sabato 1 ottobre 2016

IL PATRIO FETICCIO. UN PO’ MASSONE, UN PO’ FASCISTA, UN PO’ DI SINISTRA




di GILBERTO ONETO

 Il più sacro gingillo del patriottismo italiano è il tricolore.
Se ne occupano trepidanti un articolo della Costituzione, due articoli del Codice Rocco e una mezza dozzina di leggi e regolamenti. Ci raccontano che è nato a Reggio Emilia il 7 gennaio del 1797 ma già almeno l’anno prima un accalorato giacobino bolognese lo aveva usato a mo’ di coccarda: in realtà il suo impiego ufficiale come simbolo di italianità risale solo al 1848.

È una mistificazione sostenere che prima di quella data fosse un segno riconosciuto da tutti i patrioti e che significasse qualcosa di somigliante all’idea di Italia, e anche dopo qualche piccolo problema ce l’ha avuto almeno per una dozzina di anni. Nella legge fondamentale dello Stato italiano è però entrato solo nel secondo dopoguerra.

Ma andiamo con ordine. Non è vero che fosse la bandiera dei giacobini italiani. Fra il 1797 e il 1814 è stata formata nella  penisola italiana una miriade di staterelli (fra Repubbliche, Principati e altro) che faceva riferimento alla Repubblica o all’Impero francese, e cioè al giacobinismo e al bonapartismo. Di almeno 24 di questi conosciamo la bandiera usata e, siccome alcuni di loro l’hanno modificata nel tempo o ne hanno usati più modelli contemporaneamente, si ha documentazione di 31 diverse bandiere. C’è di tutto un po’.

Solo la Repubblica ligure aveva inizialmente adottato la tradizionale bandiera genovese (la Croce di San Giorgio) limitandosi a sovrapporvi edificanti motti rivoluzionari. Tutte le altre sono di foggia rivoluzionaria, sono cioè l’accostamento orizzontale o verticale di due o tre colori assemblati a imitazione del tricolore francese, nato dall’unione del rosso e del blu dello scudo di Parigi con il bianco del Regno di Francia. Cinque di loro sono pedisseque riproposizioni del tricolore francese, tutte le altre si sono sbizzarrite in cromatismi fantasiosi, con qualche maggiore propensione per i tricolori rosso-azzurro-arancione, rosso-bianco-nero e rosso-nero-azzurro collegati più o meno chiaramente a simbolismi massonici.

Il tricolore bianco-rosso-verde compare solo in Emilia per la Repubblica Cispadana, poi passa a quella Cisalpina, a quella italiana e infine al Regno di Italia. Giova ricordare che si trattava di diverse denominazioni date a quasi lo stesso territorio (la Lombardia a est del Ticino, il Veneto e parte dell’Emilia) e che il nome Italia era stato ripescato da Napoleone quale sinonimo di Lombardia e indicava la parte centro-orientale della Padania. L’equivoco sulla bandiera si intreccia qui con quello del nome ed è alla base di tutti i successivi sviluppi della vicenda. Nell’antichità l’Italia era la Calabria meridionale, il nome ha poi risalito la penisola lentamente per rappresentarla fino al Rubicone, poi si è esteso alla pianura padana e anche oltre.

Nel Medioevo è rimasto appiccicato esclusivamente alla parte settentrionale: il Regno di Italia (sinonimo di Lombardia) arrivava fino ai confini dei domini del Papa. Il resto era Regno di Napoli e gli abitanti della regione erano distinti in italiani (o lombardi) e napoletani. Questo ha indotto Napoleone a riprendere un termine geografico e ad attribuirgli un significato politico denominando Italia lo Stato che aveva creato in Padania.

In ogni caso quel lontano tricolore era disposto orizzontalmente o a losanghe, e solo raramente (su vessilli militari) verticalmente. Con la caduta di Napoleone erano spariti anche tutti i vessilli collegati, compreso quello tricolore, che era stato impiegato, fuori di Padania, e per breve tempo, solo a Lucca. Il verde veniva forse dall’uniforme della guardia civica milanese accostato al bianco e al rosso della croce cittadina, e analoga genesi poteva avere avuto la coccarda bolognese anche se c’è chi propende per una variazione cromatica dal blu al verde del tutto casuale.

Altri ancora fanno notare che poteva anche essere derivata dalla fascia del 33° grado del Grande Oriente d’Italia ma è pure possibile che il rapporto sia stato inverso: che la Massoneria italiana – formata a Milano nel 1805 – avesse cioè assunto i colori dello Stato giacobino ospitante. Si tratta di una relazione che avrà importanza negli sviluppi delle vicenda. Non è la bandiera del primo Risorgimento. Nel corso dei moti carbonari dei primi decenni del XIX secolo, era quasi sistematicamente impiegato il tricolore rosso-nero-blu della Carboneria.

Quando Mazzini fonda, nel 1831, la Giovane Italia inserisce nel suo Statuto che il simbolo sociale è il tricolore, che rientra così nella storia come bandiera di partito. Perché era stato scelto da Mazzini, che era ligure e che non aveva nessun legame con la bandiera cisalpina? Non ha usato quella genovese per un evidente rifiuto di un segno cristiano, non quella carbonara per volersi differenziare, ma prende il tricolore quasi sicuramente dal rituale massonico rinverdendo così un rapporto che si era un po’ affievolito.

Ma non è ancora la bandiera italiana. Nei moti del ’48, il tricolore compare ma solo a Milano, per evidente richiamo alla bandiera che fino a 34 anni prima si era contrapposta a quella austriaca, ma anche per la robusta presenza di aderenti alla Giovane Italia. I colori erano messi a caso e spesso compariva anche il vessillo rossocrociato di Milano. In tutte le altre città erano impiegate bandiere diverse: se ne ricordano almeno quattro.

La consacrazione viene al tricolore dalla scelta di Carlo Alberto, che intervenendo in Lombardia, cercava legittimità in un simbolo che lo potesse legare ai territori che si voleva annettere, e cioè quellaPadania centro-orientale che aveva impiegato il tricolore sotto Napoleone. È una sorta di captatio benevolentiae cui – anche qui – non doveva essere estranea l’influenza del Grande Oriente d’Italia, che comprendeva anche il Piemonte e che quindi era molto familiare a larga parte della nomenclatura sabauda. Il tricolore adottato il 23 marzo era a bande verticali per poterci inserire dentro lo stemma di famiglia e avere forma quadrata in analogia alle bandiere colonnelle dell’esercito sardo.

A questo punto e solo a questo punto anche altri lo hanno adottato. Anche Garibaldi, che non aveva usato il tricolore in Sudamerica ritenendolo solo la bandiera del partito mazziniano: la legione italiana di Montevideo aveva un stravagante bandiera nera con un Vesuvio fiammeggiante. Lo ha ripreso anche la Repubblica romana di Mazzini che però come bandiera da guerra usava un drappo tutto rosso.

Dopo la sconfitta di Novara, il tricolore è tornato in un armadio. Tanto poco era scontato il suo uso che fra il 1850 e il 1855 il giornale torinese La Patria ha indetto una sorta di referendum fra i suoi lettori per l’adozione di una bandiera italiana nel quale hanno prevalso delle originali elaborazioni della Croce di San Giorgio. Neppure il superpatriota Pisacane nella sua sfortunata spedizione l’ha più sventolata, preferendole una più esplicita bandiera rossa.

Il tricolore ricompare solo nel ’59 essenzialmente come bandiera militare. Quando Garibaldi si è imbarcato per la Sicilia ha con sè due bandiere, quella solita di Montevideo (il vulcano) e quella cosiddetta di Valparaiso (un tricolore riccamente ricamato) che però riesce a perdere a Calatafimi alla prima occasione. Nel frattempo Francesco II, il 25 giugno del 1860 ha deciso di adottare, assieme alla Costituzione, il tricolore come bandiera del suo Regno: si viene così ad avere la strampalata situazione di soldati borbonici che sventolavano il tricolore e garibaldini la loro bandiera nera.

Nel 1861 alla formazione del Regno d’Italia il tricolore diventa alfine bandiera di Stato, anche se non è menzionato dallo Statuto: per questo si dovrà aspettare l’articolo 12 della Costituzione repubblicana. A dargli definitiva dignità di patrio feticcio ci ha pensato il fascismo che lo ha infilato dappertutto fino a fargli assumere una connotazione di parte: nel ’68 avere un tricolore fuori da uno stadio significava essere inequivocabilmente presi per fascisti.

Oggi nel generale revival del patriottismo italiano il tricolore ha riassunto una funzione primaria nella liturgia repubblicana e ci viene spacciato per antico simbolo di identità nazionale. Non è proprio così e non potrebbe essere diversamente vista la molto dubbia genuinità dell’identità che gli fanno rappresentare.


Fonte: lindipendenzanuova del 17 settembre 2016


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