mercoledì 30 dicembre 2015

STORIA VENETA – 137: SI AVVIA A CONCLUSIONE LO SCONTRO COI TURCHI. LA MORTE DELL'ULTIMO EROE


Dal testo di Francesco Zanotto


"Sul rompere dell'alba del dì appresso, uditi alquanti colpi di cannone, si tenne che il nemico non fosse lungi: ordinò pertanto il Flangini moribondo di scioglier tosto la flotta, e dar la caccia a' nemici. - E perchè i suoi ordini non soffrissero dimora, quantunque presso a morte, volle essere recato sopra il cassero della propria  nave per ordinare egli stesso le manovre e la pugna; ma nello scuotimento del mare e della nave spirò egli tra le braccia de' suoi soldati,  lasciando un nobilissimo esempio di valore ... ".


ANNO 1717


Giuseppe Gatteri


Cosa ci racconta il disegno di Gatteri.


Nel 1717 si avviava verso la fine il secolare scontro tra Venezia e i turchi. La Repubblica paga il suo ultimo tributo di sangue per la salvaguardia di un impero ormai inesistente ...


LA SCHEDA STORICA – 137


L'effetto della straordinaria vittoria sui turchi a Corfù, fu a dir poco esaltante per la Repubblica veneta. I turchi vi avevano subito una dura ed umiliante sconfitta, ma ancora la partita non poteva ritenersi conclusa.
E così per tutto l'inverno l'Arsenale veneziano lavorò a pieno ritmo sfornando per la primavera del 1717 una flotta nuovissima di 27 navi pronte a scendere in mare quanto prima.
Il comando venne allora affidato ad un giovane ammiraglio, Lodovico Flangini, l'ultimo eroe della Serenissima nel suo secolare scontro con l'impero turco.
Il  Flangini aveva assunto la carica straordinaria al posto di Andrea Cornaro e prontamente si diresse con le sue 27 navi alla volta dell'arcipelago greco. Il 6 giugno era a Stalimente spostandosi successivamente verso lo stretto dei Dardanelli, passaggio obbligato per le navi turche d'uscita dal porto di Istanbul.
I turchi avvistate le navi veneziane, uscirono presto con 34 delle loro raccogliendo l'invito alla battaglia. Era il 12 giugno del 1717 e mancavano appena due ore al tramonto.
Otto navi turche attaccarono subito tre vascelli veneziani che tuttavia riuscirono a respingerle mentre il capitano turco puntava decisamente contro la capitana comandata dal Flangini.  La battaglia scoppiò a quel punto furiosa e senza esclusione di colpi coinvolgendo completamente entrambe le flotte.
All'alba i veneziani si ritrovarono alla punta di Lemno a circa 15 miglia dal nemico al quale mancavano all'appello due navi e altre più piccole imbarcazioni. Pur intravvedendosi, tuttavia, le due flotte non si muovevano, scoprendosi paralizzate dalla totale mancanza di vento che le rese inoperose ed immobili per alcune ore.
Al primo alito di brezza, la situazione prese a muoversi. I turchi infatti puntarono immediatamente contro due navi veneziane di retroguardia costringendo il capitano Flangini a manovrare per poterle soccorrere. A quel punto però i turchi decisero per il ritiro non volendo ancora rischiare. Lo scontro decisivo infatti sarebbe scoppiato solo due giorni dopo, il 16 giugno, quando i turchi poterono contare sul vento a favore.
La battaglia che ne seguì si protrasse per circa tre ore durante le quali il Flangini animò continuamente i suoi uomini riuscendo alla fine a fracassare la capitana nemica e ad affondare tre grossi vascelli.
La vittoria a quel punto era in pugno, ma sarebbe costata cara al giovane comandante veneziano che venne infatti improvvisamente colpito.  Lo sconcerto che presto si diffuse tra le fila veneziane fu tale da consentire ai turchi di ritirarsi momentaneamente.
Il giorno dopo lo scontro riprese su ordine dello stesso Flangini ormai moribondo. La sua condizione infatti, non gli impedì di farsi condurre sopra il cassero della sua nave per poter assistere alle ultime, vittoriose fasi della battaglia alla  quale volle partecipare fino all'estremo respiro. Morì così fra le braccia dei suoi uomini, certo della vittoria che aveva portato alla Repubblica.
Se per lo sfortunato Flangini la partita poteva considerarsi conclusa, non così per i turchi e la flotta veneziana, impegnate in un altro scontro solo un mese dopo allargo di Matapan dove ancora una volta comunque la flotta nemica venne battuta e costretta al ritiro dalle navi comandate da Andrea Pisani.
Il comandante veneziano riuscì anche, prima dell'arrivo della nuova stagione invernale, a riconquistare Prevesa e Vonitsa mentre anche in Dalmazia Alvise Mocenigo infilava una vittoria dietro l'altra in nome di S. Marco.
Ma il colpo decisivo per i turchi arrivò dal principe Eugenio di Savoia che già li aveva duramente sconfitti alcuni anni prima nelle pianure ungheresi.
Anche in quell'occasione il Savoia riuscì nell'impresa conquistando niente meno che la roccaforte dei turchi nei Balcani: Belgrado. A quel punto i turchi, che battevano in ritirata su tutti i fronti, si videro costretti a chiedere la pace.
 La riscossa dell'Europa cristiana, seppur tardiva, si dimostrò sul campo in tutta la sua efficacia. Le parti in causa si incontrarono questa volta a Passarowitz nel maggio del 1718 per le trattative di pace. Mediatori: Inghilterra e Olanda, ma per Venezia si stava preparando un'amara sorpresa.
Il suo maggior alleato, l'impero, era troppo impegnato altrove per rivolgere una seria e motivata attenzione al tavolo delle trattative lasciando solo il rappresentante veneziano, Carlo Ruzzini a difendere gli interessi della Serenissima di fronte agli altri paesi europei. Agli occhi di questi ultimi il vero ed unico eroe della situazione non era Venezia, bensì Eugenio di Savoia.
E così Venezia non riotteneva nè la Morea, nè Suda o Spianlonga, nè la possibilità di espandersi in Albania come richiesto dal povero Ruzzini che invano per sei ore parlò animatamente in favore del suo governo.
Venezia dovette accontentarsi, così, solo di alcune isole di scarso valore strategico - eccetto Corfù naturalmente - e di alcune fortezze lungo il confine dalmata in una scomoda convivenza con i turchi. Questo era tutto quello che la Serenissima portava a casa dopo quattro anni di guerra e di esaltanti vittorie!
Quelli furono anche i suoi ultimi e mai più modificati confini fino alla caduta. Il 21 luglio del 1718 la firma del trattato sanciva infatti questo stato di cose. Era un boccone amaro da mandare giù per la Repubblica, un'umiliazione alla quale ben presto avrebbe fatto seguito anche la beffa.
Esattamente due mesi dopo la firma del trattato, Venezia, dopo l'irriconoscenza degli uomini, doveva infatti fare i conti con le forze del destino e della natura. Un fulmine durante uno spaventoso temporale, colpì in pieno la polveriera del castello di Corfù. Ne seguirono esplosioni a catena in tutti gli altri depositi. Un inferno che devastò completamente l'antica cittadella provocando numerosi morti e feriti. Quello che non era riuscito ai turchi solo due anni prima, riuscì nelle sue conseguenze molto più devastanti alla natura, quella stessa natura che allora si era scatenata sui turchi in fuga.
Quella tragedia dovette risuonare funestamente a Venezia, quasi un'ulteriore conferma della precarietà e dell'inconsistenza del suo ormai esiguo e fantomatico impero.


Fonte: srs di Giuseppe Gatteri, Antonio Viviani, Francesco Zanotto, Giuseppe Grimaldo, Laura Poloni, Giorgio Marenghi; da STORIA VENETA,  volume  5,  SCRIPTA EDIZIONI


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