domenica 22 gennaio 2017

L’APOCALISSE VERONESE DEL 3 GENNAIO 1117. IL PRIMO TERREMOTO CHE FU MISURATO



Quell’apocalisse nove secoli fa. Con i suoi 9 gradi Mercalli seminò morte da Cividale a Milano, da Bergamo a Pisa




  
di Gian Antonio Stella


«Fu il terremoto assai terribile. Per cui crollarono molte chiese coi campanili, e innumerevoli case e torri e castelli e moltissimi edifici, sia antichi che nuovi; per il quale anche i monti con le rupi crollarono e devastarono e in molti luoghi la terra si aprì ed emanava acque solfuree…»

La scossa
La cronaca degli Annales Venetici breves offre un’immagine nitida di cosa fu lo spaventoso scossone del 3 gennaio 1117. Nove secoli fa.  «Fu il più antico evento sismico del mondo per il quale si abbia un quadro dei danni tale da consentire oggi di stimarne l’area epicentrale e la magnitudo con tecniche analitiche rigorose, le stesse usate per analizzare terremoti di secoli più vicini», spiega Emanuela Guidoboni, tra i promotori del convegno di oggi all’Istituto Veneto di Venezia sul tema «Novecento anni dal più grande terremoto dell’Italia Settentrionale».

L’area padana
Fu così devastante quel cataclisma, coi suoi 9 gradi di intensità della scala Mercalli-Cancani-Sieberg e «una magnitudo calcolata, a partire dal quadro complessivo del danneggiamento, tra 6.5 e 6.9» (quello in Friuli del 1976 fu di «appena» il 6,4 e ogni aumento di 0,2 punti di magnitudo corrisponde al raddoppio della potenza) da seminare morte e rovine il tutta l’area padana, da Cividale a Milano, da Bergamo a Pisa.

Le parole
«Per due volte fra il giorno e la notte avvenne in tutto il mondo un terremoto tanto terribile che molti edifici crollavano e gli uomini a stento riuscivano a fuggire; ma soprattutto in Italia, dove fu tanto pericoloso e orribile, che gli uomini aspettavano su di sé il manifesto giudizio di Dio», si legge negli Annales Sancti Disibodi, «e all’improvviso, per le spaccature della terra, crollarono città, castelli, ville, con gli uomini che ivi indugiavano [a fuggire]. Infatti anche i monti furono spaccati e i fiumi, la terra inghiottente, si essiccarono tanto che chi voleva poteva attraversarli a piedi».

Il Po
Il fiume Po, aggiunge il cronista, «erigendosi dal suo alveo, si levò in alto a guisa di arco in modo da aprire la via tra la terra e l’acqua e da dare a intendere apertamente che minacciava la fine al mondo con i suoi flutti alti. E l’acqua essendo rimasta sospesa così a lungo, finalmente si rimise in se stessa con tanto suono, che il suo fragore si udiva per miglia».

Trentamila morti
Furono trentamila, stando ad alcune stime, le vittime di quell’evento, generato da una «sorgente sismica piuttosto profonda, mascherata dalla spessa copertura di sedimenti che ricopre tutta la pianura-padano-veneta e perciò finora imperscrutabile». Un’apocalisse. Paragonabile rispetto alla popolazione di oggi, tanto per capirci, a trecentomila morti.

L’epicentro
L’epicentro fu probabilmente nel veronese a Ronco all’Adige, a sud di Soave. La città più colpita fu Verona dove collassò la cinta esterna dell’Arena e, scrisse Pietro Diacono, «le chiese furono rovesciate dalle fondamenta e le alte torri precipitarono» ma i danni furono gravissimi anche alla cattedrale di Parma, a quella di Cremona, alla Basilica padovana di Santa Giustina…

Le testimonianze
Devastazioni di cui restano memorie preziose: 72 fonti memorialistiche coeve (60 annali monastici e 12 cronache cittadine) più tre dozzine di atti processuali, libri di conti, epigrafi… Mancano, perché arriveranno solo successivamente, testimonianze autobiografiche come quelle che lascerà fra’ Salimbene de Adam sul sisma del 1222: «Mia madre soleva ricordarmi che durante quel grande terremoto io ero bambino ancora nella cuna, ed essa prese sottobraccio le mie due sorelle (erano piccine) e, abbandonando me nella cuna, riparò nella casa dei suoi parenti. Temeva infatti che rovinasse su di lei il battistero, poiché la mia casa era vicina ad esso. E per questo che io non l’amavo eccessivamente, perché avrebbe dovuto preoccuparsi più di me che ero maschio, ma lei rispondeva che era più facile portare le due sorelle perché più grandicelle».

La mano di Dio
I resoconti a tinte forti, però, sono molti. Come quello di Landolfo Iuniore (o Landolfo di San Paolo), che nella Historia Mediolanesis vede nello sconvolgimento la mano di Dio: « E il terremoto (…) smosse e sconvolse profondamente il Regno dei Longobardi. In quel tempo la gente, che vedeva grandi rovine per le città e in genere per i luoghi, particolarmente per le chiese, diceva che gocce di sangue cadevano come pioggia dal cielo e di vedere parti mostruosi e molti altri prodigi in aria, acqua, monti, pianure e selve, e di sentir tuoni sotterranei. E in questa prova divina anche coloro, che apparivano essere sacerdoti, non sapevano dove fuggire».

In Germania
Il botto fu tale, si legge negli Annales Remenses et Colonienses, da essere avvertito in Germania: «Il 3 gennaio ai vespri», le sei di sera, «nelle chiese furono scosse le immagini del Signore e molte cose pendenti in esse».
E l’Annalista Sassone insiste apocalittico in Monumenta Germaniae Historica: «Non minore che una volta quello di Sodoma e Gomorra giunse un clamore di tal fatta alle celesti schiere di Dio. Per la qual cosa, durante la festa stessa della natività del Signore il 3 gennaio all’ora del vespro, mentre tanti sprezzavano oltremodo il giudizio divino, la terra fu scossa e tremò per l’ira tremenda del furore divino, tanto che non si è trovato nessuno sulla terra che dichiari di aver mai sentito un terremoto tanto grande. (…) Ma soprattutto in Italia questo minaccioso pericolo imperversò continuamente per molti giorni, tanto che il corso del fiume Adige fu ostruito per alcuni giorni dalla collisione e dalla rovina dei monti; Verona città d’Italia nobilissima, scrollati gli edifici, sepolti anche molti uomini, crollò. Similmente a Parma a Venezia e in molti altre città, borghi e castelli perirono non poche migliaia di uomini. (…) Il 17 febbraio all’ora del vespro vedemmo nubi infuocate o sanguigne sorgere da nord e estendendosi in mezzo al firmamento incutere al mondo non poco terrore. Infatti a ciascuna città sembrava tanto vicino, che sembrava minacciare la fine di tutte le cose...»

Lo spavento del visconte
Il visconte Rodolfo di Verona si prese un tale spavento, dice un documento conservato all’Archivio di Stato, che diventò meno avido. E pur essendo «solito chiedere e pretendere la decima», venne «toccato e commosso da un pio turbamento dell’animo» e «presenti e testimoni i rappresentanti della comunità, convocato il figlio, rinunciò alla decima della suddetta chiesa…».


Fonte: srs di Gian Antonio Stella, da il Corriere della Sera  del  19 gennaio 2017


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