martedì 14 giugno 2016

INFANZIA E CRESCITA DEL FEMMINICIDA

Femminicida per età mentale


Dopo che “tutta la città ne parla”,  e poi la società passa ad altro senza una diagnosi, aspettiamo il prossimo “femminicidio”: già il termine mette fuori strada, serve come falsa diagnosi ideologica (un “delitto di genere”, ho sentito persino dire) che assolve la “cultura” corrente, quella della  liberazione sessuale, e della società che si gloria di non essere “repressiva”.

A  costo di ripetersi, bisogna richiamare l’idea della “invasione verticale dei barbari”.  
Ogni nuova generazione di neonati è una invasione di barbari  che invadono non dall’esterno, ma dall’interno e dal basso  la società; la società ha il compito di educarli,  disciplinarli, renderli civili prima che diventino adulti. Il che significa anche – soprattutto – fargli subire dei sacrifici e delle sconfitte esistenziali, in modo da far maturare i loro caratteri.

Come  sicuramente avete avuto modo di constatare, un  bambino fra i 3 e i 5  anni è  un mostro morale: strillante, imperioso, spaccatutto, pieno di rabbia, del tutto soggetto ai suoi impulsi immediati,  è  pronto ad uccidere, bruciare e distruggere  se non li soddisfa.   Il treenne mette a segno infatti numerosi tentativi di omicidio – di fratelli, di papà e mamme, di cani e gatti, di oggetti che lo ostacolano  in  qualunque modo  e non pochi atti di autolesionismo criminale (ingoiare automobiline…). 
Se poche  delle sue stragi vanno a buon fine, è perché   non ha  tanti mezzi per far danni; non ha  l’autonomia economica, né la patente di guida e ancor meno la disponibilità di una pistola (quando riesce a metter le mani su  un’arma incustodita, il caro piccino non esista a far fuoco sulla sorellina: e  allora  ne parlano i giornali). E’ per questo che i genitori tengono fuori dalla sua portata  coltelli,  accendini, materie esplodenti, alcol, medicinali; e controllano il piccolo mostro continuamente.
A poco a poco imparerà a sue spese   che né gli altri esseri viventi né  il mondo  sono  al suo servizio   per soddisfare le sue voglie, prenderà zuccate e ceffoni, prima dal papà poi dal capufficio, dal caporale,  dalla società in generale, e apprenderà quel che Freud chiamava “il principio di realtà”.  Stroncherà la sua infantile violenza, insomma lo civilizzerà – perché “civiltà è  il grande sforzo collettivo di ridurre la violenza ad ultima ratio”.

Ora, pensate a uno di questi piccoli mostri che entra in una società che si gloria di essere adulta e matura,  di avere abolito ogni forma di “repressione”, che ogni giorno celebra la propria liberazione  da tutti i pregiudizi, quindi da ogni gerarchia e di tutti i tabù moralistici, tipo l’antipatica distinzione fra “bene” e “male” (cosiddetti); dove i genitori   prendono  ogni cura per risparmiargli ogni  “frustrazione”, ogni pressione dell’ambiente, tensione, sforzo e ogni dovere;  scansano  ogni ostacolo che si trovi davanti,  vogliono essere suoi amici invece che suoi superiori. 
Lo mandano in una scuola che si vanta di essere “non repressiva”, di non bocciarlo mai e poi mai,  che si sforza di “farlo divertire”, anzi   prova a confondere il confine tra “studio” e “divertimento”; una scuola che sostanzialmente  lo incita a “esprimere  le proprie  inclinazioni, ed  opinioni”, ossia (a quello stadio) le proprie narcisistiche emozioni.
Ben presto egli apprende di essere cittadino di una repubblica, quindi che lui ha per nascita solo dei “diritti”,  specie quello ad essere felice, mentre l’insieme degli organi di comunicazione e propaganda gli   instillano nella piccola testa omicida l’idea che non ha dovere alcuno, verso nessuno, se non verso se stesso: “Soddisfa la tua sete!”, “Sei nella società dei consumi, nell’abbondanza senza sforzo!” “Tutto ti è permesso, a nulla sei obbligato!”
…Nel frattempo il  mostro non è più tanto piccolo, diventa grande e grosso, mette su il pelo, gli si ingrossano gli organi sessuali, aumenta il  testosterone: è Conan, sempre treene ma ora temibile. A quel punto, per legge, la società lo considera adulto (guai se non lo facesse) anziché bisognoso di controllo,  e lo ammette alle gioie dello stato adulto, – che oggi consistono  soprattutto nella liberazione sessuale. 
E’ un punto cruciale: quando aveva tre anni, almeno,  il piccino era sì una belva pronta  a tutti i delitti pur di soddisfare le sue voglie, ma era “innocente”;  non  conosceva ancora le voglie della libidine, incoercibili se non ti insegnano a regolarle, sublimarle e (eh sì) reprimerle. Reprimerle? Non sia mai! Anzi è glorioso dar loro sfogo, siamo una società liberata! Nessuno lo avvisa che il sesso, lungi dall’essere “facile”,  è un abisso oscuro e tempestoso, di lampi e sconfitte e ripugnanze radicali, che confina col demoniaco e  sconfina spesso nel satanico  – il luogo in cui a un bambino dovrebbe esser vietato entrare.

Siccome ha il pelo  pubico e  la voce di un adulto maschio, anche le ragazze credono che sia un adulto; ci si fidanzano – il che significa che ci vanno a letto. Poi lo  lasciano, perché lui è noioso  e non ha nulla dentro,  “si fidanzano” con un altro, perché anche le ragazze hanno diritto alla felicità sessuale.

Rimasto a tre anni di età morale  e mentale, non sa  – non può ammettere – che la sua fidanzatina ha una volontà propria, diversa dalla sua.  Non riesce proprio a capire come quella “cosa” bionda prima stava con lui egli faceva quelle cose, ed ora le fa’ a un altro: è “sua”!  Prova un dolore acuto – il maschio abbandonato – che non sa cosa sia. Sa solo una cosa: è la cosa bionda che glielo provoca, e se lui la elimina, il dolore sparirà.

Il fatto è che adesso, lui – siccome in qualche modo “funziona” nella società (che si  contenta davvero di poco)  –  ha un lavoro uno stipendio, persino il porto d’armi, e guida l’auto. E nessun genitore tiene fuori della sua portata  l’accendino e la bottiglia dell’alcol.

L’età infantile del mostro, del barbaro lasciato crescere senza civilizzarlo, è  mostrata da un fatto evidente:  non pensa nemmeno un attimo alle conseguenze del suo omicidio, la prigioni, la carcerazione per decenni.  Ha premeditato l’assassinio quel tanto che basta, s’è portato la bottiglia di alcol; ma non  ha alcuna capacità di prevedere “oltre”,  non riesce a immaginare il dopo, imprevidente come appunto un barbaro selvaggio negroide. Non si è preordinato alcun alibi, ha negato l’evidenza: “No…non sono stato io!”. La scusa del piccino di 2 anni   che ha rotto   la finestra a sassate.

Così succede, una quarantina di volte quest’anno. E’ la società “liberata” che non sa più civilizzare i suoi barbari verticali, è la società progressista che  non sa (né vuole) trasmettere il Progresso; ad ogni generazione cade in un gradino più basso della barbarie, perché gli  “educatori” sono essi stessi di una generazione precedente che non è stata civilizzata.  E lo chiamano “femminicidio”.

E’ inutile che vi dica come dovrebbe essere una società capace di civilizzare i barbari  verticali,   che sappia renderli virilmente adulti, continenti,  cavallereschi, dotati di senso della dignità e dell’onore  –  ossia   della vergogna di compiere atti bassi contro i più   deboli.  Inutile che vi canti le lodi del “controllo sociale”, del giudizio sociale  che premeva su molti dei  peggiori e  li faceva essere meno pessimi; strillereste che voglio la società bigotta, insopportabilmente repressiva, ormai superata dal progresso e dalla libertà; una società dove  un giovane e una giovane “si parlavano” sul divano di casa, alla presenza (orribilmente noiosa) della nonna o della sorellina…. Sicché tocca a voi, ragazze.

Abbiate almeno la coscienza  di  intuire che la “Libertà sessuale”   vi ha reso delle schiave sessuali; che vi spinge a proporvi solo come oggetti di seduzione, e senza la nonna sul divano che vi  evita l’irreparabile. Sappiate almeno riconoscere i  sintomi del piccolo criminale infantile nel torsolone palestrato e col pelo pubico, il Conan non civilizzato nel tizio con cui andate a letto. 
Vorrei dirvi: negategliela, a questi qui;  siate come le dame del tempo che fu, che si negavano a chi non fosse “prode e cortese”, e civilizzarono i maschi germani facendone dei cavalieri obbligandoli a procrastinare, a sospirare il piacere – che poi non arrivava mai, magari.    Ma so che chiedo troppo.

Al prossimo femminicidio, non vi accontentate della diagnosi  falsa e ideologica, ipocrita, con cui la società si auto-assolve. Almeno questo, ragazze.


Fonte: srs di Maurizio Blondet, del 1 giugno 2016



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