno costretto il Foscari infine decide di lasciar libero il trono ducale.


LA SCHEDA STORICA  - 79


Appresa la notizia della morte del figlio Jacopo esiliato a Creta il doge Francesco Foscari ormai ultraottantenne andò progressivamente disinteressandosi delle cure dello stato veneziano.
Caduto in un profondo stato di prostrazione il vecchio doge non interveniva più in senato o al Consiglio, come la sua carica invece obbligava. Questo stato di cose venne inizialmente tollerato benevolmente ma se protratto rischiava di provocare una lenta corrosione di tutto l'apparato statale veneziano. Si lasciò così passare l'estate, ma nell'autunno del 1457 la cosa doveva in qualche modo venire risolta. Ancora una volta ad agire fu il Consiglio dei Dieci.
Una delegazione si recò dal doge per chiedergli "da buon principe e vero padre della patria" di dimettersi dall'alta carica. Il Foscari alla delegazione rispose che il Consiglio non aveva alcun potere costituzionalmente sancito per chiedere le dimissioni del doge, quindi, lui restava. Restava fin tantochè almeno la richiesta non venisse legalmente formulata ed approvata dal Maggior Consiglio nella sua maggioranza come la legge prescriveva.
Il doge in linea di principio aveva perfettamente ragione. La legge veneziana in questo senso era molto chiara. Ma fu soltanto una questione di principio? Forse o forse non solo. A capo della delegazione che andò a presentare la richiesta c'era infatti Jacopo Loredan, figlio del più famoso Pietro al quale il Foscari aveva soffiato il trono ducale trent'anni prima.
L'attrito tra le due famiglie si aggravò poi in seguito alla rottura del fidanzamento tra una figlia del doge e proprio Pietro Loredan, matrimonio che avrebbe avuto lo scopo invece di riavvicinare le due famiglie. L'attrito sfociò probabilmente in vero e proprio odio in occasione del primo arresto di Jacopo Foscari del 1445. Uno dei tre capi del Consiglio dei Dieci era proprio un esponente della famiglia Loredan, Francesco, anche se tuttavia non esistono indizi che questi si sia comportato in modo particolarmente parziale.
In una diversa circostanza un altro Loredan non perse l'occasione per dar contro Jacopo Foscari. Quando questi venne accusato di trattenere rapporti con Maometto II alcuni membri del Consiglio dei Dieci ne chiesero la condanna capitale. Tra questi, e probabilmente colui che avanzò la proposta, c'era appunto un esponente della famiglia Loredan e, anche se improbabile, non è del tutto impossibile che il doge fosse stato informato di questo fatto.
Dati i precedenti dunque è possibile che Francesco Foscari si sia irritato non poco quando si vide porgere la proposta di dimissioni proprio da Jacopo Loredan, uno dei responsabili o comunque ritenuto tale del rinnovato esilio del figlio. Resta che il vecchio doge aveva dalla sua parte la stessa legge veneziana che garantiva infatti la sua inamovibilità.
Il Consiglio dei Dieci tuttavia, non aveva nessuna intenzione di cedere. Si decise quindi di procedere con altre pressioni che ben presto sfociarono in aperte e violente minacci e nei confronti del Foscari.  Jacopo Loredan innanzitutto fece un durissimo intervento in Consiglio denunciando l'inettitudine del doge e che se le cose fossero continuate così ben presto sarebbero sorti dei gravissimi disordini nello stato veneziano. Il Loredan era già riuscito a portare dalla sua parte anche gli altri due capi del Consiglio e, forte delle sue ragioni e di questo appoggio, chiese ufficialmente la deposizione del doge. La sua richiesta questa volta venne accolta a maggioranza.
E così il 19 ottobre del 1457 venne decretata la deposizione dell'ottuagenario Foscari.
Tuttavia deporre un doge in piena violazione della legge - la cosa non era mai arrivata al Maggior Consiglio - rischiava di suscitare violente reazioni in città e così il 21 di quello stesso mese una nuova delegazione si recò nuovamente dal doge.
Questa volta con un secco ultimatum: dimettersi immediatamente dalla carica, nel qual caso avrebbe ricevuto una pensione annua di millecinquecento ducati; oppure in caso contrario sarebbe stato forzatamente dimesso e tutti i suoi beni confiscati. Il doge di fronte ad un simile ultimatum non si scompose, ma chiese un po' di tempo. La sua richiesta venne accolta e gli fu concesso ancora un giorno, fino al pomeriggio del 22 ottobre quando la solita delegazione gli si ripresentò per avere la risposta. Risposta che il doge tuttavia, si guardò bene dal conferire.
 A quel punto non c'era altro da fare. Con un decreto ufficiale il Consiglio dei Dieci dichiarò definitivamente decaduto il vecchio Foscari. Entro otto giorni da quella data l'ex doge doveva lasciare il palazzo ducale venendogli tuttavia garantita la rendita di millecinquecento ducati.
Il 23 ottobre del 1457 gli si presentarono davanti i delegati del Consiglio e Jacopo Loredan lo mise al corrente della sua sorte. Francesco Foscari non si scompose neppure questa volta. Gli venne così sfilato l'anello ducale e tolto il como aureo dalla testa, simboli del potere ducale.
Il giorno dopo avrebbe lasciato anche il palazzo. Suo fratello Marco lo venne a prendere e cosi dopo quasi trentacinque anni di dogato, all'età di ottantaquattro anni Francesco Foscari lasciava le stanze dello storico palazzo. Suo fratello per evitare la ressa della cittadinanza lo voleva condurre alla barca attraverso una scala secondaria.
L'anziano doge rifiutò categoricamente l'invito: "lo voglio andar giù per quella scala per la quale ascesi al dogato".
Arrivato così agli ultimi gradini sembra abbia ancora mormorato: "L'altrui malignità mi fa scendere da quel posto al quale i meriti miei mi avevano fatto salire".
Varcò quindi la porta detta della carta fatta scolpire proprio da lui per mano di Bartolomeo Bon che ne fissò sulla sommità anche il ritratto.
Venne infine accompagnato al suo palazzo sul Canal Grande (Ca' Foscari) dove pochi giorni dopo sarebbe deceduto a seguito di un collasso. La morte lo avrebbe colto nel momento stesso in cui udì suonare le campane a festa per l'elezione del nuovo doge Pasquale Malipiero che accompagnò poi il feretro di Francesco Foscari durante i solenni funerali di stato.


Fonte: srs di Giuseppe Gatteri, Antonio Viviani, Francesco Zanotto, Giuseppe Grimaldo, Laura Poloni, Giorgio Marenghi; da STORIA VENETA,  volume  3, SCRIPTA EDIZIONI




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