sabato 13 agosto 2016

GIORNALISMO. L'ETERNA LEGGE DELLE TRE S: SESSO, SANGUE, SOLDI




Anders Behring Breivik 


Sesso, sangue, soldi. Come insegnavano i maestri del giornalismo non c'è miglior modo per segnalare la propria presenza al mondo. E la strage del giovane norvegese lo conferma


Perché il giovane norvegese cristiano antimusulmano ha fatto strage di ragazzi in un'isola presso Oslo? Perché l'omicidio - l'assassinio di un essere umano - resta l'ultima occasione totale, perfetta, dei disperati, dei dimenticati, dei visionari, dei pazzi per affermare la loro presenza al mondo, per dimostrare che anche i reietti, i borderline, i disadattati, i mostri, gli abbandonati possono rivendicare la loro presenza al mondo: uccidono per le loro pazze ragioni, ma anche e soprattutto per questo.

Anni fa, quando furono create le prime scuole di giornalismo, i professori, quelli del mestiere, predicavano la legge delle tre S: sesso, soldi, sangue i tre argomenti che facevano vendere i giornali, aumentare le tirature e la pubblicità. Anche adesso, anche nell'efferata strage compiuta dal giovane norvegese di 90 giovani si dimostra che la legge delle tre S è sempre valida e che nel più civile paese del mondo qualcuno può entrare nell'isola dove i giovani come lui s'incontrano con un arsenale di morte, pugnali, pistole, mitra, bombe a mano e fare strage credendo, felice, di essere finalmente un giustiziere, pronto a massacrare degli innocenti agli occhi di tutti, ma non ai suoi, che vedono i nemici personali e del mondo anche negli adolescenti dall'aspetto innocente.

Siamo nel terreno dell'assurdo, del mostruoso, dell'orrendo, come a dire un terreno che fa comunque parte dell'umano, di ciò che l'uomo può compiere e compie, e qui forse è la risposta alla permissività che la società civile ha per gli assassini potenziali che circolano armati nelle strade delle nostre città, il perché ci siano paesi civilissimi che permettono ai loro cittadini come un diritto primordiale e inalienabile di circolare armati come ai tempi della frontiera e dei feroci indiani. Voglio dire dell'apparentemente incomprensibile realtà per cui una nazione civilissima come la Norvegia permette a un ragazzo pazzo che sogna il ritorno di Odino e dei giganti - che nella fantasia dei primi abitanti erano i grandi ghiacciai percorrenti le terre scandinave - di sbarcare sull'isola dove i giovani di Oslo si trovavano per un campus estivo del partito laburista con un armamentario bellico da marine, sfuggito ai custodi o forse scambiato per armi giocattolo, e poi assiste impotente per un'ora senza intervenire alla mattanza di quasi cento giovani che il pazzo prendeva con calma di mira e ai quali dava il colpo letale quando erano a terra feriti.

Eppure in un viaggio negli Stati Uniti ho visto il mio taxista sparare in una notte a New York contro uno che aveva tentato di fermarlo, e in un ristorante di cowboy nell'Oregon decine di uomini che posavano pistole e carabine sui tavoli e guardavano stupiti il disarmato che si era fermato nella loro mensa. E ancora in un deserto del New Mexico, quando la mia auto s'impantanò fuori strada e arrivò in nostro soccorso un indiano, forse un cheyenne, che era stato in Italia durante la guerra, di cui conservava una carabina a tracolla, e scambiando qualche parola nella nostra lingua ci portò in salvo.

Nella tragedia di Oslo il ridicolo si mescola al tragico: la polizia era convinta che il pazzo fosse uno dei terroristi islamici che lanciavano bombe in città, non un sostenitore della razza ariana che voleva purificare i figli della madre Norvegia con i capelli biondi e gli occhi azzurri. Noi nel nostro piccolo abbiamo riempito uno sterminato numero di pagine di giornale con i nostri delitti paesani e pecorecci dove in obbedienza alla legge delle tre S abbiamo dato la parola ad avvocaticchi di provincia e a sedicenti criminologi e a testimoni pronti a tutto pur di apparire in tv, al punto che la magistratura ha dovuto arrestarne alcuni che si erano inventati rivelazioni sui delitti. Una festa per la tv popolare che ha voltato e rivoltato le macabre frittate fino alle nazionali celebrazioni popolari dei parenti delle vittime, applauditi dalla popolazione e sepolti sotto montagne di fiori candidi.

Fonte: srs di  Giorgio Bocca, da L’Espresso del 18 agosto 2011 


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