sabato 7 novembre 2015

STORIA VENETA – 92: 1509 - ARRIVANO LE PRIME SCONFITTE. L' APPELLO DI UN SAGGIO

Dal testo di Francesco Zanotto


"Indossatasi quindi la toga, perchè era male aitante della persona fecesi recare in lettiga al Senato, ave giunto, colle membra tremanti, prese a dire: Essere vissuto egli un dì più di quanto avrebbe desiderato; la debolezza della vita non avere estimata mai, o la paura della morte vicina, come la udita sconfitta: essere venuto in Senato col corpo infermo e fievole, non tanto per esporre la opinion sua, quanto per piangere insieme con gli altri cittadini ... "


ANNO 1509


Giuseppe Gatteri


Cosa ci racconta il disegno di Gatteri.


Le super potenze della Lega di Cambrai trascinano Venezia in una nuova, devastante guerra e con i primi scontri arrivano anche le prime sconfitte per i veneziani.  Clamorosa quella di Agnadello ...


LA SCHEDA STORICA  - 92


Il 14 marzo del 1509 durante una seduta del Maggior Consiglio in Palazzo ducale, una violenta deflagrazione nel vicino Arsenale aveva fatto temere per un istante che la città fosse già bersaglio del fuoco nemico. In realtà l'esplosione, del tutto casuale, era dovuta ad una scintilla nel deposito della polvere da sparo, ma provocò ugualmente dei seri danni a tutta l'area circostante. Cosa ancor più grave, tuttavia, con l'esplosione se ne erano andate in fumo anche le scorte militari della repubblica.
Venezia si ritrovava così praticamente senza munizioni proprio alla vigilia di un conflitto che l'avrebbe vista sola contro mezza Europa, il Papato e alcuni principi italiani. L'esplosione dell'Arsenale fu solo un simbolico preludio all'imminente scontro.
Il 5 aprile del 1509 infatti, la Francia dichiarava guerra alla Serenissima. Venezia, in quel primo momento e date le circostanze, tentò la strada diplomatica offrendo la restituzione di Rimini e Faenza al Pontefice che per tutta risposta fece sapere che Venezia poteva fare delle "sue" terre ciò che voleva! Era chiaro che non c'era il benchè minimo spazio per una mediazione. Anche i tentativi fatti con l'imperatore Massimiliano fallirono miseramente contro un muro di silenzio.
Venezia si rendeva perfettamente conto di ritrovarsi con le spalle al muro e davanti al reale rischio di venirvi schiacciata.
ll'imminente offesa militare, poi, come se non fosse sufficiente, si unì la scomunica papale che piombò sulla città il 27 aprile di quell'anno.  I motivi? C'era solo l'imbarazzo della scelta! Venezia aveva occupato le terre della Chiesa, aveva mantenuto rapporti amichevoli con i turchi mentre il papa si dava da fare per organizzare una nuova crociata, Venezia aveva trasgredito le leggi per la nomina dei vescovi ... L'attacco contro la Serenissima era questa volta totale.
A quel punto, quale ultimo, estremo tentativo, il governo ducale tentò di comprare l'imperatore Massimiliano offrendogli 200.000 fiorini e l'aiuto militare per riconquistare Milano. L'imperatore non rispose, ma al suo silenzio fece eco ben presto il rombo dei cannoni.
Truppe francesi infatti erano penetrate in territorio veneziano già il 15 aprile del 1509 e il9 maggio attraversavano l'Adda, presso Cassano.
Le truppe veneziane, raccolte dopo un' estremo, pesantissimo sacrificio finanziario, erano comandate da due condottieri, il giovane Bartolomeo d'Alviano e da Niccolò Orsini di Pitigliano. Il  senato veneziano aveva dato l'ordine di difendere Ghiara d'Adda, attuando una tattica militare che cercasse sì di offendere il nemico ma senza arrivare allo scontro frontale che sicuramente si sarebbe risolto in un disastro per Venezia. Ma a questo punto emersero in seno al comando veneziano delle gravi incertezze e contrasti sul da farsi.
L'Orsini, ligio ma anche convinto sull'inopportunità di uno scontro campale si atteneva rigorosamente alle disposizioni del Senato mentre il d'Alviano premeva affinchè si desse inizio allo scontro generale. Il  giovane condottiero veneziano, anzi, prese a muoversi autonomamente portando le sue truppe più verso sud. Presso il villaggio di Agnadello l'esercito del d'Alviano venne così sorpreso dalle truppe francesi. Il comandante inviò prontamente una richiesta di aiuto all'Orsini mentre intanto schierava i suoi uomini e l'artiglieria sul campo.


Un disastro lo scontro frontale


Inizialmente le condizioni sembravano favorevoli ai veneziani. L'area capillarmente irrigata, infatti, non  consentiva alla cavalleria francese di sferrare la carica contro i veneziani e quando iniziò anche a piovere la zona si trasformò in una vera e propria palude.
Per ben due volte i francesi tentarono di attaccare, per ben due volte la loro iniziativa non produsse alcun effetto dal momento che l'esercito veneziano si trovava ben piazzato su di una collinetta da dove poteva facilmente respingere i deboli attacchi nemici. Restava il fatto che le truppe dell'Orsini non arrivavano a dar rinforzo a quelle dell'Alviano. Il conte di Pitigliano restava più che mai convinto sull'opportunità di evitare lo scontro frontale coi francesi e quindi non si muoveva.
Si mosse invece il grosso dell'esercito al comando di Luigi XII in persona. I veneziani vennero così praticamente circondati e, dopo una breve resistenza, crollarono sotto l'urto irresistibile dell'esercito francese. Bartolomeo d'Alviano, anzi, combattè per molte ore prima di venir ferito e catturato.
La notizia della disfatta arrivò a Venezia nella tarda serata del 15 maggio del 1509. Il  Senato venne convocato d'urgenza, benchè ormai notte, in seduta straordinaria presieduta dal doge che, narra un testimone oculare, appariva alquanto angosciato.
Il doge Loredan mandò a quel punto il segretario Pietro Manzarol ad annunciare la sciagura al procuratore di S. Marco Paolo Barbo, invitandolo a recarsi al Collegio. La sua presenza avrebbe in qualche modo dovuto risollevare gli animi abbattuti dei senatori veneziani. Il Barbo era uomo noto per la sua saggezza e prudenza, doti messe per lunghi anni al servizio della Repubblica.
Ora, di salute inferma data anche la veneranda età, Barbo non interveniva già da tempo in Senato e vi ritornava ora con grande sforzo fisico per tentare di rianimare le speranze dei suoi abbattuti concittadini. "lo andrò oggi dove sono chiamato per domane (poter) morire volentieri (sereno) perciocchè nullo più bene m'avanza (mi resta)".
Detto questo si fece trasportare su di una lettiga dinanzi al senato dove tenne il suo fermo e accorato discorso. Ma se le sentite parole del Barbo ebbero il benefico effetto di rinfondere fiducia e speranza ai senatori, non riuscirono tuttavia a fermare le truppe francesi che ormai dilagavano in tutti i territori prima controllati da Venezia a ovest del Mincio.
Nel giro di pochissimo tempo Venezia aveva perduto infatti quasi tutti i suoi domìni sulla terraferma senza poter opporre una valida resistenza.


Fonte: srs di Giuseppe Gatteri, Antonio Viviani, Francesco Zanotto, Giuseppe Grimaldo, Laura Poloni, Giorgio Marenghi; da STORIA VENETA,  volume  3, SCRIPTA EDIZIONI







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