domenica 20 marzo 2016

VENETI EVASORI E CRIMINALI SOCIALI CHE TOLGONO ALLA GENTE ONESTA



di LEONARDO FACCO


Gibran, diceva che “le parole sono senza tempo”. Tutti sappiamo che “le parole sono pietre” e che Orwell, sul significato delle stesse, ci metteva in guardia, soprattutto quando a manipolarle è chi tiene salde in mano le briglie del potere.

Il vocabolario della “lingua franca italiana”, il mitico Treccani, dà questa definizione di parassita:
In origine, denominazione in uso nell’antica Atene per designare funzionari cultuali di alcune divinità, con attribuzioni non ben chiare, che avevano come caratteristica di partecipare alla divisione della vittima sacrificata alle divinità stesse; più tardi (almeno dal sec. 4° a. C.) il termine assunse il significato di scroccone sfrontato, amante della buona cucina, spesso incaricato di allietare con buffonerie gli invitati a un banchetto”.
 Nell’uso più odierno, e aggiornato, il parassita è colui che “mangia e vive alle spalle altrui”.

In campo biologico, la sostanza non cambia molto:
“Ogni animale o vegetale il cui metabolismo dipende, per tutto o parte del ciclo vitale, da un altro organismo vivente, detto ospite, con il quale è associato più o meno intimamente, e sul quale ha effetti dannosi”.
A tale proposito, Gianfranco Miglio – uomo e professore scomodissimo – divenne un pericolo per Umberto Bossi quando, nel 1994 a Bologna, pronunciò un discorso che conteneva le seguenti affermazioni:
Vedete: in ogni comunità politica di tutti i tempi e di tutti i luoghi c’è sempre una certa percentuale di cittadini che vivono alle spalle degli altri. Carlo Marx ha guadagnato l’immortalità perché è riuscito a dimostrare il modo con cui i proto-imprenditori capitalisti sfruttavano il proletariato industriale. Poi sulla base di quella dottrina è stato costruito un sistema in cui una gigantesca burocrazia sfruttava i pochi cittadini dell’Unione Sovietica che lavoravano e producevano. Il grado di civiltà politica di un Paese dipende dal modo con cui si riesce a limitare la quantità e la presenza dei parassiti. I parassiti sono nella società così come sono sugli animali. Chi di voi ha un cane o un gatto sa che a un certo punto, se i parassiti crescono al di là di un certo limite l’animale muore. E muore una società. Ci sono esempi storici di società che sono scomparse per eccesso di parassitismo. Chi è il parassita? Il parassita è colui che non produce ricchezza, ma vive consumando quella prodotta dagli altri. Questa è la definizione più lineare del parassita. Parassiti sono i conquistatori di un tempo. I Turchi, per esempio, sono stati nel tempo i più formidabili organizzatori dell’azione politico- militare e dello sfruttamento dei vinti. Un tempo il vinto doveva lavorare per il vincitore. Poi la civiltà politica a poco a poco ha ridotto queste presenze, ma ci sono ancora delle tracce di questa dominazione”.
Pochi mesi dopo venne allontanato dal capo leghista, oggi finalmente conclamato come un emerito parassita sociale.

Veniamo all’attualità ora.
I miei amici veneti – liberali e indipendentisti – si ritrovano in casa, tra i tanti, un personaggio che incarna quanto avete letto sopra meglio di ogni definizione.
Si tratta del generale della Guardia di Finanza Pasquale Debidda, pomposamente insignito dei gradi di “comandante interregionale dell’Italia Nord Orientale”.
L’altr’ieri, in occasione della fondazione del suo corpo d’armata, ha tuonato così:
“L’evasione fiscale è un crimine sociale che egoisticamente toglie alla gente onesta e umile quello di cui ha bisogno”. Caricando la dose con queste altre parole: “La lotta all’evasione è stata intensa e le verifiche sono state svolte anche a livello internazionale dove è stato accertato che l’evasore ha saputo sfruttare il divario esistente tra la dimensione economica ora globalizzata e la sovranità impositiva degli Stati, esercitabile, naturalmente, solo entro i propri confini nazionali”.

A queste asserzioni velatamente “apodittiche” del funzionario a libro paga di Mario Monti, credo valga la pena rispondere con qualche controdeduzione, cominciando da quel che Oscar Wilde pensava dell’egoismo:
Egoismo non è fare ciò che si vuole, ma pretendere che gli altri facciano ciò che vogliamo noi”.

Dopodiché aggiungerei qualche altra riflessione:

1- Intanto, non esiste alcun evasore totale in Italia, al massimo c’è chi riesce a nascondere parte del suo guadagno ad una casta di ladri che usa quei soldi per interessi personali;

2– Oppenheimer sosteneva che ci si può guadagnare da vivere in due modi, facendo uso di “mezzi economici” (lavoro), oppure facendo uso di “mezzi politici” (aggressione). Per dirla con John Calhoun, i primi sono “produttori di ricchezza”, i secondi “consumatori di ricchezza” che altri generano. Il generale appartiene alla seconda categoria, è uno di quei milioni di dipendenti che non pagano tasse, ma contribuiscono solo ad incrementare la spesa pubblica (e corrente) di questo infame paese. Se proprio dovesse esistere la categoria dell’evasore totale, Debibba ne farebbe parte a pieno titolo.

3- Se esiste qualcuno che danneggia qualcun altro, non è certo chi non dichiara il proprio reddito, ma la banda di malversatori, di corrotti (nelle Fiamme Gialle peraltro proliferano), di zecche che pretendono – peggio di come facevano i negrieri – di vivere sulle spalle degli altri;

4- Einaudi Luigi, non l’editore, ha scolpito nero su bianco queste parole:
“La frode fiscale non potrà essere davvero considerata alla stregua degli altri reati finché le leggi tributarie rimarranno vessatorie e pesantissime e finché le sottili arti della frode rimarranno l’unica arma di difesa del contribuente contro le esorbitanze del fisco”;

5- La lotta all’evasione è la più bieca delle campagne mediatiche messe in atto dagli ultimi tre governi italiani. Ai proclami sulla scoperta di “evasori totali” per milioni di euro, i dati – post ricorsi presso le commissioni tributarie – ci confortano ricordandoci che di quanto contestato agli evasori solo il 30% finisce per essere incassato dallo Stato, vuoi perché non esiste reato, vuoi perché altre volte l’imprenditore preferisce transigere piuttosto che perdere soldi e tempo per finire in tribunale.

6- Avete mai assistito ad un controllo-verifica dei finanzieri, che stazionano per un mesetto nelle aziende? Ho diverse testimonianze in proposito e più di un imprenditore, raccontandomi i fatti, ha concluso dicendomi che si “tratta di forme di pizzo legalizzato”, rispetto alle quali il titolare d’azienda preferisce “pagare” anziché infilarsi nel dedalo della giustizia amministrativa.

Ancora: davanti ai “suoi plotoni di cadetti grigio-vestiti”, il Debidda, immagino con quel suo accento un po’ pelasgico, ha gonfiato il petto per rimarcare la bontà del suo lavoro nei confronti della serenissima canaglia che si permette di lavorare senza dare i tre quarti del frutto del suo lavoro allo Stato:
In Veneto la Guardia di Finanza sta attuando “un’azione operativa che tiene conto delle persone che con grande sacrificio e senso di responsabilità applicano la legge e stanno tirando avanti in un momento molto difficile”.

Domanda: difficile per chi? Per quelli che si suicidano perché questo “Stato ladro” li costringe al gesto estremo o difficile per i Debidda, che senza i soldi estorti ai contribuenti sarebbero costretti a cercarsi un lavoro onesto? Se Treviso è una delle province più ricche dello stivale – nonostante sia tra i maggiori contribuenti – è perché ha scelto anche di sottrarre qualche liretta agli sgherri nazional-popolari.

James E. Miller sostiene che “le sanguisughe che vivono di Stato sono disposte a tutto per preservare il loro benessere”.
Ha ragione!

Domanda: Non è forse da ricercare nelle parole di Miller il motivo per cui certi gabibbi si inalberano di fronte alla resistenza fiscale dei produttori di ricchezza?

Cari amici veneti, e concludo, con certi graduati in circolazione urge che ridiate smalto e vigore alla mitica L.I.F.E.!


Fonte: srs di Leonardo Facco, da Miglioverde del giugno 2012


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